Nebrodi, sgominata la mafia dei pascoli

Nella zona di Messina, 94 persone sono state arrestate, 46 sono finite agli arresti domiciliari, 151 imprese agricole sono state poste sotto sequestro. I segnali di rinascita in Sicilia.

L’inchiesta coordinata dal procuratore capo di Messina, Maurizio De Lucia, ha messo il dito nella piaga degli illeciti che ruotano attorno alla fruizione dei fondi europei. Centinaia di piccole aziende, spesso intestate a varie persone, erano in realtà gestite direttamente dagli esponenti dei clan mafiosi della zona che fanno capo ai clan di Tortorici, Batanesi e Bontempo Scavo. La gestione dei terreni e la fruizione dei fondi comunitari avveniva con la complicità di funzionari pubblici. Il fenomeno trasversale includeva anche numerosi colletti bianchi che ha sostenuto, nel tempo, questo sistema criminale.  Gli arrestati sono accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, danneggiamento seguito da incendio, uso di sigilli e strumenti contraffatti, falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atto pubblico, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atto pubblico, trasferimento fraudolento di valori, l’estorsione, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche l’impiego di denaro, beni ed utilità di provenienza illecita.

Dal 2013 ad oggi le 151 aziende agricole finite sotto inchiesta (ditte individuali o cooperative) hanno ottenuto erogazioni pubbliche per oltre 10 milioni di euro. Si tratta di aziende che rientravano tutte sotto l’ombrello protettivo dei clan locali, anzi, nella maggior parte dei casi, si trattava di intestazioni fittizie dei beni in realtà riconducibili ai due gruppi criminali. Imprese “cartolari”, in realtà gestite da altre persone rispetto a quelle indicate nei documenti: un meccanismo ben congegnato che permetteva anche di eludere il sistema dei controlli e di avere una gestione quasi totale del territorio.  L’inchiesta ha anche accertato collegamenti con i gruppi mafiosi delle altre province, di Enna, Palermo, Catania (clan Santapaola).

La truffa godeva di alcune protezioni all’interno delle istituzioni, dei centri di assistenza agricola, privati, dei delegati dell’Agea, con i quali venivano pianificate le truffe. «I centri che avrebbero dovuto fornire i controlli invece in accordo con le mafie facevano parte di un sistema criminale forte» si legge tra le pagine del provvedimento della magistratura.

All’inchiesta coordinata dalla procura di Messina e condotta da Carabinieri e Guardia di Finanza, per i diversi filoni d’indagine, ha dato il suo sostegno anche il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho: «Sono qui per testimoniare l’importanza di una indagine e i risultati conseguiti. Desidero rivolgere i complimenti a tutti, carabinieri e guarda di finanza».

L’inchiesta ha dei precedenti importanti: per primo il “protocollo di legalità” voluto dall’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, che ha denunciato il sistema fraudolento della mafia dei pascoli. Il lavoro svolto da Antoci, poi finito nel mirino dei gruppi criminali con un attentato cui sarebbe scampato per un caso fortuito, è stato il punto di partenza che ha permesso l’avvio dell’indagine.  Di recente, sulla stessa falsariga, anche l’operato del comune di Troina. Troina, storica città siciliana dei Nebrodi, fu la prima capitale della Sicilia, sia pure per un tempo breve. Nel periodo della conquista normanna, Ruggero vi stabilì la sua corte, prima di trasferirla a Palermo. Ruggero donò a quel comune più di 4000 ettari di bosco (in parte ricadente anche nel territorio di altri comuni, come Caccamo). Anche quei terreni erano finiti sotto il controllo della criminalità organizzata. Il comune li cedeva in affitto dietro il pagamento di un canone esiguo (dai 12 ai 30 euro l’anno, molto al di sotto del valore di mercato) e le aziende riuscivano ad incassare lucrosi contributi europei. La nuova amministrazione di Troina, guidata dal sindaco Fabio Venezia, ha avviato il recupero dell’antico bosco, in passato affidato in gestione ad aziende legate alla criminalità organizzata. L’azienda Silvo pastorale, costituita negli anni ’60, è diventata il motore della rinascita.  È stata avviata l’attività di recupero nei primi 1000 ettari (dei 4200 di proprietà dell’ente). I boschi demaniali sono stati sottratti alle aziende, molte delle quali legate alla mafia. Sei giovani sono stati avviati al lavoro nell’azienda. Cento asini ragusani (arrivati da una cooperativa di Chiaramonte Gulfi) e venti cavalli sanfratellani sono il primo tassello della nuova attività legale. Due mesi fa, l’1 dicembre, l’antico rito della “transumanza” (il trasferimento del bestiame nei terreni più a bassa quota per il periodo invernale) ha riportato nella città una nota di folklore e, insieme, un segnale di legalità. La carovana della “transumanza” ha attraversato anche il centro abitato, dove vivono anche componenti delle famiglie che prima controllavano i pascoli. Un altro segnale di legalità che parte dalle istituzioni politiche e che si salda con il lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine. Oggi, il sindaco Fabio Venezia, nel mirino della criminalità, vive sotto scorta. Ma un nuovo corso è iniziato, pur tra le difficoltà. Nel tempo non sono mancati sconfinamenti, minacce, furti, danneggiamenti. Ma nella città c’è voglia di difendere un patrimonio importante di questa comunità. Una grande manifestazione antimafia si è svolta nel novembre scorso, a Troina si è costituita anche un’associazione antiracket.

Anche l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci (di recente al centro di alcune inchieste che avevano sollevato dei dubbi sul suo operato) ha detto: «Quest’operazione evidenzia in modo chiaro il contesto in cui ci siamo mossi in questi anni mettendo il luce le motivazioni per le quali la mafia, attraverso quel terribile attentato, voleva fermarmi. Nonostante la consapevolezza che, con questa ulteriore ed imponente operazione, l’odio e il rancore contro di me cresceranno ancora di più, è comunque tanta la felicità che provo oggi nel vedere che il nostro lavoro serva al Paese e alla lotta alla mafia».

 

 

 

 

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