Mio povero bufalo..

Quando Francesca da Rimini, nel V canto dell’Inferno, si rivolge a Dante che ha mostrato compassione per lei, lo chiama animal grazioso e benigno, che lungi dall’essere un’ingiuria è un appellativo cosmico (animal = vivente che ha 1’animus, il respiro, uomo o bestia). Per comprendere l’amore degli animali già prima di Cristo basta leggere famosi passi dell’Eneide, e le Georgiche, di Virgilio; per sentire la vicinanza di Cristo agli animali basta ricordare famose parabole evangeliche (la pecora smarrita, la chioccia che raccoglie i pulcini, ecc.), e la fraternità francescana per tutti gli animali. Era un poeta san Francesco? Sì, e più di un poeta, viveva già nei cieli nuovi e terre nuove dove tutte le creature sono riconciliate e perciò sorelle. Anche Paolo VI aveva tra le altre una grande sensibilità verso gli animali: Un giorno li vedremo – disse – nel mistero di Cristo. Dostoevskij con una delle potenti, fulminanti penetrazioni della sua genialità, fa dire a un monaco santo nei Fratelli Karamazov, degli animali: Cristo è con loro prima che con noi. Ed è un fatto che, nel racconto biblico, l’uomo diventa carnivoro solo dopo il diluvio universale. Tutto ciò dice che il nostro rapporto con gli animali è turbato, è spesso violento e tendenzialmente squilibrato. C’è di mezzo per i credenti il peccato originale, per tutti un evidente squilibrio nel nostro rapporto con la natura, messo in luce da tanti grandi e grandissimi (da Hume a Leopardi, da Schiller a Hölderlin, da Nietzsche a Kafka a Svevo, senza dimenticare le arti, Mahler, ad esempio, Francis Bacon, e così via). Ora ci giunge attraverso la cura di M. Rispoli per le edizioni Adelphi una preziosa lettera di Rosa Luxemburg – una delle grandi donne del Novecento – contornata dal commento di Karl Kraus, che la fece conoscere, e da scritti in qualche modo ad essa afferenti; tra cui spiccano quello di Joseph Roth e una pagina straordinaria di Kafka (che non fa che confermare che l’autore del Processo è il massimo scrittore in prosa del XX secolo). Il titolo è Un po’ di compassione, che, la lettura lo certifica, andrebbe, non dovuta ma necessaria, a noi più che agli animali, perché facciamo pena più di loro innocenti, noi colpevoli. La rivoluzionaria polacco- tedesca Luxemburg, fautrice di un marxismo non autoritario, e quindi non bolscevico-leninista, vive un’epoca terribilmente convulsa in Germania tra la prima guerra mondiale e i moti rivoluzionari che la confinano in lunghe prigionie prima della sua feroce soppressione ad opera di ufficiali tedeschi nel 1919. Ciò che colpisce profondamente nella Luxemburg è che per lei marxismo, rivoluzione, liberazione politica non sono tanto mezzi o fini quanto metafore del suo immenso amore per la vita, per la giustizia della vita; e qui non può non inserirsi anche la questione animale quale la vede nella prigione di Breslavia dove giungono carri trainati da bufali maltrattati. Mentre in quelle condizioni di detenzione avverte tuttavia una gioia interiore incomprensibile e sconosciuta, una ebbrezza gioiosa, la vista di un bufalo ferito la getta nel dolore più vitale e fraterno: Durante le operazioni di scarico gli animali se ne stavano esausti, completamente in silenzio, e uno, quello che sanguinava, guardava davanti a sé e aveva nel viso nero, negli occhi scuri e mansueti, un’espressione simile a quella di un bambino che abbia pianto a lungo. Era davvero l’espressione di un bambino che è stato punito duramente e non sa per cosa né perché, non sa come sottrarsi al tormento e alla violenza bruta… gli stavo davanti e l’animale mi guardava, mi scesero le lacrime – erano le sue lacrime (…). O mio povero bufalo, mio povero, amato fratello, ce ne stiamo qui entrambi così impotenti e torpidi e siamo tutt’uno nel dolore, nella debolezza, nella nostalgia. Commenta Karl Kraus perfettamente: Lei che non possedeva altri beni se non il proprio cuore. Ho spesso detto, e lo ripeto, che noi umani partiamo in grande svantaggio rispetto agli animali, alla loro bellezza e innocenza, all’inerme fiducia di molti di loro. Ce ne mettiamo di tempo e sforzi per arrivare alla loro altezza e superarla secondo il disegno del Creatore (ma quanti lo fanno davvero?). Rosa Luxemburg – non voglio battezzarla né politicamente né religiosamente – ha scritto nel 1917 un’altissima pagina cristica (appositamente non dico cristiana per evitare equivoci), perché l’amicizia senza ombra tra uomo e animale è assunta dalla Bibbia come figura e realtà della finale riconciliazione di tutte le cose nel Regno di Dio (Isaia: Il vitello e il leoncello pascoleranno insieme (…) il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide ); e questo regno è fatto proprio dal Cristo che si pone come l’Agnello immolato fin dalla fondazione del mondo, mediatore universale per la salvezza di tutto il creato guastato con e dall’uomo. La questione animale non è dunque né contingente né episodica, e il frequente sadismo, purtroppo, nei confronti dei fratelli minori (ancora Paolo VI), anche da parte di giovani e giovanissimi, dimostra con logica stringente che i malati siamo noi, non certo la capra di Saba che, lui dice, si lamentava sotto la pioggia, o, penso io, forse al contrario si rinfrescava e ne gioiva.

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