Napoli in festival

Un grande evento culturale, ancora in corso, che ha riscattato la pagina nera del degrado degli ultimi mesi. La prima edizione del Napoli Teatro Festival Italia coniuga più anime: quella classica, contemporanea ed extraeuropea. Un cartellone ricchissimo, dislocato, oltre che nei teatri tradizionali, in location storiche, spazi inusuali e nuovi. Come il Real Albergo dei Poveri, che ha ospitato Le Troiane, rivisitate da Virginio Liberti e Annalisa Bianco tenendo a battesimo la nuova Compagnia teatrale europea di giovani attori professionisti. Alternando le diverse lingue assistiamo al comporsi di una tragedia della collettività la cui eco – che include citazioni della russa Politkovskaja e di Susan Sontag – arriva all’oggi. Quella della violenza sulle donne e sui bambini, e quella della fame dei vinti, dopo ogni guerra. Irriverenti e beffardi verso le donne destinate come bottino ai capi greci, gli dèi e i vincitori siedono in uno spazio di lamiere che si trasformerà in un interno domestico dove si consumano i lamenti di Elena, Cassandra ed Ecuba. Quest’ultima, incarnazione di un popolo distrutto dalla guerra, viene moltiplicata in più interpreti; e Cassandra, vestita da cresimanda, appare con un giglio in mano, simbolo di una purezza poi violata. È terragna e nera la bellissima Médée occitana di Max Rouquette con la regia di Jean-Louis Martinelli, e un cast di attori del Burkina Faso che trasporta la tragedia di Euripide nell’Africa misteriosa. Incarnazione primitiva e divina, Medea è la barbara, la straniera e l’esiliata per eccellenza. E il cortile all’aperto dell’Albergo dei Poveri è un accampamento, luogo emblematico del rifugiato. Tra reticolati, tende, bidoni per il fuoco e sassi per propiziare riti magici, si aggira un coro che scandisce gli eventi con un salmodiare in lingua bambara. Questi vestono abiti tradizionali in contrapposizione a quelli occidentali di Giasone e del re Creonte, simboli di un potere al quale non si sottometterà Medea. Itinerante in varie gallerie d’arte, ha debuttato England con la regia di Carlo Cerciello. Il testo di Tim Crouch, che intreccia questioni esistenziali a domande sull’arte, vede agire una coppia di coniugi (Mercedes Martini e Paolo Coletta) lui collezionista, lei scopertasi malata di cuore. Al trapianto che la salverà, seguiranno interrogativi pressanti e la necessità di incontrare in India i familiari del donatore. Testo intrigante, che però non riesce a raggiungere un suo vero nodo drammaturgico. Fra gli altri debutti, L’inseguitore, di Tiziano Scarpa: surreale e quotidiano, con quattro personaggi alla ricerca di gesti d’amore che riscattino solitudine ed emarginazione. Fino allo svelamento finale dell’uomo con una figlia affetta da una malattia fisica. Il ritmo scenico è scandito da parole lanciate in fuga che l’anziano inseguitore e un malavitoso ingaggiano tra corse e soste ininterrotte. E sono bravissimi Arturo Cirillo, anche regista, e Michelangelo Dalisi, appropriati interpreti di urbane inquietudini malate.

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