Morte di Astori: unità oltre il dolore

L’improvvisa scomparsa del difensore della nazionale italiana. Una figura ironica e umile. La serie A si ferma

 

 

 

 

Nella giornata del 4 marzo, valida per lo svolgersi delle elezioni politiche nazionali, l’informazione mediatica italiana ha condiviso i suoi spazi con la triste notizia del decesso del capitano della fiorentina, Davide Astori. Difensore della Nazionale italiana, 31 anni, è morto nella notte tra sabato e domenica probabilmente in seguito ad un arresto cardiaco, nell’albergo «La di Moret» di Udine, dove si trovava con la squadra che avrebbe dovuto giocare alle 15 contro l’Udinese. Lascia la compagna e una figlia di due anni, oltre ad una scia di cordoglio e commozione in tutto il mondo sportivo e non solo, data l’affabilità e la correttezza mostrata dentro e fuori dal campo in una dozzina d’anni di calcio ai massimi livelli nazionali, soprattutto con le maglie di Cagliari e Fiorentina.

Chi era

Nato a San Giovanni Bianco (Bergamo) il 7 gennaio del 1987, mancino, si era formato nelle giovanili del Milan. Una figura ironica e umile, talvolta autodefinitasi emblematicamente “designer di fama mondiale, calciatore nel tempo libero”: dopo la sua morte le restanti partite della 27°ma giornata di campionato di Serie A sono state rinviate. “Lunedì avrebbe firmato un contratto a vita”, ha commentato commosso il patron della Fiorentina, Andrea Della Valle, mentre davanti al centro sportivo vicino allo stadio Franchi si sono radunati centinaia di tifosi attoniti, che hanno appeso ai cancelli dell’impianto striscioni e sciarpe.

Una morte che può unire

La morte di Davide Astori ha dimostrato alcuni elementi che meritano almeno di convogliare qualche speranza. Nell’era della comunicazione immediata attraverso i social network, accessibile nel bene e nel male a tutti, quasi nessun fatto di rilevanza pubblica è estraneo, acquisendo l’importanza che probabilmente lo stesso fatto in altre epoche, o in altre aree geografiche, non avrebbe altrimenti mai. Nella giornata del 4 marzo, la notizia della sua morte capeggiava quasi più delle elezioni stesse su testate e profili social, denotando l’attenzione e lo sgomento rispetto alla scomparsa di un giovane atleta del cosiddetto mondo dei vip. Ricchezza, prestigio, popolarità e un carattere mite, socievole e generoso ne hanno subito fatto un’icona, che ha unito bandiere di tifoserie storicamente rivali, e spesso capaci delle azioni e parole più aggressive tra loro, in un unico, sentito abbraccio. Apparivano unite in un unico corpo solidale e davvero sportivo persino frange di tifoserie che hanno intonato tante volte un agghiacciante “devi morire…” al malcapitato giocatore avversario infortunato a terra, o che hanno più volte elevato, quasi fosse una conquista personale, cori rimembranti le morti di tifosi appartenenti ad altra fede sportiva (su un non meglio precisato presunto “campo” di battaglia, chissà poi quale…).

Per non dimenticare davvero: domande di unità

Ora, perché aspettare una tragica morte per rivolgere parole profonde o un abbraccio fraterno? Perché non riusciamo altrettanto a esprimere gioia solidale per il nostro essere vivi attori di uno spettacolo sportivo, anche opposti e avversari? Magari con colori e origini differenti, certo; con sfottò e ironia, ci mancherebbe; con passione e anche ardore rabbioso sull’emozione, perché no; con agonismo e trasporto, necessari… Ma perché si diventa “fratelli” solo alla morte o solo nel dolore? Quale distorta cultura propinata ci impedisce di “vivere in vita” davvero il famoso “terzo tempo” con l’avversario, che altro non è che lo specchio dei nostri limiti, rendendoci fratelli anche nell’agonismo e nella rivalità, ma in questa imprevedibile partita che è la vita? Può lasciare qualcosa di grande questo dolore? Probabilmente sì, con lo stesso sorriso di Astori: il messaggio di andare #OltreLaBarriera dei nostri limiti umani, che troppo spesso ci portano a dimenticare quanto sia fuggevole la nostra vita e quanto, pertanto, sia ridicolo e triste non viverla nella gioia della fraternità già ora, da vivi, benché avversari e, per fortuna, diversi.

 

 

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