Mimmo Lucano sotto accusa

Nuova tempesta giudiziaria per il simbolo della politica di accoglienza dei migranti . Dopo il rinvio a giudizio per la gestione dei migranti a Riace, è pervenuto un nuovo avviso di conclusioni delle indagini per truffa e falso
ANSA/ETTORE FERRARI

Mimmo Lucano, paladino dell’accoglienza e dell’integrazione, tre volte sindaco di Riace, collocato dalla rivista Usa Fortune tra le 50 personalità più influenti del Pianeta, è stato rinviato a giudizio dal giudice dell’udienza preliminare di Locri, Amelia Monteleone.

I reati contestati sono pesanti: associazione a delinquere, truffa, abuso d’ufficio, peculato, concussione, frode in pubbliche forniture, falso, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il prossimo 11 giugno il sindaco di Riace, dovrà comparire di fronte al Tribunale di Locri per difendersi dalle pesanti accuse. Con il rinvio a giudizio è scattato per Lucano anche il nuovo termine di decorrenza dell’obbligo di dimora fuori da Riace, che si protrarrà per un altro anno.

Insieme a lui è stata rinviata a giudizio anche la sua compagna, Lemlem Tesfahun, e altre 25 persone indagate nell’ambito dell’inchiesta «Xenia», inserite a vario titolo nelle cooperative che hanno gestito il modello Riace. Il ministero dell’Interno, rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, in qualità di parte offesa, insieme alla prefettura di Reggio Calabria, si costituirà parte civile.

La decisione del giudice Monteleone è arrivata dopo sette ore di camera di consiglio e questo la dice lunga sulla complessità dei capi d’accusa contro Lucano. La procura ha chiesto per tutti gli indagati il rinvio a giudizio e nel corso dell’udienza il pubblico ministero Michele Permunian ha presentato una consulenza tecnica che accertava un ammanco di 5 milioni di euro che sarebbero finiti nelle tasche di privati, anziché favorire l’integrazione dei migranti.

Gli avvocati della difesa, invece, hanno insistito sul «non luogo a procedere» nei confronti di Mimmo Lucano, per non aver commesso i fatti.

Il sindaco (sospeso) di Riace era stato arrestato e posto ai domiciliari il 2 ottobre scorso su ordine del giudice delle indagini preliminari di Locri Domenico Di Croce. La procura nelle 1.200 pagine di richiesta d’arresto aveva contestato a Lucano una serie di reati che il gip aveva in parte rigettato.

Il giudice Di Croce aveva anche criticato l’attività d’indagine della stessa procura e della Guardia di Finanza bollandola come «un acritico recepimento delle prove», non «integranti alcuno degli illeciti penali contestati in alcuni capi d’imputazione».

 Due settimane dopo il Tribunale del Riesame aveva trasformato i «domiciliari» in esilio obbligato da Riace. Nonostante il Riesame avesse convertito la misura restrittiva, nelle motivazione aveva indicato Lucano come «uomo in preda al suo delirio di onnipotenza e socialmente pericoloso».

Nel provvedimento del Tribunale si faceva riferimento, in particolare, all’affidamento fraudolento della raccolta dei rifiuti a Riace, dato a due cooperative prive di requisiti necessari e ai matrimoni di «convenienza» fatti da Lucano in qualità di sindaco, per favorire l’immigrazione clandestina.

I legali di Mimmo Lucano hanno presentato ricorso in Cassazione contro quel provvedimento. La Suprema Corte, in parte, ha dato ragione ai difensori di Lucano sostenendo che l’artefice del modello Riace non ha commesso né truffe, né matrimoni di comodo.

La Corte di Cassazione ha quindi disposto un nuovo pronunciamento del Tribunale del Riesame. Qualche giorno fa il rinvio a giudizio. Ma la tempesta giudiziaria si abbatte prepotentemente su Lucano. Poche ore dopo il rinvio a giudizio, si apre un nuovo fronte giudiziario. Nel mirino, ancora una volta, l’utilizzo dei fondi per l’accoglienza. La Procura della Repubblica di Locri ha emesso infatti un avviso di conclusione delle indagini preliminari in cui contesta a Lucano i reati di truffa e falso ideologico sempre in relazione alla gestione dei migranti nel borgo della Locride.

In particolare, come è detto nel capo di imputazione, a Lucano si contesta «di avere indotto in errore il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Reggio Calabria ricorrendo all’artificio di predisporre una falsa attestazione in cui veniva dichiarato che le strutture di accoglienza per ospitare i migranti esistenti nel territorio del comune di Riace erano rispondenti e conformi alle normative vigenti in materia di idoneità abitativa, impiantistica e condizioni igienico-sanitarie.

Laddove così non era, essendo quegli appartamenti privi di collaudo statico e certificato di abitabilità, documenti indispensabili per l’utilizzo sopra specificato e per come richiesto dal manuale operativo Sprar e dalle convenzioni stipulate tra il Comune di Riace e la Prefettura di Reggio Calabria».

È certamente prematuro stabilire se nei confronti di Lucano si stia mettendo in atto un vero e proprio accanimento giudiziario. Per questo bisogna aspettare che la giustizia faccia il suo corso.  Di certo se Lucano ha sbagliato è giusto che saldi il suo conto con la giustizia. Deplorevole sarebbe pensare, però, che la puntigliosa verifica del suo operato sia scaturita dal suo forte impegno a favore dei migranti. In tal caso la condanna di Lucano sarebbe, infatti, morale, ancor prima che giudiziaria.

 

 

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