Mister Chocolat

Omar Sy è un clown di successo, realmente esistito a Parigi, che aspira al riconoscimento della sua dignità
film

E' degno di attenzione questo film, che oltralpe ha avuto un grande successo di pubblico, soprattutto per la presenza di Omar Sy, il focoso e simpatico attore francese di origine africana che interpretò "Quasi amici". Nel presente lavoro, ambientato nel fine ottocento in Francia, è un giovane assai robusto nato a Cuba da un padre ancora  schiavo e si esibisce in un circo paesano nel ruolo di un selvaggio che incute timore e suscita curiosità. Un altro clown professionista lo convince a formare una coppia originale, in ci lui fa la parte del negro che prende calci nel sedere da un bianco: le scenette che recitano sono così buffe che fanno ridere molto. Sono chiamati a Parigi, dove il successo aumenta ancora di più. Ma, ci sono delle intemperanze e incomincia a maturare una presa di coscienza dell’inferiorità esibita negli sketch. Comincia a desiderare di emanciparsi e diventare un vero attore. Finisce la collaborazione a due e cominciano i guai veri, per entrambi.

 

Il personaggio è esistito realmente, noto sotto il nome di Chocolat, e noi lo possiamo vedere dal vero in un filmato d'epoca, premesso ai titoli di coda. Il regista Roschdy Zem quando scoperse la sua storia ha desiderato fortemente trarla dall’oblio in cui era finita e  girare un film, affidandosi ad una sceneggiatura romanzata, capace di far capire l’attrazione che esercitava sul pubblico, i limiti del suo comportamento, il livello culturale del mondo parigino della Belle Epoque, che risentiva l’influenza della politica coloniale e manifestava una buona dose di disprezzo razzista. Ne è uscito un filmone ambizioso, forte delle indovinate interpretazioni del protagonista e del suo collega (James Thierrée), curato nella scenografia, basato su valori umanitari del tutto attuali.

 

Particolarmente vivaci sono la ricostruzione del circo popolare, realistica e ricca di meraviglia semplice, e quella del teatro parigino, fascinoso e preoccupante. Qui  avviene lentamente la presa di coscienza da parte del buffone della sua condizione di inferiorità dopo il confronto con un perseguitato politico di colore, che mirava a cambiamenti sociali. E belle le sue visite nell'ospedale ai bambini malati gravemente, per curarli con la terapia del ridere. Interessante anche la dinamica dell'amicizia tra i due clown, narrata soprattutto nei loro rapporti durante le recitazioni e, anche, nella  scena finale che, pur nella dolorosa consapevolezza della loro emarginazione dai teatri, testimonia l’affetto che li ha legati.

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