Miriam Cappa, il sogno di Chiara Lubich

Nostra intervista all’attrice Miriam Cappa, 23 anni, interpreta Giosi Guella, nel film tv "Chiara Lubich, L’amore vince tutto" in onda domenica 3 gennaio su Rai 1 in prima serata. Parla anche a nome di tutte le giovani interpreti che hanno fatto un’esperienza di amicizia e di unione sul set delle riprese. Giosi Guella, una delle prime compagne di Chiara Lubich, così la ricorda nel libro Lungo la via di Gocciadoro. «Sulla via Gocciadoro, Chiara mi indicava le stelle. Non ricordo le sue parole. Pensandoci bene, mi par di capire che era l'ansia di uscir fuori dal nostro piccolo mondo per spaziare in un mondo più vasto».

Complimenti Miriam Cappa per la tua performance. Che ruolo hai interpretato nella fiction che racconta parte della storia di Chiara Lubich?

Ho interpretato il ruolo di Giosi Guella, una ragazza di 21 anni, una delle prime compagne di Chiara Lubich.

Come hai cercato di entrare nel suo ruolo?

È frutto di un percorso particolare. Prima avevo letto il libro Lungo la via di Gocciadoro dove Giosi racconta la sua storia, da quando era piccola fino a quando si trasferirà in America. Dopo ho contattato il Movimento dei Focolari e ho chiesto se c’era la possibilità di vivere almeno una settimana tra di loro a Trento. Dopo mille chiamate sono stata nel Centro Mariapoli di Cadine per una settimana e lì ho scoperto la realtà di cui avevo solo letto. La cosa più bella è che sono andata a Pranzo di Tenno, il paese natale di Giosi dove ho incontrato la sua vicina di casa, una signora molto intelligente, la prima laureata del suo paese. Ho scoperto che da molto tempo (1356 ndr) avevano, scolpito su una pietra, un codice di convivenza civile, di solidarietà: sin dall’antichità aiutavano gli altri come stile di vita, una tradizione tramandata fino a Giosi. Mi ha veramente stupito il fatto che la partenza di Giosi, a 20 anni, per unirsi al movimento di Chiara non è stato ben accolto. Anzi, la vicina mi raccontava che era una delle poche che parlava con Giosi. Lo stesso parroco del paese le diceva di non seguire questa ragazza “pazza”. Non capiva Giosi che se ne andava senza entrare in un ordine religioso, senza un marito. Mi ha colpito anche il fatto che facesse otto chilometri a piedi, tra andata e ritorno, per andare a scuola perché non c’erano né mezzi, né strade asfaltate.

Miriam Cappa mostra, sul cellulare, la foto di Giosi Guella

Un carattere forte…

Aveva un carattere forte e critico. In una intervista che ho ascoltato lei stessa diceva: «Io ci ho provato a conoscere delle ragazze di un’associazione cattolica, ma non parlava nessuno. Avevano fatto il voto del silenzio. Appena parlavo mi silenziavano con un: “Ssssss…”. Io che non riuscivo a stare in silenzio neanche un minuto facevo di tutto per fargli alzare almeno la testa da quel libro e da quel quaderno dove continuavano a scrivere come se non ci fosse un domani. Mi mettevo vicino al calorifero cercando di fare rumore. Ero un disastro».  La prima cosa che Giosi nota di Chiara e delle sue amiche è che erano allegre. In Giosi ho trovato un carattere forte ma anche pratico, tantoché si occuperà dell’economia dei Focolari, ma anche un carattere critico che è la cosa che mi è piaciuta di più.

Che idea ti sei fatta su che tipo di legame c’era tra le prime compagne di Chiara Lubich?

C’era un legame speciale, di fiducia, che non era scontato anche nel momento in cui hanno deciso di vivere in maniera così rivoluzionaria per quei tempi. Credo che era un rapporto che coltivavano giorno per giorno, ho letto che si confrontavano, anche litigando, cercando di costruire l’armonia tra loro con la fatica della quotidianità di ogni giorno. Una cosa bella è che erano diversissime tra di loro. Non era un gruppo omogeneo, dove tutti seguivano dei dogmi senza neanche pensarci, ma erano delle ragazze con un senso critico, si mettevano in gioco, si sporcavano le mani e, soprattutto, lo facevano con entusiasmo. Anche dalle foto si vede che erano delle ragazze felici.

