Movimenti:scuole di comunione e di libertà

Èsembrato d’essere tornati, di colpo, ai grandi appuntamenti del Giubileo del 2000. Un oceano di gente proveniente dai quattro angoli del pianeta, cappellini di ogni colore, zaini e seggiolini al seguito. Una folla che ha riempito anche via della Conciliazione e le strade adiacenti sino al piazzale di Castel Sant’Angelo. Quasi 450 mila persone, giunte per l’appuntamento con Benedetto XVI. Un numero inatteso. Moltissimi i giovani. Striscioni e cartelli con i nomi dei gruppi d’appartenenza, come vele al vento sul mare di teste. Gente tra loro sconosciuta, ma non estranea. I primi saluti e poi subito a fraternizzare, raccontandosi vicende personali e storie dei rispettivi gruppi. Decine di migliaia gli appartenenti ai grandi gruppi internazionali – dai Neocatecumenali al Rinnovamento carismatico, dal Movimento dei focolari a Comunione e liberazione, a Sant’Egidio – accanto ai membri di piccole comunità, approvate dalla Chiesa negli ultimi anni, dopo lo storico primo incontro dei movimenti con papa Wojtyla nel 1998. In piazza anche delegazioni ecumeniche, con ortodossi, evangelici, anglicani. L’appuntamento con il papa era d’importanza decisiva. Due le domande di fondo: quali indicazioni avrebbe fornito ai movimenti? E poi: si sarebbe mosso in continuità con Giovanni Paolo II, grande sostenitore dei nuovi carismi? Voi appartenete alla struttura viva della Chiesa. Essa vi ringrazia per il vostro impegno missionario e per l’azione formativa che sviluppate, aveva scritto Benedetto XVI qualche giorno prima della vigilia di Pentecoste ai 300 delegati intervenuti al secondo convegno mondiale dei movimenti, svoltosi sui Castelli Romani. Ma si sapeva che nel cenacolo a cielo aperto di piazza San Pietro la parola pentecostale di papa Ratzinger avrebbe avuto ancora maggiore pregnanza. Preludio sono stati il saluto iniziale al papa di Chiara Lubich, assente per ragioni di salute – letto da Graziella De Luca, una delle prime compagne della fondatrice dei Focolari – e gli interventi di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, e di don Julian Carron, successore di Giussani (visto sui maxischermi, come la Lubich) alla guida di Comunione e Liberazione. Stupita la folla, invece, dalla franchezza di Kiko Arguello, che, senza giri di parole, ha esclamato con indomito piglio: Quanto è difficile che le istituzioni capiscano che hanno bisogno di carismi!. Poi, la parola del papa. Ma ancor prima Benedetto XVI si è concesso l’unico fuori programma, arrivando con la jeep sino in fondo a via della Conciliazione per raggiungere tutti e tutti salutare. Il volto di Ratzinger esprimeva con evidenza la gioia e la riconoscenza per una partecipazione tanto convinta e viva. Anche lui, probabilmente, ha vissuto nell’attesa dell’avvenimento. Se ne sente traccia in alcuni passaggi dell’ampio discorso. Se ai congressisti aveva scritto di essere sempre scuole di comunione e luce in un mondo frastornato, al popolo dei movimenti che gli sta davanti chiede di essere vivi, liberi, uniti. Più che un augurio, un triplice solenne mandato, quasi un imperativo , ha commentato Gianfranco Marcelli su Avvenire. I movimenti sono nati proprio dalla sete di vita vera, sono movimenti per la vita sotto ogni aspetto , ha proseguito Ratzinger. Siate scuola di libertà vera. La vera libertà si dimostra nella responsabilità . E, ancora, Lo Spirito Santo, dando vita e libertà, dona anche unità. Sono tre doni, questi, inseparabili tra di loro. Vita, comunione, libertà, responsabilità, unità. Parole cardine, in vista di uno scopo, verifica puntuale della presenza dello Spirito Santo: lo slancio missionario. Tanto che papa Ratzinger chiude con una richiesta, vero e proprio programma per movimenti e nuove comunità: Vi chiedo di essere di più, molto di più, collaboratori nel ministero apostolico universale del papa. Lui sa che non mancano difficoltà in numerose diocesi e parrocchie. E che non tutto si appianerà in un batter d’occhio. Alla consegna aveva volutamente fatto precedere un desiderio: I pastori staranno attenti a non spegnere lo Spirito e voi non cesserete di portare i vostri doni alla comunità intera. Nelle orecchie dei fondatori e dei responsabili erano risuonate le parole ascoltate i giorni precedenti: Non c’è istituzione senza carisma e non c’è carisma senza istituzione . Anche il card. Scola aveva ricordato che è pretestuoso ed errato ridurre i movimenti nell’ambito della pura dimensione carismatica e relegare diocesi, parrocchie e aggregazioni classiche a quella istituzionale. Poi, un invito ai