Narendra Modi a Putin: «Non è il tempo per la guerra»

Un’affermazione che ha fatto immaginare una presa di posizione dell’India sul conflitto russo-ucraino. La frase è quella che il premier indiano Narendra Modi ha rivolto pubblicamente a Vladimir Putin durante il summit della Sco a Samarkanda (15-16 settembre 2022), durante una conferenza stampa: «Non è il tempo per la guerra»
Putin, and Narendra Modi (Alexandr Demyanchuk, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)

In Occidente continua a far discutere la posizione di Paesi come India e Cina nell’ambito della crisi Russo-Ucraina che sempre più mostra di avere un impatto a livello globale. Gli organi di stampa italiani – ed europei in generale – avevano raccolto e rilanciato, non senza tradire una certa soddisfazione, quanto il primo Ministro indiano, Narendra Modi aveva detto a Vladimir Putin, durante il summit della Sco a Samarkanda.

L’ormai famoso «Non è il tempo per la guerra» con cui il primo ministro indiano aveva apostrofato il suo collega russo, alla presenza dei media, aveva, infatti, fatto sperare che anche l’India prendesse una posizione diversa rispetto al conflitto che si sta combattendo nell’Est europeo. La frase era stata, addirittura, citata dal presidente francese Macron.

Le aspettative occidentali (degli USA, della Nato e dei Paesi europei in generale) sono state deluse dalla nuova astensione che l’India ha scelto come posizione da adottare in occasione della risoluzione votata alle Nazioni Unite per condannare i referendum tenuti recentemente nelle zone dell’Ucraina, occupate dall’armata di Mosca.

Resta problematico per la politica occidentale capire da che parte veramente stia Modi – per non parlare di Xi Jinping – nella scottante crisi dell’Europa orientale che rischia l’escalation nucleare, oltre ad aver provocato situazioni critiche a livello economico, finanziario, energetico ed alimentare a livello globale.

È necessario ricordare che l’India per decenni si è mossa nell’orbita di Mosca, pur essendo, grazie al pandit Nehru, uno dei Paesi fondatori del blocco dei non-allineati, che pretendevano di giocare un ruolo cuscinetto fra le due grandi super-potenze ai tempi della Guerra Fredda.

Di fatto, in qualche modo, l’ago della bilancia per il movimento dei non-allineati pendeva decisamente più verso l’Unione Sovietica che verso gli Usa.

C’è, poi, da sottolineare come l’India nei primi decenni successivi all’Indipendenza si fosse affidata, con una economia di stato molto simile a quella dei Paesi del blocco sovietico, più a Mosca che a Washington. Gli accordi fra Urss e India erano molteplici, sia a livello industriale, che commerciale e, soprattutto, militare.

Mosca controllava Delhi. E questo portò anche a momenti di tensione. Non sono ancora dissipati i sospetti sulla morte del primo ministro indiano Shastri, scomparso mentre si trovava in visita all’Urss. Non sono pochi quelli che hanno sospettato un avvelenamento. La questione non è mai stata chiarita del tutto.

Altri momenti critici arrivarono nel corso degli anni, sia con la guerra fra India e Pakistan che, nel 1971, portò all’indipendenza del Bangladesh, che, soprattutto, alla fine del decennio quando Brezhnev decise di invadere l’Afghanistan, ufficialmente perché invitato dall’allora presidente Nur Mohammad Taraki.

La presenza sovietica ai confini occidentali dell’India veniva percepita – a ragione – come una intromissione nella zona e Indira Gandhi, allora Primo Ministro, dovette affrontare la questione con il segretario generale del partito comunista e primo ministro dell’Urss.

Si racconta che Brezhnev, nel corso di un incontro a Mosca nel 1982, si fosse lamentato con Indira per essere stato costretto a intervenire contro il suo desiderio. Si dice che avesse chiesto all’enigmatica primo ministro indiano consigli su come uscirne elegantemente. Indira aveva risposto che «la via di uscita era esattamente quella di entrata». Tale colloquio è stato raccontato recentemente da un veterano della diplomazia indiana, Maharajakrishna Rasgotra, per anni numero due del ministero degli Esteri di Delhi.

Non è, dunque, la prima volta che si verificano interventi della politica e diplomazia indiani che si prestano a diverse interpretazioni e che, comunque, rimangono di difficile decodificazione, soprattutto, alla capacità di lettura occidentale.

L’India, senza dubbio, sta pagando e, con tutta probabilità, non poco per via della guerra russo-ucraina. L’aumento dei prezzi sui mercati internazionali non lascia indenne il gigante indiano. Allo stesso tempo, i suoi politici sanno come inviare messaggi chiari all’interlocutore del Cremlino senza mai rompere i rapporti o contrapponendosi a quello che è da sempre un alleato o un punto di riferimento, sia pure non più come lo è stato fino alla fine della Guerra Fredda.

A Delhi sanno bene che la Russia non è l’Urss non solo a livello di potenza militare, ma anche economica e l’India è, attualmente, una potenza economica e commerciale ben più presente sui mercati globali di quanto lo sia la Russia. In questo contesto, si capisce l’intervento di Modi a Samarkanda. Da un lato, ha mandato un chiaro messaggio a Putin sulla necessità di terminare il conflitto, ma, dall’altro, non lo ha abbandonato, astenendosi nuovamente in occasione di una condanna che molti davano per scontata.

La situazione, infatti, in Asia è ben più complessa di quanto appaia. L’India, non vuole inimicarsi Putin, ma cerca, allo stesso tempo, di mantenere rapporti con l’Unione Europea perché conosce bene gli interessi che questo comporta.

Allo stesso tempo, questi equilibri mirano a tenere alla giusta distanza l’altro gigante, la Cina, che continua a seguire una linea politica simile, sia nel mandare messaggi a Mosca sulla necessità di pensare a soluzioni diplomatiche, sia, comunque, nell’astenersi dal votare risoluzioni contro Putin.

La Russia, in fin dei conti, ha sempre mantenuto rapporti di amicizia con questi giganti, nonostante le molte differenze e le tensioni che possono emergere di tempo in tempo. Recentemente, un altro veterano della diplomazia indiana, Venkatesh Verma, già ambasciatore a Mosca, ha sottolineato che il conflitto nel cuore dell’Europa non è più solo uno scontro territoriale, ma un vero conflitto che ha definito sistemico.

«Probabilmente – ha commentato – è arrivato il momento degli imperativi che dettano la pace internazionale piuttosto di altri principi che coinvolgono il conflitto ucraino». «È arrivato il tempo – ha concluso – in cui le superpotenze tornino all’etica di accomodamenti reciproci». Il richiamo è sia alla Russia che agli Usa.

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