Multietnicità bella e vincente

Editoriali

Partiti per la Nigeria oggetto di facili ironie per i loro cognomi “stranieri”, sono tornati col titolo di campioni del mondo under 17, conquistando sette vittorie di fila, battendo Italia, Brasile e, in finale, la favoritissima squadra di casa. Sono i ragazzi della multietnica e multiculturale nazionale svizzera, un gruppo fantastico di giovanissimi talenti, sbocciati in terra elvetica grazie all’immigrazione dei loro genitori, su cui la piccola Federazione svizzera, senza forti tradizioni pedatorie, ha investito da tempo con sapienza, mettendo a loro disposizione un gruppo di tecnici di valore, magistralmente guidati da Dany Ryser. Oggi, a dispetto di un calcio stellare e spendaccione, ne raccoglie i frutti.

 

Considerano la Svizzera, in cui sono nati, il loro Paese, ma dodici su ventuno ragazzi d’oro hanno il doppio passaporto: sul tetto del mondo con la bandiera elvetica ci sono gli albanesi Xhara e Kasami, il ghanese Nimeley, il tunisino Ben Khalifa, il croato Nakic, i bosniaci Seferovic e Hajrovic, il serbo Mijatovic, il kosovaro Veseli, il congolese Kiassumbua, il portoghese Goncalves, l’italiano Vecchi. Un trionfo più multietnico di quello della Germania agli ultimi europei under 21, in cui erano “solo” nove i ragazzi con doppia cittadinanza. Senza dimenticare i sette oriundi elvetici che hanno consegnato alla Nazionale maggiore il pass per il Sud Africa.

 

«La Svizzera è questa», scrivono i maggiori quotidiani. Una realtà che cambia e dove Nassim, Kofi o Pajtim diventano l’orgoglio dei cittadini elvetici cosi come Bruno o Benjamin. Il Paese, anche se il recente referendum “contro i minaret” non sembra incoraggiante, cerca oggi di tenersi stretti i propri giovanissimi eroi del pallone dal doppio passaporto, evitando che si ripeta quanto già accaduto con l’ex fiorentino Kuzmanovic e con Rakitic, oggi rispettivamente con la maglia serba e croata dopo aver indossato quella elvetica fino ai ventun’anni. «Ora tutti giurano fedeltà alla bandiera svizzera. L’intera nazione – si legge sulle colonne del Blick – spera soltanto che mantengano la parola data».

Noi intanto cerchiamo di mettere a frutto la lezione, non solo calcistica, che la Svizzera ci impartisce. Chissà se potremo meritarci un giorno un titolo sulle pagine dei nostri quotidiani sportivi, come quello proposto dal quotidiano svizzero Le Temps: «Deliziosamente multietnica, altamente qualificata, questa Svizzera respira solidarietà, condivisione, talento. E fa venir voglia di identificarsi. Di andare fino in fondo». Lo speriamo.

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