Napoli come Genova, porto chiuso alla guerra

Corteo sul molo di Napoli per chiedere di impedire l’accesso a navi con armi nucleari e l’accoglienza verso i migranti in fuga. Un’istanza condivisa da una parte della società civile e dalla Chiesa partenopea con la forte presa di posizione del vescovo Domenico Battaglia
Missili su navi militari (AP Photo/Steve Helber)

Napoli città di pace vuol dire «rifiutare l’accesso alle navi a propulsione nucleare o con armi atomiche a bordo» e, allo stesso tempo, assicurare «un porto franco e sicuro per chi arriva dalle violenze dei propri Paesi di origine».

Senza troppi giri di parole, è questo il senso di un corteo diretto verso il molo marittimo che comincerà all’insolito orario delle 14 del pomeriggio di sabato 19 novembre, con la presenza dell’arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia.

Il presule calabrese, definito per la sua storia di impegno con gli ultimi un “prete di strada”, ha spiegato all’agenzia Sir il valore di un gesto pubblico, condiviso con un signicativo numero di associazioni di diversa estrazione, che non intende essere affatto simbolico.

La marcia si concluderà con la richiesta di un’interlocuzione diretta con l’autorità portuale di Napoli alla quale sarà richiesto di dare attuazione della delibera 609/2015 della Giunta del Comune di Napoli che prevede la denuclearizzazione del porto e quindi «di non autorizzare l’accesso in rada alle navi a propulsione nucleare o con armi atomiche».

Allo stesso tempo sarà esplicitata al sindaco Manfredi e a tutta l’amministrazione cittadina la richiesta di essere coerente con la dichiarazione di “Napoli città di pace” contenuta nello Statuto comunale, dando attuazione, tra l’altro, alle misure di protezione civile previste dal «piano di emergenza esterno per incidenti nucleari al porto, approvato nel 2006 dalla Prefettura di Napoli, ma mai divulgato alla cittadinanza».

Sono segnali concreti di una società civile dove è ben presente e attiva una realtà ecclesiale che non ha timore di esporsi e prendere posizione. Così come è avvenuto il 2 aprile a Genova con il vescovo Angelo Tasca, sceso in piazza per sostenere l’obiezione di coscienza dei lavoratori portuali del Calp che hanno rifiutato di caricare armi su navi destinate nei teatri di guerra medio orientali.

A Napoli come a Genova, poi, si sottolinea, allo stesso tempo, la chiusura del porto alle armi e l’apertura verso i migranti che, come dice il vescovo Battaglia, «non sono ladri di posti di lavoro, ma sono uomini e donne che vogliono continuare a sognare, vogliono vedere il cielo aperto per i loro figli».

La scelta di esporsi comporta diversi rischi. Dal possibile flop di partecipazione ad iniziative che appaiono profetiche ma di minoranza, alla necessità di essere credibili in un impegno diretto e costante nel cambiare le cose concretamente.

Secondo le cronache, l’ultimo sottomarino militare con armi nucleari è stato oggetto di attenzione e contestazione in città nel 2018, ma il clima di tensione internazionale è tale da prevedere l’attracco di altri navi da guerra come è avvenuto, ad esempio, ad inizio novembre, con l’arrivo a Gibilterra del sottomarino USS Rhode Island che può trasportare fino a 20 missili balistici Trident D5 in grado di colpire a 18mila chilometri di distanza.

Come ha messo in evidenza uno studio di scenario dello Iriad, Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, il nostro Paese rientra tra gli obiettivi militari immediati di un attacco con armi nucleari in Europa per la presenza di numerose basi strategiche poste a servizio della Nato o direttamente degli Usa. È questo uno dei motivi che impedisce, tra l’altro,  l’adesione o almeno la discussione sul Trattato internazionale di messa al bando delle armi nucleari approvato in sede Onu nel 2017. A Ghedi e Aviano sono stoccate decine di bombe nucleari che saranno sostituite entro il 2022 dalla nuova versione dei modelli B61-12 adatte al trasporto sui caccia bombardieri F35.