confratelli: I pastori debbono resistere alla tentazione di concepire i movimenti come mera forza lavoro. Al riguardo, era risultato illuminante l’intervento – in seno al congresso dei movimenti – di mons. Fouad Twal, ora arcivescovo coadiutore del Patriarcato latino di Gerusalemme, che ripercorreva l’esperienza vissuta quale vescovo di Tunisi. Aveva fatto un appello. La risposta era arrivata da Comunione e Liberazione, Neocatecumenali, Focolari. La nostra chiesa ha cominciato a ringiovanire e a vivere di più la sua universalità attraverso la diversità dei carismi. Mentre i giovani arabi musulmani sognano di partire per l’Europa, hanno visto arrivare coetanei europei, entusiasti e impegnati, che lasciavano comfort e libertà e cominciavano a lavorare con generosità e discrezione, mostrando così la bellezza e la grandezza di Colui che li aveva invitati nel mondo arabo. Uno choc per i musulmani. Uno choc salutare che interrogava e invitava a riflettere. È stato l’inizio del dialogo. Un ulteriore quesito aleggiava in vista dell’appuntamento romano: quale cammino era stato compiuto dal 1998 ad oggi? Papa Wojtyla aveva lanciato una sfida: la Chiesa si attende da voi frutti maturi di comunione e d’impegno. Nei tre giorni di riflessione del congresso, la risposta più eloquente è venuta dal clima di amicizia, dalla sintonia spirituale, dalla complementarietà dei carismi, dalle collaborazioni in atto alle diverse latitudini. Ma è stato esplicativo l’intervento di mons. Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio consiglio per i laici, che ha individuato tre segni di maturità ecclesiale: una comunione sempre più salda con il papa e i vescovi, e una comunione fraterna tra le aggregazioni; l’impegno missionario, arricchito dalla fantasia di trovare vie sempre nuove per l’annuncio; la giovinezza dello spirito, frutto della quotidiana fedeltà al proprio carisma. Quello che, comunque, piace di più a mons. Rylko – e non a caso se lo è tenuto per la fine dell’intervento di chiusura – è che i movimenti siano una sana provocazione. Nel mondo di oggi, dove è in atto una forte azione omologante della cultura contemporanea, che non tollera chi va contro la corrente del politicamente corretto . Ma una provocazione anche per le parrocchie e le diocesi. Ad un cristianesimo stanco e scoraggiato, i movimenti propongono slancio, gioia, felicità. A comunità cristiane chiuse, propongono il coraggio dell’annuncio in tutti gli ambienti. La luce calda e dorata del tramonto romano è sembrato ponesse un sigillo su una giornata indimenticabile. Era piovuto sino a venerdì notte e la pioggia avrebbe ripreso la domenica pomeriggio, ma per l’incontro con il papa il cielo si era regolato. La folla iniziava a sciamare appagata e composta, dando ulteriore prova di cittadinanza responsabile. IL MESSAGGIO DI CHIARA LUBICH Beatissimo Padre, mi rivolgo a lei a nome di tutti i movimenti e delle nuove comunità ecclesiali rappresentati in questa piazza. È innanzitutto la nostra viva e profonda gratitudine che le vogliamo esprimere, Santità, per averci nuovamente convocati e radunati tutti insieme qui al Soglio di Pietro, attorno a lei. Come non ricordare in questo giorno l’amatissimo suo predecessore, il Santo Padre Giovanni Paolo II e il nostro memorabile incontro con lui la vigilia della Pentecoste 1998? In quel giorno egli ci aveva preannunciato che si apriva dinanzi a noi una tappa nuova: quella della maturità ecclesiale. La Chiesa – aveva detto – si aspetta da voi frutti maturi di comunione e di impegno . Queste sue parole, con le altre, mediante le quali egli aveva definito il nostro posto nella Sposa di Cristo come un’espressione significativa della dimensione carismatica della Chiesa, coessenziale a quella istituzionale, erano state per noi di comprensione e riconoscimento, ma anche di grande responsabilità. Vogliamo essere degni di una tale fiducia. In quell’occasione, d’accordo con altri fondatori, avevo promesso al Santo Padre Giovanni Paolo II che ci saremmo impegnati per incrementare la comunione tra i movimenti e le nuove comunità. Oggi possiamo dire che l’amore vicendevole e l’unità tra tutti sono cresciuti oltre ogni nostra previsione. Le nostre comunità, infatti, e i nostri movimenti ci appaiono come tante reti di amore che Dio sta tessendo nel mondo, quasi ad anticipare – a livello di laboratorio – in continuità con l’opera mirabile degli ordini e delle congregazioni religiose, l’unità della famiglia umana. E la nostra gratitudine incommensurabile va a Colui che avvertiamo essere il vero protagonista della fioritura dei nostri