Mugabe al capolinea

Quando negli anni Sessanta spedivamo stranamente dall’Italia vagoni di mele in Rhodesia, era perché i coloni inglesi che avevano dissodato quell’angolo remoto dell’Africa australe vi avevano trovato un paradiso terrestre, dal clima mite, fertile e ricco di minerali preziosi; ma le mele con cui confezionare la torta della nonna dovevano farle arrivare dall’Italia. Particolare futile, certo, che svelava tuttavia come, al pari dei francesi di Algeria e dei portoghesi dell’Angola, pensassero ancora che di là non sarebbero partiti mai. Tassello dopo tassello, invece, la decolonizzazione coprì rapidamente tutto il mosaico africano arrivando anche in Rhodesia. E, come altrove, non fu certo pacifica. Nel nuovo Stato, che si chiamò Zimbabwe, di coloni ne rimasero pochi, non più illusi di salvare le loro proprietà, men che meno il loro stile di vita, di tutto preoccupati ormai, fuorché delle mele che, dalla Romagna, non partirono più per le terre dell’alto Zambesi. Dal primato del benessere, che la Rhodesia, ora Zimbabwe, aveva condiviso col Sudafrica, il Paese precipitò ben presto a segnare primati negativi, fino a registrare negli ultimi mesi un’inflazione di un milione e mezzo per cento. A onor del vero, la storia dello Zimbabwe non differisce molto da quella di tante altre nazioni del continente nero, uscite impreparate dalla fase coloniale; e di ciò, lo sappiamo bene, anche noi europei abbiamo grandi responsabilità. Si può dire però che chi, dopo alterne vicende, prese in pugno le sorti dello Zimbabwe, cioè Robert Mugabe, riuscì a battere i primati negativi fatti registrare da tanti dittatori africani. Non si può dire, invece, se altri fra i pretendenti al suo trono di monarca assoluto, avrebbero compiuto i miracoli che lui non ha fatto, pur riuscendo a restare in sella dal 1987 fino ad oggi. Questa volta, però, giunto alla quinta possibile rielezione, ormai ottantaquattrenne, Mugabe non ha stravinto. Dopo una campagna elettorale segnata da violenze, l’oppo – sizione si è trovata in vantaggio e si è reso necessario un ballottaggio. Scatenatisi i sostenitori di Mugabe, il candidato dell’opposizione Tsvangirai, per evitare un bagno di sangue, si è visto costretto a ritirarsi. Mugabe, a questo punto, ha corso da solo. La comunità internazionale è sdegnata, ma divisa sul da farsi. Troppi interessi legano ormai a questa fetta di Africa le nuove potenze emergenti, a cominciare dalla Cina. Anche il Sudafrica ambisce a un ruolo preminente, nel quadrante australe dell’Africa. L’Italia richiama l’ambasciatore. Gli Usa e l’Europa si rivolgono all’Onu chiedendo di imporre sanzioni allo Zimbabwe. Mentre l’Unione africana approva una risoluzione che prevede il passaggio a un governo di unità fra le due fazioni contendenti. Questa volta la proposta degli africani appare la più costruttiva, sempreché l’impegno degli Stati che l’hanno caldeggiata arrivi ad evidenziare disponibilità concrete da parte degli stessi proponenti a spendersi per la sua realizzazione.

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