Su questi “temi tabù” si sono espressi in maniera diretta non solo il papa ma anche i vescovi italiani e una rete di oltre 40 associazioni e movimenti cattolici. La messa in discussione dell’abolizione delle armi nucleari, come istanza urgente per impedire il suicidio, dell’umanità è quindi al centro della marcia e manifestazione napoletana che si terrà non lontana dalla sede del comando militare NATO che si trova a Lago Patria nell’area della città metropolitana partenopea.

L’Allied Joint Force Command (JFC)-Naples ha un valore fondamentale perché costituisce uno dei due comandi strategici operativi del Quartier generale delle potenze alleate in Europa (Supreme Headquarters Allied Powers Europe).

Rimettere in discussione la dottrina, finora vigente, della deterrenza nucleare vuol dire rendere ragione dei motivi che fanno credere, come ripete da sempre la Federazione degli scienziati americani, che l’attuale proliferazione e diffusione di armi nucleari non rappresenti affatto una garanzia di stabilità fondata del reciproco terrore, ma una fonte di immediato pericolo esposto ad una miriade di variabili accidentali.

Sono passati pochi giorni dalle ore di sospensione successive ad un incidente in Polonia in grado di giustificare la possibile estensione del conflitto in Ucraina in uno scontro diretto tra Nato e Russia.

Come riporta su Affari internazionali l’ambasciatore Carlo Trezza, a fine ottobre il Pentagono ha adottato una nuova posizione della propria dottrina nucleare che non permette ancora agli Usa di aderire al principio del “no first use” adottato, invece, da Cina e India.

Una norma di autodisciplina, molto aleatoria ad avviso del professor Pascolini da noi già intervistato, ma in grado di esplicitare l’impegno a non usare per primi l’arma nucleare. Un principio destinato a valere solo tra Paesi nucleari o nei confronti di attacchi con armi chimiche o biologiche. In caso di attacco con  armi convenzionali, come quelle usate finora in Ucraina, vale ancora la “dottrina Obama” che prevede “solo” una devastante risposta militare.

La congiuntura internazionale è tale, afferma l’ambasciatore italiano per tanto tempo presente in sede Onu, da «affidarsi alla speranza che nessun capo di stato o di governo in possesso delle sue capacità mentali decida di impiegare per primo l’arma nucleare».

Si comprende, perciò, il senso e il valore dell’iniziativa di Napoli che, secondo don Mimmo Battaglia, ha una vocazione di costruzione della pace «con caratteristiche uniche e amate da tutto il mondo».

(Promotori di Fari di pace sono: Africa Oggi, Agesci Zona Napoli, Associaz. Città Aperta Pomigliano, Associaz. Claudio Miccoli, Associaz. La Mano sulla Roccia, Associaz. Marco Mascagna, Associaz. Samb e Diop, Associaz. Scuola di Pace, Asso.Gio.Ca., Azione Cattolica, Caritas, Chiesa Battista Via Foria, Chiesa Valdese Via dei Cimbri, Comitato campano Pace e Disarmo, Comunità di base Cassano, Comunità di base Vomero, Comunità Lasalliana Scampia, Comunità Palestinese della Campania, Cooperativa ‘E Pappeci, Cooperativa sociale Irene ’95, CVX Gesù Nuovo, F.O.R.G.A.T. ODV, Fratelli Scuole Cristiane Scampia, Greenpeace Italia, Gridas, Mani Tese, Movimento dei Focolari, Movimento Internazionale della Riconciliazione, Movimento Internaz. Pace e Salvaguardia del Creato III Millennio, Oratorio San Giovanni Bosco San Sebastiano al Vesuvio, Pax Christi Italia, Peacelink Campania, Rete Pangea, Rettoria Gesuiti Scampia, Segretariato Attività Ecumeniche Napoli-Caserta, Servas Italia Porte Aperte, Settore Giustizia e Carità Diocesi di Napoli, Settore Laicato Diocesi di Napoli, Sindacati CGIL e CISL, Speranza per Caserta, The Weapon  Watch, Un Ponte Per).

In preparazione del corteo pomeridiano il Movimento dei Focolari ha organizzato lo stesso sabato 19 novembre, dalle ore 10.30, un incontro di approfondimento nella Sala della Loggia presso il palazzo del Maschio Angioino.

per info e contatti

focolari.napoli@focolare.org

 

 

 

 

 

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