movimenti: lo Spirito Santo che ci ricolma sempre dei suoi doni. Egli è all’opera nella nostra epoca e continua la sua azione nei secoli a favore della Chiesa che, edificata sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti (Ef 2,20), è lievito della civiltà dell’amore. A lei, Santità, vogliamo assicurare che la collaborazione e la comunione tra i movimenti e le nuove comunità continuerà, affinché, nella piena comunione ed obbedienza con lei e con i pastori della Chiesa, si lavori per l’attuazione degli stessi scopi voluti da Gesù, prima di tutto: l’unità. E la nostra amata Chiesa sarà più una, più famiglia, più accogliente, più bella nella sua varietà. Ella testimonierà Cristo nelle sue molteplici prerogative e Maria, la Madre di Dio, la carismatica per eccellenza. ANDREA RICCARDI (COMUNITÀ SANT’EGIDIO) C’È ORA UNA STORIA COMUNE Prof. Riccardi, quali risultati nel rapporto tra i movimenti dalla Pentecoste ’98? I movimenti non hanno creato una confederazione. I movimenti sono come persone, persone collettive. Si sono incontrati, conosciuti, parlati, stimati, amati. E così si è creata una rete di fraternità, che ha portato non solo a qualche azione comune, ma anche a sentirsi spesso, a scambiarsi doni concreti e spirituali. Insomma, ha sviluppato un clima di famiglia. E in piazza San Pietro, per Pentecoste, s’è sentito. Non c’erano tanti movimenti uno accanto all’altro con il Papa. Il cammino di questi otto anni ha unito in profondità. Che ruolo ha giocato il Pontificio consiglio per i laici? Si è posto come la casa dei movimenti e delle nuove comunità. Con una grande attenzione a sostenere i differenti carismi. È il punto di approdo, ma anche la porta attraverso cui passano queste realtà. Con i vescovi come si è sviluppato il rapporto? Questa è una geografia estremamente complessa, però credo che molti vescovi siano sensibili e chiedono – io so per quanto riguarda Sant’Egidio – chiedono di accendere fuochi, chiedono la presenza delle nuove comunità, dei movimenti. Le sembra ormai acquisito il dato della coessenzialità tra istituzioni e carismi? Mi sembra di sì. Ora si tratta di vivere la coessenzialità sempre più nel quotidiano, anche perché non è acquisita da tutti e ovunque. Ma non si tratta di avere una mentalità sindacale, piuttosto una logica di comunione, soprattutto di sentire il primato della comunicazione del Vangelo. Papa Ratzinger sta procedendo in continuità con Wojtyla. Ha tuttavia notato qualche tratto di novità? La continuità c’è, profonda. Anche perché Ratzinger era stato associato da vicino alla Pentecoste ’98. Mi è sembrato, comunque, che nel discorso di Giovanni Paolo II si sentisse più l’eco delle difficoltà o dei conflitti. In Benedetto XVI ho colto una serena accettazione del rapporto istituzionecarisma e un rilancio di questo sugli scenari del mondo, quando lui ha detto: Aiutate di più il ministero del successore di Pietro. Dall’incontro di Pentecoste quali impegni sono emersi per i movimenti? Essere fedeli al Vangelo, il primato della vita spirituale, della preghiera e comunicare il Vangelo con gioia e con forza. Ciascun movimento lo fa secondo il suo carisma. Partendo da strade diverse ci si ritrova però insieme. C’è una storia di corresponsabilità dell’uno e dell’altro, di rapporti personali. Insomma, l’esperienza di Pentecoste porta a vivere gli Atti degli apostoli e a riscriverli. I movimenti e le nuove comunità ne sono protagoniste. GLI SCOPI SEGRETI DELL’INCONTRO 450 mila, ma nessuna prova muscolare della fede. Eppure, queste folle di fedeli fanno saltare ogni volta le logiche consolidate dei mass media laici. Scattano meccanismi irrazionali di autodifesa, per cui, ad esempio, sul Corriere della Sera e su Repubblica, i quotidiani più diffusi, è stato dato conto dell’incontro del papa solo nelle pagine molto interne con titoli sulla salvaguardia del creato, un passaggio del discorso di Ratzinger. Spiace, in particolare, leggere sul Corriere il commento di Alberto Melloni, docente di storia contemporanea a Modena. Lui conosce gli scopi veri della convocazione di Benedetto XVI. Ne elenca tre. Far dimenticare ai movimenti le condanne e i sospetti che essi hanno subìto, imporre con l’affabile accoglienza la rinuncia all’antagonismo reciproco, documentare l’incorporazione alla Chiesa di esperienze talora paghe di sé, talora ingorde di episcopati. La prossima volta, prof. Melloni, segua il congresso dei movimenti e parli in piazza San Pietro con il popolo delle nuove comunità. Le sarà di aiuto per una lettura più oggettiva.

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