Morire asfissiati nel polmone del mondo

Una prestigiosa ong ha rivelato in un dossier la (non) gestione della pandemia da parte del governo del Brasile, presieduto da Jair Bolsonaro. Una denuncia che cade in un mare di dolore
(AP Photo/Edmar Barros)

A Manaus, in Amazzonia, ci si arriva solo in nave o in aereo. Il che rende maggiormente complesso gestire una emergenza in questa città di due milioni di abitanti, dove la mancanza di ossigeno ha già condannato a morte varie decine di persone. Nel mezzo del polmone del mondo… si muore di asfissia.

Le bombole di ossigeno sono introvabili. Dal Venezuela ne sono arrivate in dono cinque camion, sufficienti per appena tre giorni. La struttura sanitaria è stata messa in crisi dal moltiplicarsi dei casi dalla metà di gennaio in poi. Manaus è anche l’unico centro urbano dotato di terapie intensive, una parte delle quali è stata prematuramente smantellata dopo la prima ondata, mentre si scatenava la seconda.

Pazienti ovunque, personale medico e paramedico costretto a turni sfiancanti. Qualche infermiere che aveva parenti contagiati ha comprato il necessario per curarli a casa ed evitare loro di finire su una sedia in un corridoio. La produzione locale di ossigeno copre un terzo della richiesta. Pochi giorni fa è passato da Manaus il ministro della sanità, il generale Pazuello, il cui maggiore merito per occupare questo dicastero consiste nell’aver organizzato la logistica delle Olimpiadi. Gli è stata comunicata la situazione disperata. Fedele allo stile del presidente, a una domanda in merito alla situazione ha risposto: «Cosa vuoi fare! Niente. Dovete aspettare». Era impegnato a dare la buona notizia della campagna di vaccinazione, che può contare su una data precisa solo perché la Corte Suprema ha obbligato il governo a fissarla, ma questo il governo non lo dice.

Nel frattempo i medici razionano l’ossigeno, e chi può pagare i 73 dollari di una bombola che regala quattro ore di respiro al malato, la cerca disperato. C’è da chiedersi cosa mai accade nei centri minori, sparsi lungo territori immensi e difficili da raggiungere, senza una struttura sanitaria degna di tale nome.

Ma più che di Covid-19, in Brasile si muore di mala politica, di una gestione intenzionata a non porre freno al morbo. Per la ong Conectas – stimata dentro e fuori il Brasile – non ci sono dubbi che Jair Bolsonaro non solo non ha inteso frenare la pandemia, ma ha ostacolato chi lo stava facendo.

Un paziente viene trasferito in un altro ospedale del Paese, per mancanza di ossigeno (AP Photo/Edmar Barros)

Un dossier pubblicato da Conectas – elaborato insieme a un centro studi dell’Università di San Paolo – ha ricostruito passo a passo l’evoluzione della pandemia e l’azione del presidente e delle sue dichiarazioni. Il documento denuncia una politica responsabile di aver aggravato l’attuale situazione, che ha provocato quasi 218.000 morti e una sequela immensa di dolore. L’analisi di migliaia di provvedimenti di autorità centrali e locali in materia di coronavirus rivela «l’esistenza di una strategia istituzionale di propagazione del virus promossa dal governo del Brasile, sotto la guida del presidente della repubblica».

Il documento della ong ricostruisce la linea temporale di evoluzione della pandemia e, in parallelo, le misure prese, quelle omesse, le dichiarazioni di Bolsonaro (del tipo: «La vita è così, un bel giorno tutti moriremo») e le azioni che hanno ostacolato la lotta al virus, come il veto a rendere obbligatorio l’uso delle mascherine in pubblico. Nonostante la drammatica situazione nella quale versa il Paese, l’esecutivo di Bolsonaro è carente di un competente ministro della Sanità e sordo alle parole degli esperti. Il 30 ottobre in una pagina vicina alle sue posizioni, il presidente affermava: «Cosa vedo in materia di pandemia? Se ne sta andando, è ormai passata, lo vedremo nei libri di storia».

Nonostante il calo di popolarità, il potere di Bolsonaro appare intatto. Nei cassetti della Camera si accumulano le richieste di impeachment, neutralizzate da un sostegno ottenuto distribuendo poltrone e prebende. Il contrario di quanto annunciato in campagna elettorale. Di nuovo, forse, c’è un maggiore coraggio della società civile disposta a mettersi in gioco. Per milioni di molti altri, valgono le parole di Jobim: «Tristeza nao tem fim, falicidade sim» (la tristezza non ha fine, ma la felicità sì). Per ora.

A questo link si può leggere il dossier nella sua interezza

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