Muri d’Egitto al confine con Gaza

L’Egitto starebbe costruendo qualcosa a Rafah, vicino al confine della ex Striscia di Gaza. Lo confermerebbero alcune immagini satellitari pubblicate da Sinai Foundation for Human Rights, anche se il governo egiziano smentisce che si tratti della realizzazione di un gigantesco campo profughi.
Rafah palestinese vista dall'Egitto, 12 dicembre 2023. ANSA / Domitilla Conte

Il sito si trova nel Sinai egiziano, appena oltre il valico di Rafah, in una zona resa volutamente desertica da tempo, perché da queste parti partivano i famigerati tunnel per rifornire e armare la resistenza palestinese ancor prima dell’avvento di Hamas. Il presidente egiziano al-Sisi, fin dalla sua ascesa al potere nel 2013, molti di quei tunnel, evidentemente non tutti, li ha fatti allagare con acqua di mare, interrare e sbarrare. In superficie dopo il 2014 sono stati rasi al suolo circa 700 ettari di terreni un tempo coltivati e poco meno di mille abitazioni che c’erano sopra.

In quest’area a due passi dal confine con la Striscia di Gaza, dal 5 febbraio sono iniziati nuovi lavori: macchine per movimento terra, camion, bulldozer. Secondo immagini satellitari pubblicate da Sinai Foundation for Human Rights e citate dal Washington Post e dal New York Times, e riprese da molti altri media, sarebbe in corso la costruzione di muri di cemento, alti 5 metri, che racchiuderanno un’area di circa 5 chilometri quadrati, che è già stata quasi del tutto spianata. Lo scopo, data la posizione, sembra evidente: creare una zona per “rinchiudervi” eventuali civili palestinesi che riuscissero a sfuggire all’attacco annunciato dall’Esercito israeliano contro le milizie di Hamas che ancora si trovano nell’ultimo lembo di quella che fino a qualche mese fa si chiamava Striscia di Gaza.

Netanyahu non molla. Non conta neppure cosa ne sarà dei 134 ostaggi ancora nelle mani di Hamas. Il ministro israeliano Smotrich ha detto che il loro ritorno è «molto importante» ma che non potranno essere riscattati «ad ogni costo»: l’unico modo per liberarli è sconfiggere Hamas. Questo sì ad ogni costo. Anche se il “costo” è bombardare il milione e mezzo (dati Onu) di civili palestinesi ammassati a Rafah, compresi 600 mila bambini e ragazzi. E quindi incrementare inevitabilmente l’“effetto collaterale” di ammazzare altri civili: finora il bilancio delle vittime nell’enclave palestinese dal 7 ottobre è, secondo Hamas, di 29.195 morti e 69.170 feriti. Va anche detto che a Rafah, nella tendopoli dei sopravvissuti palestinesi cacciati da tutta la Striscia, la densità di popolazione è stimata in 22 mila persone per chilometro quadrato (nel centro di Milano in un’area equivalente le persone sono circa 2 mila).

La zona oltre il confine che gli egiziani stanno a quanto pare spianando e recintando non potrà mai “accogliere” tutta quella gente, è evidente. Secondo alcuni potrebbero forse entrarci 100 mila persone, ma è meglio rinunciare a immaginarsi in che condizioni dovrebbero starci. Il Wall Street Journal riferisce di una grande quantità di tende da montare che sarebbe in arrivo nella zona.

In ogni caso l’Egitto non ha alcuna intenzione, e il governo di al-Sisi lo ha ribadito più volte, di creare uno o più mega-campi profughi nel Sinai. Se però dovesse succedere l’irreparabile, con una grande struttura chiusa l‘Egitto spera forse di poter in qualche modo controllare l’esodo. Ed eventualmente chiedere fondi internazionali per la gestione della situazione. Ma tutto questo potrebbe essere pura invenzione, dato che ufficialmente l’Egitto nega che i lavori in corso a Rafah abbiano a che fare con un campo per palestinesi in fuga dalla Striscia di Gaza.

A proposito del “teorema” del governo israeliano (e non solo) secondo cui l’imminente «sconfitta di Hamas» a Rafah risolverebbe tutto o quasi, è interessante l’opinione di un esperto di tutto rispetto. Si tratta di Lorenzo Vidino, direttore del Programma sull’estremismo della George Washington University, che in un’intervista di Francesco De Leo pubblicata il 6 gennaio 2024 su affarinternazionali.it, diceva: «Come più di 20 anni fa, quando Bush sulle macerie delle Torri Gemelle parlava di porre fine al terrorismo, obiettivo poco realizzabile, ma che suonava bene, anche in questo caso, sebbene si tratti di un obiettivo più limitato, distruggere Hamas risulta comunque difficile per vari motivi. Prima di tutto perché Hamas ha una forte presenza di leadership, alta e di medio livello, in una serie di altri Paesi. E se in alcuni di questi i leader possono essere colpiti dagli israeliani, come abbiamo visto in Libano (…), in altri Paesi, come Turchia o Qatar, risulta molto più difficile. Ricordiamoci che quando il nemico numero uno di Israele era l’Olp, l’organizzazione palestinese pur vedendo i suoi leader cacciati dal territorio palestinese, riuscì a ricostituire una leadership a Tunisi, in Giordania, in Siria, in Libano. Il gruppo rimase in piedi».

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