Morto Carlo Giuffré: un grande attore

A quasi 90 anni se ne è andato Carlo Giuffré, un attore dalle mille sfaccettature, nella notte di tutti i Santi. Un lungo sodalizio artistico con il fratello Aldo e con il maestro Eduardo De Filippo

Tante cose è stato Carlo Giuffrè: un uomo di recitazione, volendo sintetizzarle, soprattutto comica, ma l’aggettivo suona riduttivo, talmente tante furono le sfumature in suo possesso, sopra un palco e su uno schermo, grande o piccolo che fosse, come volto o come guida per altri bravi attori. Napoletano, per nascita e per percorso artistico – classe 1928 – egli cominciò accanto ad Eduardo De Filippo subito dopo l’Accademia di arte drammatica, accompagnato dal fratello Aldo, suo maggiore, al fianco per una vita, fino alla sua morte nel 2010. Non accantonò mai il grande maestro, Carlo Giuffrè, nemmeno in tarda età, quando, come regista, tornò a mettere in scena alcuni suoi capolavori. Era entrato nella compagnia di De Filippo giovanissimo, e da lì fu un’infinita eruzione di commedie partenopee, spesso le migliori. Anche il cinema, Carlo lo scoprì grazie al genio del teatro napoletano: nel 1950 Eduardo portò sul grande schermo la sua magnifica e malinconica Napoli Milionaria, e tra i tanti giganti di quel cast – Totò, Titina De Filippo – cerano anche i due fratelli Aldo e Carlo. Per lui fu il primo passo di una camminata dentro ai film lunga quasi settant’anni, culminata col prestigioso ruolo di Geppetto nel Pinocchio di Benigni, del 2002, per quello che sarebbe stato il suo penultimo film, prima di una lunga pausa dal cinema e di un fugace ritorno nel 2016, con un altro valido maestro – forse pian piano possiamo dirlo – del teatro e del cinema comico napoletani: Vincenzo Salemme. In qualche modo erede di Carlo Giuffrè. Il film era Se mi lasci non vale, ultimo tassello di una novantina di film da lui recitati: lavori di tutti i tipi, da quelli importanti, con Roberto Rossellini (La macchina Ammazzacattivi), Pietro Germi (Il ferroviere) o Liliana Cavani (La pelle), a molti leggeri, spesso leggerissimi, a volte anche troppo, di un popolare cinematografico italiano anni settanta ormai scadente, triste e a volte volgare. Eppure in due, tre buone cose all’italiana ci sono le zampate del grande attore partenopeo. La prima è Leoni al sole di Vittorio Caprioli, del 1961, selezionata tra i cento film italiani da salvare; la seconda è La ragazza con la pistola di Mario Monicelli, capolavoro – qui possiamo dirlo con certezza – del 1968. Carlo era Vincenzo Macaluso, siculo e involontario seduttore di una memorabile Monica Vitti, poi costretto ad emigrare a Londra per non mettere riparo all’errore compiuto, ed evitare così di sposare la donna sbagliata. Tanto da ridere, in quel film, come nel terzo contributo di Giuffrè alla buona commedia all’italiana: Basta Guardarla di Luciano Salce, del 1971, nostalgico ed affettuoso omaggio a quel teatro di avanspettacolo che allora viveva la sua piena agonia. Erano già gli anni Settanta, e la buona commedia cinematografica nostrana, quella capace di raccontare gli anni sessanta, anche lei era in crisi. Nel decennio prcedente, però, quello dei grandi sceneggiati Rai, Carlo Giuffrè aveva preso parte a quelli che ormai oggi sono ormai classici della televisione italiana: Tom Jones (1960) e I giacobini (1962), così, tanto per non farsi mancare nulla, tanto per essere ricordato come un pilastro importante del teatro, ed anche un pò del cinema, italiani del secondo Novecento. Un saluto caro, Carlo Giuffrè.

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