Minacce a Borrometi: una sentenza “simbolo”

Sentenza della Corte d’Appello di Catania con la condanna di un boss mafioso che aveva minacciato di morte il giornalista Paolo Borrometi. Il cronista siciliano: «Il verdetto ribadisce i principi dell’articolo 21 della Costituzione. La libertà di stampa è un diritto dei giornalisti, ma anche dei cittadini».

La Corte d’Appello di Catania ha condannato il boss vittoriese Giombattista Ventura ad un anno e dieci mesi di reclusione per le minacce nei confronti del giornalista Paolo Borrometi. La corte ha riformato la sentenza di primo grado che aveva condannato Ventura ad un anno e otto mesi, confermando la condanna per minacce di morte e tentata violenza privata, riconoscendo però l’aggravante del metodo mafioso ed infliggendo quindi una pena superiore al boss vittoriese.

I fatti risalgono all’estate del 2015: Ventura profferì via social una serie di minacce nei confronti del cronista di Modica che aveva scritto degli articoli riguardanti un’agenzia di pompe funebri rilevando, tra l’altro, come lo stesso Ventura potesse essere socio occulto al 50 per cento. Le frasi pronunciate erano inequivocabili, in gran parte espresse in forma dialettale: «Ti scippu a testa», «ti verremo a prendere ovunque», «se vuoi ci incontriamo anche negli uffici della Polizia, tanto la testa te la scippu u stissu», «tu ci morirai con il gas», «pezzo di verme, troppo bordello stai facendo», «ti verremo a prendere ovunque».

Le minacce di Ventura (considerato il reggente del clan vittoriese per conto del fratello Filippo, anch’egli in carcere) furono confermate dai pentiti Giuseppe Pavone, Giuseppe Doilo e Rosario Avila, quest’ultimo genero dello stesso Ventura.

La Corte d’Appello ha deciso anche che Ventura dovrà anche risarcire Borrometi, ma anche coloro che si erano costituiti parte civili: l’Ordine dei Giornalisti nazionale e della Sicilia, la Federazione Nazionale della Stampa, il Comune di Vittoria. La sentenza di primo grado aveva condannato Ventura ad un anno ed otto mesi di reclusione, ma aveva escluso l’aggravante mafiosa.  La Procura aveva proposto appello chiedendo la condanna a due anni. La condanna è arrivata il 17 giugno.

Giambattista Ventura si trova attualmente in carcere perché arrestato nel settembre 2017 nell’ambito dell’operazione “Survivors”. Il processo è già iniziato: ventiquattro persone, tra cui Ventura, sono accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alle estorsioni, alla intestazione fittizia di beni  nell’ambito della commercializzazione di prodotti ortofrutticoli e nel settore delle pompe funebri.

La notizia della sentenza ha raggiunto Borrometi nella sua sede di lavoro, l’agenzia Agi, dove ha l’incarico di vicedirettore. «Questa sentenza è importante per due ragioni – ha commentato Borrometi – Ha stabilito, ancora una volta, che in nessun territorio, neppure in un territorio dove, secondo i collaboratori di giustizia, c’è un clima di omertà, la libertà di stampa è un valore assoluto. Minacciare un giornalista per il suo lavoro è reato. La sentenza questo ha detto. Ed ha dimostrato che, se si denuncia, la giustizia fa il suo corso: può essere lenta, però arriva fino in fondo. Ribadisce i principi dell’articolo 21 della Costituzione: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. La libertà di stampa è un valore per i giornalisti, ma lo è ancor di più per i cittadini. C’è un diritto di informare, c’è un diritto di essere informati. Per questo, il riconoscimento di parte civile al comune di Vittoria, all’Ordine nazionale, all’ordine dei giornalisti di Sicilia, alla Federazione nazionale della stampa, assumono un grande valore. Laddove un giornalista smettesse di scrivere, a perdere sarebbero prima di tutto la collettività ed i cittadini».

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