Natalia Ginzburg: una donna autentica

Nasceva a Palermo cento anni fa. Il suo ricordo con un brano, da lei scritto per L’Unità il 22 marzo del 1988 sulla necessità di non togliere il crocifisso dalle scuole
Natalie Ginzsburg

Cent’anni fa nasceva a Palermo Natalia Ginzburg. Il padre ebreo di Trieste, la mamma cattolica di Milano. Lei vivrà gran parte della sua vita a Torino. Nel capoluogo piemontese Natalia stringe legami con i maggiori rappresentanti dell'antifascismo. Sposò Leone Ginzburg, professore universitario e dichiarato antifascista, per questo fu condannato al confino – dove lei lo seguì – e poi fu ucciso nella prigione di Regina Coeli a Roma: lei mantenne sempre il suo cognome, anche quando si risposò.

 

Scrisse molto, la Ginzburg, ma la sua opera migliore resta quella che la rese celebre, Lessico Famigliare, con il quale vinse il premio Strega nel ’63. Impegnata in quella sinistra che all’epoca raccoglieva gran parte degli intellettuali –  veri o presunti – nel 1983 fu eletta in Parlamento nelle liste del Pci. Rimase però, al di la delle facili ideologizzazioni molto forti a quell’epoca (e ancora oggi anche se di stampi diversi), una donna autentica, un individuo interiormente libero, dal grande sorriso.

 

Ne è testimonianza un brano che venne pubblicato su L'Unità del 22 marzo 1988, nel quale ella, pur da una prospettiva comunista, difendeva accesamente il diritto di esporre il crocefisso nei luoghi pubblici. Lascio parlare lei con stralci di questo articolo, per me è il più bel modo di ricordarla. «Dicono che il crocifisso deve essere tolto dalle aule della scuola… Però a me dispiace che il crocefisso scompaia per sempre da tutte le classi. Mi sembra una perdita. Tutte o quasi tutte le persone che conosco dicono che va tolto. Altre dicono che è una cosa di nessuna importanza. I problemi sono tanti e drammatici, nella scuola e altrove, e questo è un problema da nulla. È vero. Pure, a me dispiace che il crocefisso scompaia. Se fossi un insegnante, vorrei che nella mia classe non venisse toccato… il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l'immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l'idea dell'uguaglianza fra gli uomini fino allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? …

 

Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. È muto e silenzioso. C'è stato sempre. Per i cattolici, è un simbolo religioso. Per altri, può essere niente, una parte del muro. E infine per qualcuno, per una minoranza minima, o magari per un solo bambino, può essere qualcosa dì particolare, che suscita pensieri contrastanti. I diritti delle minoranze vanno rispettati. Dicono che da un crocifisso appeso al muro, in classe, possono sentirsi offesi gli scolari ebrei. Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato, e non è forse morto nel martirio, come è accaduto a milioni di ebrei nei lager? Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino.

 

Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e dei prossimo. Chi è ateo, cancella l'idea di Dio ma conserva l'idea dei prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c'è immagine.

 

È vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà fra gli uomini. E di esser venduti, traditi e martoriati e ammazzati per la propria fede, nella vita può succedere a tutti. A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi della scuola. Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto o accade di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l'idea della croce nel nostro pensiero. Tutti, cattolici e laici portiamo o porteremo il peso, di una sventura, versando sangue e lacrime e cercando di non crollare. Questo dice il crocifisso. Lo dice a tutti, mica solo ai cattolici…».

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