Nanetti e cinesini

Una squadra di basket multietnica alle porte di Milano dove i ragazzi imparano la convivenza giocando.
Pallacanestro

«Tranquilli, ragazzi. Oggi vinciamo facile: questa è una squadra di nanetti e cinesini». Pronostico quanto mai azzardato, se il gruppo in questione è composto, prima di tutto, da amici con la voglia di divertirsi giocando insieme. E di vincere, ovviamente.

Questa è una storia di canestri e rimbalzi, di stoppate e assist, di spettacolo e talento. Ma anche di amicizia e solidarietà, di fraternità e libertà, di gioco e divertimento. I “nanetti e cinesini” sono una squadra di basket un po’ speciale, un gruppo multietnico nel quale si fondono ragazzi italiani ed extracomunitari. Siamo a Cassina de’ Pecchi, alle porte di Milano, ma potremmo benissimo trovarci a Manila o a Quito. Sì, perché della combriccola di piccoli cestisti della Sds Arcobaleno fanno parte ragazzini italiani e filippini, con l’aggiunta di un ecuadoregno dal nome “australiano”, Sidney.

Una storia iniziata cinque anni fa. «Hanno fatto subito amicizia – racconta Alfonso, il loro primo allenatore, che ora ha lasciato il gruppo per dedicarsi ai ragazzi più piccoli –. Questo, nonostante le diversità e le difficoltà linguistiche. Tra i genitori, invece, non è stato subito così. Cassina è un paese “diviso a metà”: ricchi e poveri. Gli italiani appartengono alla metà ricca, gli extracomunitari a quella povera».

 

Praticare un nuovo sport è sempre una scoperta, farlo dandosi delle regole comportamentali può aiutare. «Ho chiesto loro come desideravano vivere questa esperienza – continua Alfonso –, così abbiamo preso un pezzo di carta e ci abbiamo scritto sopra alcune frasi: giochiamo perché ci piace; giochiamo per vincere; giochiamo tutti; se siamo in panchina, incitiamo i compagni. Abbiamo firmato tutti, me compreso».

Certo, non sempre i rapporti in campo potevano definirsi idilliaci, ma i progressi non si sono fatti attendere. Dopo un primo anno di soli allenamenti (con l’aggiunta di qualche amichevole) per conoscere meglio il gioco, ecco l’iscrizione al campionato Csi. Una stagione di ambientamento, poi il boom. Due campionati vinti di fila e il raggiungimento delle finali provinciali, nonostante spesso e volentieri la Sds Arcobaleno si trovasse ad affrontare ragazzi più grandi. E forse i “nanetti e cinesini” sarebbero potuti arrivare anche più in là, non fosse stato per una regola non scritta che ci spiega lo stesso Alfonso: «Siamo stati eliminati per la differenza canestri sfavorevole. Questo perché giocavano tutti, anche i ragazzi meno bravi. E una volta ottenuto un bel vantaggio, cercavamo di non umiliare gli avversari, facendo in modo che a fine partita il divario non risultasse troppo pesante».

 

Sportività ai massimi livelli («si cercava di mandare a canestro tutti, anche i giocatori meno dotati», aggiunge Alfonso) e solidarietà, silenziosa ma concreta. Due episodi hanno per protagonista Sidney, il ragazzo ecuadoregno, quello con più difficoltà di socializzazione. «A volte ci allenavamo o si giocava nel primo pomeriggio – racconta Alfonso –. Iniziai a notare che, in quelle circostanze, Sidney non rendeva al massimo. Un giorno ebbi un’intuizione, e gli chiesi se aveva pranzato. Lui mi rispose di no, perché la mamma non era rientrata in tempo per cucinare. Per contro, sapevo che la madre di un ragazzo italiano portava sempre qualche merendina per suo figlio. Così, andai da lei e le chiesi se non avesse qualcosa per Sidney. Da quel giorno, c’erano merendine per tutti». O ancora: «Sidney correva male, non capivo perché. Poi scoprii: aveva le scarpe troppo strette. Così, tramite la Caritas siamo riusciti a fargliene avere un paio nuovo di zecca. Adesso, senza che io dica nulla, all’inizio di ogni stagione gli arrivano le scarpe adatte». Piccoli gesti che hanno reso più semplice il processo di integrazione: «Ogni tanto vado a vederli ancora – continua Alfonso –. Sidney ora è il capitano della squadra. I ragazzi extracomunitari hanno utilizzato la pallacanestro come segno distintivo, perché a scuola avevano problemi. Lo sport è stato un mezzo per riscattarsi, la diversità un modo per unire piuttosto che dividere».

 

«Tranquilli, ragazzi. Oggi vinciamo facile: questa è una squadra di nanetti e cinesini». Per la cronaca, il primo tempo di quella partita si è concluso sul 32-2. Per chi? Per i “nanetti e cinesini”, ovviamente.

 

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