Il Milan è campione della Serie A

Sebbene a inizio stagione gli obiettivi fossero al massimo consolidare il piazzamento in Champions e continuare a crescere, il Milan si laurea tanto clamorosamente quanto meritatamente Campione d’Italia.
Foto Spada/LaPresse

È arrivato con una vittoria estremamente semplice per 3-0, in casa un Sassuolo senza obiettivi e già con la testa alle vacanze, il 19° scudetto della storia del Milan. Se non è proprio un miracolo sportivo, poco ci manca, dato che ad inizio stagione gli obiettivi del Diavolo erano altri: consolidare il piazzamento in Champions League e continuare a fare crescere la sua nidiata di giovani di qualità per tornare col tempo ad essere competitivi ai massimi livelli. Vincere poteva sembrare un traguardo pressoché irrealistico, forse un grande sogno, ma non certo un obbligo. Invece i rossoneri conquistano il Campionato contro quasi tutti i pronostici meritamente, ma vediamo meglio in dettaglio.

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Il “piolismo” e la forza del gruppo
Stefano Pioli non è stato mai un “capopopolo mediatico”: carattere mite e mai sopra le righe, predilige un dialogo continuo con i suoi giocatori ed una particolare predilezione per la costruzione dell’empatia tra i giocatori. È prima di tutto il suo trionfo: quello di un normalizzatore ora vincente e nel complesso signorile che ha preso in mano la squadra due anni e mezzo fa, ricostruendone la fiducia e corroborando un gruppo che non ha mai passato “crisi” lunghe più di due gare. Ed è proprio questa costanza ad avere fatto la differenza rispetto a squadra come Juventus, Napoli, Roma, Lazio, Atalanta e Inter, tutte a inizio anno in qualche modo interessabili da campionato di vertici in virtù del torneo precedente e del mercato estivo. Anche se la stagione conclusa, rispetto alle ultime dieci, ha segnato un livellamento al ribasso della qualità delle rose di alta quota: non c’è stato un “ammazza campionato” paragonabile al ciclo juventino o all’Inter di Antonio Conte, bensì un avvincente testa a testa che ha riguardato soprattutto il Napoli e le milanesi. Lo spirito di spogliatoio compatto e motivato del Milan, con un mix sapiente di esperienza e gioventù, si è rivelato superiore alle altre.

Il secondo posto dello scorso anno e il tanto atteso ritorno in Champions erano state le basi da cui ripartire: Pioli restituisce il tricolore dopo 11 anni alla Milano rossonera, che ha invaso il Duomo dalle 20 di domenica, subito dopo il triplice fischio al Mapei Stadium di Reggio Emilia, dove intanto sfilavano i neocampioni d’Italia. Con un lavoro sulla testa dei giocatori, Pioli ha dato fiducia a chi l’aveva persa, alimentando giovani talentuosi tra i quali spiccano già elementi eccellenti diventati fortissimi. Ha trasmesso calma e grinta, creando un sistema di gioco base (il 4-2-3-1) di cui però non è mai stato dogmatico; ha saputo cambiare uomini e modulo, ha allargato gli esterni quando serviva e disciplinato talenti tendenzialmente anarchici quali Hernandez e Leao, diventi simbolo della riscossa. “Pioli is on fire” cantavano a San Siro in 70 mila tifosi: era dai tempi di Ancelotti che un allenatore non era tanto amato dal popolo milanista.

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La forza dei singoli in un’orchestra
Se Pioli ha restituito l’anima al Diavolo pezzo per pezzo, lo deve anche al carisma del “capobranco” Zlatan Ibrahimovic, tanto megalomane talvolta quanto decisivo nell’infondere, da bomber storicamente vincente in Italia, una mentalità vincente soprattutto ai più giovani. Arrivato appena prima del lockdown dopo la parentesi negli USA, si era presentato nel suo stile dicendo “sono tornato per vincere lo scudetto”: non scherzava affatto. Menzione speciale quindi in particolare per Mike Peterson Maignan, portierone francese di origini haitiane-guianesi: arrivato per sostiuire un certo Donnarumma tra i pali e nel cuore dei tifosi traditi, non solo non ha fatto rimpiangere l’estremo difensore azzurro accasatosi tra i miliardi degli sceicchi a Parigi, ma è ripartito da dove aveva finito, ossia vincendo clamorosamente il campionato. Lo aveva fatto al Lille avendo la meglio sul PSG in Francia contro i pronostici, o ha rifatto al Milan e tutti hanno capito perché: riflessi eccellenti, senso della posizione e delle uscite impeccabile, piedi fini e personalità da vendere. Un valore eccellente che ha dato sicurezza a tutta la difesa, dove i giovani centrali Tomori e Kalulu hanno a tratti giganteggiato sorprendendo tutti. Clamorosa anche l’annata di Theo Hernandez, già ritenuto uno dei migliori fluidificanti di fascia al mondo ma divenuto devastante: una sorta di treno in corsa in grado di spaccare in due le difese avversarie. Strepitosa la crescita del citato Rafael Leao, trasformatosi in un attaccante esterno devastante in grado di decidere quasi tutto il girone di ritorno del Milan con assoli decisivi per gol e assist. Quindi la crescita di Tonali, milanista da sempre ed oggi colonna ed anima insostituibile in mediana, e i gol pesantissimi del centravanti Giroud: memorabili quelli nel derby contro l’Inter che, dopo avere dominato per 75 minuti e fallito il raddoppio, si è vista annichilire dalla doppietta del bomber “di scorta” ma fondamentale.

Un campionato da ricordare
Se non ha vinto la squadra più forte, ha vinto meritatamente quella più costante, motivata e grintosa. Se il ridimensionamento estivo dell’Inter faceva pensare a qualche opportunità in più, il campionato stratosferico dei nerazzurri fino a gennaio sembrava non lasciare adito a scommesse diverse: l’Inter era a +4, con una gara in meno e dominava con il miglior attacco e la miglior difesa. Eppure è riuscita clamorosamente a inanellare solo 7 punti in 7 gare in un mese e mezzo, complice l’infortunio del metronomo insostituibile Brozovic: opportunità sfruttata da Napoli e in particolare Milan, risorto proprio con un derby in cui sembrava spacciato. Un ulteriore conferma della bellezza e della regolarità di un campionato dove troppo spesso molti detrattori frustrati avevano parlato di “torneo già deciso in favore dell’Inter” per alcuni errori del VAR: la vittoria del Milan è quella della speranza e del merito, errori a parte degli arbitri, con buona pace di molti complottisti. Ma è soprattutto la vittoria di una società in cui è tornata a decidere ai vertici una bandiera come Paolo Maldini, perfetto nelle scelte, nello stile e nel ridimensionamento economico senza ledere la qualità. Ed ora, con in nuovi investimenti di un nuovo fondo alle porte, l’avvenire potrebbe essere ancora più roseo.

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