Milano, al cuore del Risorgimento

Le Cinque giornate, l’arte di Hayez, l’Expo. Una città ancora “capitale morale”. L’opinione di Giangiacomo Schiavi.
Milano

Entro a sant’Ambrogio, «quello vecchio là, fuori di mano», come lo definiva Giuseppe Giusti nella poesia omonima. Oggi la basilica, inglobata nella città, restaurata e illuminata a giorno all’interno, perde un po’ la maestà ombrosa del romanico che avvertiva il poeta quando sentiva alzarsi il coro del Verdi: «O Signor che dal tetto natio», dove i lombardi alla prima crociata erano i milanesi in lotta con l’Austria. Era il 1843, Verdi con le sue opere accendeva i cuori dei “liberali”.

Li accendeva in quegli anni anche Francesco Hayez. Lo si nota nella mostra, a Brera, dei suoi quadri “storici medievali” (I due Foscari, I vespri siciliani) e nei ritratti di personaggi‑guida dell’unità italiana come Manzoni e Rosmini. Manzoni assorto, come la sua casa in via del Morone, dove spicca l’originale dell’ode Marzo 1821 col celebre verso: «O giornate del nostro riscatto!»; un fuoco, sotto la grafia ordinata. Rosmini è sereno, a due anni dalla morte, nel 1853: lui, l’unità non l’ha vista, ma l’ha preparata.

 

Le Cinque giornate

 

Fa impressione nel Museo del Risorgimento la prima bandiera tricolore: quella della napoleonica Repubblica cisalpina, ancora non italiana, ma già nei sogni di libertà patriottica. Come è da riscoprire un “libriccino” smunto, Le mie prigioni di Silvio Pellico, un bestseller di condanna della tortura, ma anche di perdono cristiano.

Brilla la mostra delle Cinque giornate, milanesi, l’esempio più noto di una ribellione popolare, di giovani, in particolare, dal 18 al 22 marzo 1848.

Un pittore ventenne, Felice Donghi, ce ne ha lasciato negli acquerelli la cronaca giornaliera. Barricate, il tricolore issato in cima a un’asta, incendi, fucilate… E, fra tanti, Carlo Cattaneo, fautore di un’Italia confederata e repubblicana: un profeta di un tempo che forse potrebbe venire.

 

Ed oggi?

 

Anche a Milano ci guardano i bronzi, un po’ logori, dei “padri”: Vittorio Emanuele, Garibaldi, Mazzini, Cavour, e qui Cattaneo. C’è la Scala, anche se non più “rivoluzionaria”. Il Palazzo Belgioioso – una famiglia di “rivoluzionari” – è oggi sede economica e culturale di Banca Intesa. Bandiere se ne vedono, specie sulle vie intorno al Museo del Risorgimento che ospita un’originale rassegna Donna è sport dal 1861 a oggi.

 

Ma come lo vivono i milanesi l’anniversario dell’unità nazionale? Giangiacomo Schiavi, giornalista del quotidiano milanese “doc” Corriere della sera, ha la sensazione che «da un lato ci sia un apparato culturale che è riuscito a interpretare il significato dei 150 anni; dall’altra, ci sia un atteggiamento di maniera, per cui l’idea di questo anniversario scorre un po’ via». Alcuni aspetti rimangono chiari: «Sono – continua Schiavi – l’identificazione nella bandiera tricolore come segno dell’Italia unita, per cui si va verso l’Europa restando insieme, da italiani nel senso vero della parola».

 

Altri segnali? «La città ha dato il suo contributo all’unità con la partecipazione al recente voto in un modo democratico e civile per un cambiamento. Un segnale che non c’entra direttamente con l’unità d’Italia, però è un modo responsabile di partecipare a quella che è la politica».

 

Milano periodicamente manda segni di cambio di direzione, dalle Cinque giornate alla Resistenza. «Gaetano Salvemini dice che il vento che soffia da Milano un domani soffierà nell’Italia. È successo dopo l’unità quando essa si era data un “colpo di vela” per il Paese, come diceva lo storico Giorgio Rumi. Ora siamo in una fase di questo tipo che coincide, forse nemmeno per caso, con i centocinquant’anni dell’unità nazionale.

 

Ma è questo il ruolo della città: trasmettere la sua vera anima di capitale morale; non solo perché contrapposta a quella politica, ma perché si è plasmata intorno a un modello solidale che dal Settecento di Verri e Beccaria, attraverso il cattolicesimo inquieto di Manzoni, si innesca nel socialismo riformista, nella borghesia illuminata, per cui si crea quella amministrazione pubblica che diventa lo snodo principale della Milano moderna, “capitale morale”.

 

E oggi l’Expo rimane una grossa occasione per il meglio della città e per lasciare qualcosa di positivo per i giovani e per il futuro».

Un Risorgimento dunque, continua ancora a Milano?

 

Hayez nella Milano di Manzoni e Verdi, Brera, fino al 215/9 (cat. Skira).

Donna è sport, Museo del Risorgimento, fino al 25/9 (cat. Anniversary Books).

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