«Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo». Il celebre incipit tolstojano di Anna Karenina, secondo il quale elementi comuni rendono felice una famiglia, mentre le ragioni dell’infelicità sono specifiche per ognuna, si potrebbe applicare allo stesso nucleo famigliare dello scrittore, il cui ménage continuò sostanzialmente sereno e saturo di affetti fino alla crisi spirituale degli anni più tardi, quando si consumò la sua rottura con la chiesa ortodossa russa, rinnegò le sue opere di narrativa e iniziò a produrre saggi sulla non violenza ispirati alle Beatitudini evangeliche nonché testi per l’istruzione del popolo; anni così densi di tensioni anche con la moglie Sofja, legate ai beni ereditari e alle idee filantropiche di Tolstoj, da costringerlo alla fuga dal focolare domestico, culminata nella morte nella stazioncina di Astàpovo, il 20 novembre 1910.
Nessuno meglio di Tatiana, la figlia secondogenita, poteva documentare questa parabola finita in tragedia nel suo memoriale Anni con mio padre, edito ora da Bibliotheka col sottotitolo: Dolcezza, problematicità, tragedia della vecchiaia di Tolstoj. Basato sul diario che lei scrisse dal 1878 al 1919, questo toccante documento ci svela l’intimità di vita nella tenuta di Jasnaja Poljana (radura luminosa), dove lo scrittore nacque, scrisse i suoi capolavori e volle essere sepolto: oggi casa-museo a 200 chilometri da Mosca.
Per circa 200 pagine questa testimone privilegiata rievoca con nitidezza episodi e aneddoti di un’infanzia e adolescenza vissute tra giochi, gite, visite di parenti, amici e persone illustri, festività celebrate gioiosamente insieme ai domestici e agli abitanti del villaggio da una famiglia ancora unita, con un padre straordinariamente affettuoso che lei adorava. Una vita quasi spartana, esente da ogni lusso per esplicita volontà di Tolstoj. Seguono una cinquantina di pagine di ricordi sparsi, quasi “lampi di memoria”, anch’essi rivissuti come se il tempo non fosse passato. Come questo: «I primi anni che mio padre era sposato, lo scrittore Sologub venne a Jasnaja Poljana e lo trovò del tutto contento del suo stato: “Siete un uomo fortunato” – gli disse Sologub –. “Avete tutto ciò che amate”. “No” – rispose mio padre –. “Non è che abbia tutto ciò che amo, amo tutto ciò che ho”».
Alcuni ricordi riguardano l’elaborazione di Guerra e pace, l’epopea costata allo scrittore «5 anni di lavoro continuo ed esclusivo». Altri, il famoso “bastoncino verde“: «Sapete perché mio padre è seppellito ai piedi di un poggio, all’ombra di vecchie querce, nella foresta di Jasnaja Poljana? Perché quel luogo era legato a un ricordo d’infanzia a lui particolarmente caro. Il maggiore dei figli Tolstoj, Nikolaj, il quale aveva molta influenza sui fratelli e specialmente su mio padre, aveva confidato di avere interrato in un angolo della foresta un bastoncino verde sul quale c’era scritta una formula magica. Chi avesse scoperto il bastone e se ne fosse impossessato, avrebbe avuto il potere di rendere felici tutti gli uomini. L’odio, la guerra, le malattie, i dolori e le disgrazie sarebbero spariti dalla faccia della terra; ogni uomo avrebbe conosciuto la felicità e tutti sarebbero diventati “fratelli muravej”, cioè “fratelli formiche”. «Questa parola – dirà una volta papà – mi piaceva in modo particolare perché mi ricordava che i membri di un formicaio vivono in perfetto accordo». La concordia, la pace fra gli uomini: l’ideale per il quale Tolstoj visse, lottò e si spese fino all’ultimo.
Contro le calunnie mosse sulla vita privata dello scrittore, nell’ultima parte del volume – la più dolorosamente sincera –, Tatjana si sente in dovere di smentire «l’immagine falsa dei rapporti fra i miei genitori e un ritratto di mia madre deformato dalla parzialità», dividendo equamente fra entrambi pregi, aspettative e limiti umani. E ciò per arrivare a comprendere le ragioni che provocarono la partenza o piuttosto la fuga del padre, il 28 novembre 1910, dalla casa dov’era nato e aveva passata la maggior parte della vita. «Sarebbe troppo facile dire che Tolstoj è fuggito da sua moglie perché non lo capiva e gli rendeva dura la vita». Ne consegue il ritratto di una donna che aspirava solo ad essere una sposa amorevole e madre dedita ai suoi figli, e di un genio inquieto, con l’assillo del senso della vita e della coerenza evangelica.
Il brano seguente, che riguarda un periodo in cui i Tolstoj si trasferirono a Mosca, accenna a ciò che stava maturando: «…la famiglia era completamente occupata da obblighi mondani, ricevimenti, problemi materiali o riguardanti l’educazione. Dal canto suo papà stringeva rapporti con persone di tutt’altro genere, che fra noi chiamavamo, nel nostro linguaggio, gli “ignoti“, per contrasto con le nostre relazioni mondane. Andava con i segatori di tronchi nei dintorni di Mosca, al monte dei Passeri, da dove Napoleone aveva contemplato la città. Per raggiungere i nuovi compagni e lavorare con loro attraversava il fiume ogni giorno.
La mamma, nelle sue note giornaliere, scrive: «In quei giorni visitava le prigioni e le case di pena, andava ai tribunali del distretto e alle udienze del giudice di pace, assisteva al reclutamento dei soldati. Si sarebbe detto che cercasse di proposito lo spettacolo delle sofferenze umane e delle violenze praticate sull’uomo. Era come se distogliesse lo sguardo da tutto ciò che era gioia e felicità per non osservare che l’opposto!
Era vero. Non poteva fare diversamente. Aveva accolto il precetto cristiano dell’amore del prossimo. Bisognava che cercasse coloro che avevano bisogno di conforto. Sempre di più lo tormentava il pensiero dei beni posseduti e cominciò a immaginare come sbarazzarsene. «Dare ciò che ho» – scriveva – «non per fare del bene ma per diventare meno colpevole». Distribuiva largamente il suo denaro, da ogni parte. Ciò spaventava la mamma. «La nuova condizione di spirito di Lev» – scrive – «si manifestava anche nell’improvvisa decisione di distribuire molto denaro. Cercavo di fargli capire che era bene avere un po’ di metodo in queste donazioni. Sapere perché e a chi si dava». Ostinatamente rispondeva citando le parole del Vangelo: «Da’ a colui che chiede».
Non capiva che per il marito dare ciò che possedeva era come liberarsi da un peccato, del peccato della proprietà che non poteva più tollerare, dopo che un intenso travaglio interiore l’aveva portato ad adottare e a confessare determinati princìpi. Da tale insanabile contrasto doveva scaturire la scintilla della tragedia. Così il romanzo non scritto, ma vissuto, di Lev Tolstoj.