Misteriose bellezze ipogee

Sepolcro o luogo di culti misterici? Cento anni fa veniva scoperta a Roma la cosiddetta Basilica neopitagorica di Porta Maggiore: un vero “unicum” per architettura e decorazioni

Sopra, il passaggio sui binari di centinaia di treni al giorno. Sotto, l’assenza di moto, la pace. Sopra, il convulso e rumoroso traffico di auto, camion, tram, moto. Sotto, il silenzio. Sopra, la calura delle ore meridiane. Sotto, la frescura di ambienti ipogei. Sopra, la molesta visuale di angoli di città lasciati all’incuria. Sotto, l’armonioso susseguirsi di raffinate figurazioni…

Siamo a Porta Maggiore, snodo di importanti vie come la Casilina e la Prenestina, e per questo – ahimè – emblema di caos soprattutto in certe ore. I passanti diretti alle fermate del tram o del trenino delle Ferrovie Laziali qui nei pressi manco degnano di uno sguardo l’imponente porta a due fornici coi sovrastanti acquedotti dell’Aqua Claudia e dell’Anius Vetus o l’originalissimo mausoleo del fornaio Eurisace con le sue bocche di forno, tanto ci sono abituati. Figurarsi poi se si accorgono, in un angolo di risulta del terrapieno sopra cui passano i binari di Termini, di una porticina dietro una recinzione che segnala lavori in corso.

Eppure è lì l’accesso ad un monumento sotterraneo di straordinaria bellezza e importanza, che ancor oggi, a distanza di cent’anni dalla casuale scoperta, fa discutere sulla sua effettiva funzione. Uno dei tanti siti “misteriosi” di Roma, noto solo ai pochi che riescono a prenotarsi nei giorni e orari di visita consentiti. Questo complesso che un ignoto committente volle realizzato alla profondità di otto metri circa è la cosiddetta Basilica neopitagorica di Porta Maggiore: definizione sulla quale non tutti gli studiosi sono d’accordo, anche se la suggestione mistica che ispira indurrebbe a questa ipotesi.

La scoperta nell’aprile 1917 in seguito ad una voragine apertasi sotto i binari della linea ferroviaria per Cassino-Napoli. Negli anni successivi, per preservare dalle infiltrazioni d’acqua e dalle vibrazioni causate dal passaggio dei treni le meravigliose decorazioni in stucco degli ambienti ipogei, furono messi in atto due progetti: il primo –  presto rivelatosi scarsamente efficace – consisteva in una copertura impermeabile di argilla plastica più lamina di piombo; il secondo, più ardito e costoso, nel totale isolamento del monumento mediante una “camicia” in cemento armato, con l’aggiunta di uno strato impermeabilizzante; appositi cunicoli assicuravano la giusta circolazione d’aria.

Datato alla prima metà del I secolo d. C., il monumento rappresenta un unicum dell’arte romana del periodo augusteo e neroniano per tipologia architettonica, modalità di costruzione, temi decorativi e stato di conservazione. Tipologia architettonica: questo complesso, costituito da un corridoio di accesso, un vestibolo e un’aula a tre navate terminante in un’abside, è considerato il prototipo delle grandi basiliche di epoca imperiale e successivamente di quelle cristiane.

Modalità di costruzione: venne ricavato nel tufo, scavando dapprima il perimetro delle mura e dei pilastri, poi riversando nei vuoti la gettata di calcestruzzo e completando il tutto con una volta a botte fornita di lucernario per dar luce agli ambienti; solo nella fase finale l’interno venne svuotato del materiale superfluo.

Temi decorativi: candidi stucchi a rilievo raffiguranti personaggi ed episodi mitologici, ma anche scenette di vita quotidiana, rivestono l’intera navata centrale e l’abside. Emanano addirittura un tenue barlume nella penombra, effetto della madreperla in polvere utilizzata nell’impasto per modellarli.

Stato di conservazione: nonostante i danni prodotti nell’arco di un secolo dall’acqua, dal calcare e dalle colonie di parassiti, come pure dalle vibrazioni causate dai bombardamenti del 1943 al vicino scalo merci di San Lorenzo e dall’aumentato traffico ferroviario, oggi la decorazione della Basilica di Porta Maggiore, grazie ai restauri in corso dal 2003-2004 e ai sofisticati macchinari di climatizzazione, rimane uno dei complessi figurativi in stucco più ricchi e integri della romanità.

Ma qual era la reale funzione di questo singolare manufatto? Quella di sepolcro di una famiglia patrizia, come farebbero pensare sul pavimento a mosaico alcune basi, probabile sostegno di scomparse urne cinerarie? O di luogo di riunione per qualche setta dedita ad un culto misterico come quello neopitagorico? In mancanza di iscrizioni che avrebbero potuto fornire qualche indizio, la risposta va necessariamente cercata nel simbolismo del repertorio figurativo. Che però non è sempre di facile interpretazione, anche se comprende noti episodi mitologici, come quelli relativi ad Ercole ed Ettore, Orfeo ed Euridice, Giasone e Medea, Teseo e Arianna, ecc.

Il fatto è che molte delle scene rappresentate hanno una valenza sia funebre che mistica (penso alle Menadi del corteo dionisiaco), ciò che le rende usuali in ambito sepolcrale e ugualmente adatte alle pratiche di purificazione necessarie ad assicurarsi la felicità oltremondana, secondo le dottrine di Pitagora, che teorizzò un ciclo di reincarnazioni dell’uomo a seconda dei suoi meriti e demeriti.

In modo speciale, gli studiosi attribuiscono il significato di un viaggio ultraterreno alle figurazioni del ratto di Ganimede e di una Leucippide nella navata centrale; e alla scena, nell’abside, del suicidio di Saffo che, respinta da Faonte, viene indotta da Eros a gettarsi in mare con la propria cetra dalla rupe di Leucade, sotto lo sguardo di Apollo e del giovane rimasto insensibile al suo amore. Fra l’altro il salto fra le onde della poetessa di Lesbo richiama un’altra raffigurazione simile, ancora più antica perché risale al V secolo a. C.: quella del celebre “Tuffatore di Paestum”, dipinto tombale interpretato come il passaggio del defunto dal mondo terreno a quello celeste.

Mario Napoli, l’archeologo a cui è legata la sua scoperta, accennando al «significato di purificazione, di immortalità e di sopravvivenza dopo la morte connesso con l’immersione o con il tuffo nel mare», citava «i miti di Achille, di Glauco, di Ino e del così detto suicidio di Saffo, e diciamo così detto suicidio, perché è noto, in particolare attraverso una glossa di Servio, che Saffo si gettò in mare non per morire, ma per sopravvivere al suo infelice amore». Lo stesso studioso ricordava la possibilità di immortalità contemplata, nel mondo greco, in alcuni insegnamenti e culti esoterici, tra i quali in particolare quelli orfico-pitagorici.

Senonché nella Roma imperiale del I secolo d.C. non risultano tracce di culti neopitagorici o di altre pratiche misteriche che richiedessero l’oscurità e la segretezza di un ambiente ipogeo. Pertanto l’ubicazione della cosiddetta “basilica” immediatamente fuori le mura e accanto a resti in superficie di altre tombe – com’era consueto lungo le vie consolari che si diramavano dall’Urbe – dovrebbe essere motivo sufficiente per riconoscere in essa una funzione sepolcrale.

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