Sul set come è andata…

Dopo aver letto tutte queste cose ho pensato. E adesso? Se trovo sul set delle attrici insopportabili che pensano solo alla propria performance? E invece, l’esperienza più bella sono proprio le ragazze che ho incontrato. Ci siamo riunite la prima volte per la lettura della sceneggiatura al teatro Eliseo di Roma. Piano piano ci siamo aiutate, siamo andate insieme a visitare la casa di Chiara, leggendo dei libri, ci siamo sentite per telefono per confrontarci. A Trento sul set è nata un’amicizia molto forte che continua fino ad adesso. Durante le riprese stavamo sempre insieme. Per esempio quando l’assistente alla regia doveva darci l’ordine del giorno e le convocazioni, lo dicevano solo ad una ragazza perché sapevano che avrebbe avvertito tutte. Per richiedere la diaria ci recavamo tutte insieme per il pagamento. Facevano quasi paura tutte queste ragazze schierate, (ride ndr). Abbiamo parlato delle questioni personali, ci siamo confrontate con il proprio carattere, ci siamo aiutate sul set. Cristiana Capotondi (interpreta Chiara Lubich ndr) e Aurora Ruffino (interpreta Ines ndr) erano le più navigate, ma non facevano le star. Anzi, erano quelle più al servizio. Una volta ho detto ad Aurora che non capivo come prendere delle posizioni sul set e lei mi ha aiutato a risolvere la scena che stavamo girando.

Il messaggio della Lubich è solo religioso e del passato o si può vivere anche oggi?

Non credo riguardi il passato o solo la religione. Penso sia un messaggio concreto. Anche il fatto che il film vada in onda nel bel mezzo di una pandemia mondiale è per lanciare il messaggio dell’unità, dell’aiuto reciproco di cui soprattutto oggi c’è bisogno. Tante famiglie hanno perso il lavoro e non si sa quando lo ritroveranno. Lo scontro è facile, la rabbia è molta ed è aumentata. Basta mettersi nei panni delle famiglie che hanno perso i propri cari e non hanno neanche potuto abbracciarli. Il messaggio di Chiara penso sia quello di aiutarsi sporcandosi le mani, non scrivendo un messaggio sui social. Vuol dire portare la spesa agli anziani, far parte di gruppi per la distribuzione di vivere, un amore concreto.

Hai la stessa età di Chiara, 23 anni, quando Chiara ha cominciato. Cosa potrebbe interessare ad un giovane di oggi, della tua età, una persona del genere?

Potrebbe interessargli la “follia” di Chiara. Negli anni ’40 non si poteva neanche leggere il Vangelo senza un prete. Nel film viene ricordato più volte, in senso negativo, che lei è donna. Il messaggio di Chiara è bellissimo: è indipendente, sogna un futuro migliore che parta dai giovani, non dagli anziani, dalle istituzioni, da dei dogmi scritti. Parte solo dalla volontà di migliorare il mondo partendo da casa tua, dai tuoi vicini, da chi incontri. Penso che un giovane possa rispecchiarsi in queste figure perché non sono individualiste, formano un gruppo. Per un ragazzo della mia età è una cosa bellissima. Anche sul set è stato così bello perché eravamo insieme a farlo. In questo modo si può creare un cambiamento. La figura di Chiara è forte perché va contro la mentalità del tempo in cui le donne erano considerate solo come delle casalinghe che non potevano stare a capo di un movimento. Nel film si vede che lei aveva anche un amore per lo studio, per la filosofia, non era solo di “pancia”. Il padre era un socialista, il fratello un partigiano. Ancora oggi si dice che i giovani sono viziati, sono i giovani dei Social, giovani zombie, giovani mammoni, ma penso che è dai giovani che bisognerebbe partire.

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