Mi piace lavorare (mobbing)

Francesca Comencini ha scelto di parlare, nel suo ultimo film, di Anna, impiegata come segretaria in una società appena acquistata da una multinazionale. La donna ha sempre svolto il proprio lavoro con impegno, precisione e professionalità, ma la nuova dirigenza decide di spostarla ad un altro incarico. Un po’ alla volta Anna si accorge che attorno a sé si è fatto il vuoto: tutti i colleghi sembrano snobbarla e intanto, di mansione in mansione, viene continuamente spostata da un ufficio all’altro con compiti sempre più marginali e umilianti. Lentamente, ma inesorabilmente, il gruppo dei colleghi si scatena contro di lei. Le vessazioni iniziano, piccole, invisibili, ma ripetute: spiacevole situazione di una persona vittima di un mobbing appunto. Anna viene lasciata sola al tavolo della mensa aziendale, nessuno la invita più a prendere il caffè, il suo posto di lavoro viene inavvertitamente occupato. Il giorno della festa aziendale per festeggiare la fusione (la prima scena del film), è l’unica fra tutti gli impiegati a non essere spontaneamente salutata dal nuovo direttore del personale. Questa frustrazione professionale esplode in un esaurimento nervoso e in malattia, mettendo a repentaglio anche la vita privata di Anna, una donna che vive sola (purtroppo) con una figlia e deve occuparsi anche di un anziano padre. Quando l’azienda le propone di dimettersi, Anna reagisce e si rivolge allo sportello antimobbing del sindacato. Da donna e madre, la regista ricostruisce passo dopo passo i movimenti di Anna con grande sensibilità e verità, grazie all’interpretazione di una brava e commovente Nicoletta Braschi e da una sorprendente ragazzina (Camille Dugay Comencini) che accompagna, incoraggia, e sorregge sia la madre della storia narrata, che quella biologica durante le riprese di un film totalmente femminile prodotto da Donatella Botti. Mi piace lavorare è un film drammatico, fotografato ruvidamente da Luca Bigazzi e montato in modo essenziale da Massimo Fiocchi. Ambientato in una Roma irriconoscibile nella quale desolate stanze d’ufficio si alternano ai vagoni di una metropolitana affollata e disorientante, solo i portici di Piazza Vittorio, dove vivono madre e figlia, emanano una certa solidarietà umana in un quartiere dove un’immigrazione proveniente da tutto il mondo fa lavori umili e rimane un po’ ghettizzata. Regia di Francesca Comencini; con Nicoletta Braschi, Camille Dugay Comencini.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Mediterraneo di fraternità

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons