Mettere al sicuro la scuola, per mettere al sicuro il futuro

Le scuole paritarie lanciano l'allarme: tanti istituti rischiano di chiudere, se non lo hanno già fatto, mentre aumenta la povertà educativa e il numero di studenti che abbandonano la scuola.
Bambini a scuola con la mascherina per proteggersi dal Covid. (Alessandra Tarantino/AP)

«Il ritorno a scuola deve avvenire in sicurezza». È stato il premier Mario Draghi a dichiararlo durante il discorso programmatico al Senato, ponendo l’istruzione tra i punti principali dell’agenda di governo, in quanto a causa della pandemia, del lockdown e delle “zone colorate” dell’Italia, vive un momento delicato in termini di educazione e prospettive giovanili. Nella medesima sede del Senato, nei giorni scorsi, si è tenuta l’audizione sull’impatto della didattica digitale integrata e sui processi di apprendimento e sul benessere psicofisico degli studenti. Insieme alla Commissione Istruzione pubblica e beni culturali e alla Commissione Igiene e sanità, c’era anche suor Anna Monia Alfieri, in qualità di rappresentante delle scuole paritarie del CISM (Conferenza italiana superiori maggiori) e dell’USMI (Unione superiore maggiori d’Italia), che ha delineato il quadro attuale della situazione scolastica, lanciando proposte e appelli al nuovo Governo soprattutto sullo sfondo del Next Generation EU (Recovery plan).

Una reale autonomia delle scuole statali, libertà alle scuola pubbliche paritarie, sostenibilità dei costi standard per alunno, scelta educativa libera da ogni condizionamento economico, reclutamento dei docenti più equo e meglio distribuito, assottigliamento del divario Nord-Sud: queste sono in sintesi, le proposte che possono definire le sorti 40 mila istituti scolastici, 12 mila sedi scolastiche paritarie, 8 milioni di ragazzi. Al Parlamento si chiedono interventi finanziari per favorire il pluralismo scolastico e per affrontare il nuovo anno scolastico, di cui la rappresentante dell’Unione superiori maggiori d’Italia e della Conferenza italiana superiori maggiori traccia un quadro tutt’altro che confortante: 34 mila minori rischiano l’abbandono scolastico. In mancanza di alternative future, la campanella delle scuole paritarie potrebbe non suonare o saranno costrette a stabilire rette più elevate.

Da quanto emerge dalle statistiche sulla didattica digitale, oltre il 12% degli studenti tra 6 e 17 anni non ha un pc o un device in casa. Per il Mezzogiorno la percentuale è del 20%. Una famiglia su sette non ha un computer o in casi estremi il pc è condiviso con i fratelli, rendendo meno efficace e autonomo l’apprendimento. Anche se sono molti i ragazzi e le famiglie che dispongono della rete internet, utilizzata esclusivamente con lo smartphone, resta difficoltoso seguire le lezioni online e interagire adeguatamente per l’invio degli elaborati e dei compiti.

Il dato si aggrava con il 3% dei ragazzi che non possiede alcuna competenza digitale, soprattutto della fascia adolescenziale. Nell’era dei nativi digitali è un dato allarmante che incrementa il divario sociale proprio attraverso il servizio internet, che rappresenta non solo simbolicamente l’elemento democratico per antonomasia. Seppur non ancora ufficiali, si stimano 160 mila studenti che hanno abbandonato la scuola.

Le conseguenze legate alla didattica digitale e alle scelte degli ultimi mesi ingrandiscono la bolla della povertà educativa, che oltre alla scarsità dei mezzi e degli strumenti, sta provocando ripercussioni sulle capacità di apprendimento e sul benessere psicofisico dei più giovani. Un bambino su cinque delle fasce sociali meno abbienti non si sentirà più adeguato e coinvolto al sistema-scuola. Un milione e mezzo di minori rappresentano l’anello mancante che interrompe la catena del processo educativo, non avendo mai avuto la possibilità di usufruire della Dad, oltre a 300 mila allievi disabili che hanno vissuto in modo più drastico l’isolamento.

Il Sud Italia, poi, sta pagando un prezzo  più alto rispetto ad altre parti dell’Italia. Accanto alla possibilità di scegliere la modalità di lezioni da seguire, l’ordinanza della Regione Puglia, per esempio, che ha dato la libertà alle famiglie di scegliere tra la didattica in presenza e la didattica a distanza, definendola “Didattica a Distanza Integrata Facoltativa”, sta creando polemiche e botta e risposte tra il governatore Emiliano e il Tar, che a metà febbraio ha bocciato la decisione del presidente di chiudere gli istituti, per poi nel giro di una notte, rispondere con un’altra ordinanza.

Il risultato, insomma, è che un numero elevatissimo di studenti ha abbandonato definitivamente il percorso scolastico ed è impossibilitato a seguire le lezioni online. Inoltre, con la crisi molte famiglie rischiano di diventare boccone privilegiato della malavita.

Suor Francesca Palamà, coordinatrice dell’Istituto Preziosissimo Sangue di Bari, è testimone, prima di tutto, dell’umore dei ragazzi all’interno del contesto scolastico: «Come educatori abbiamo l’obbligo di accompagnare gli alunni in un tempo che il Covid ha reso diverso. Ci apprestiamo a vivere una nuova stagione. Nuove strategie e nuove sensibilità ci introducono verso percorsi educativi inediti, dove al centro c’è l’umano, tra fragilità e risorse, e dove il presente ci sprona a guardare con speranza verso il futuro. Le lezioni scolastiche ordinarie – afferma Palamà – grazie alla tenacia e all’eroicità dei nostri docenti, che stanno fronteggiando innumerevoli problematiche e disagi, hanno il sapore di essenzialità, profondità e vicinanza; la cultura diventa esperienza di vita, non solo un insieme di nozioni».

Il tragico quadro economico ed educativo descritto rischia di azzerare anni di lotta in difesa al diritto allo studio per tutti i bambini e le bambine del nostro Paese. A tal proposito suor Francesca dichiara: «Le scuole pubbliche paritarie continuano a versare nell’indifferenza, nella superficialità e nel pregiudizio, portando l’Italia ad essere preclusa dall’autonomia scolastica, dal pluralismo educativo e dalla libertà di scelta da parte delle famiglie. Circa 143 Scuole pubbliche paritarie, indebitandosi “sino all’osso”, hanno chiuso per sempre il loro servizio educativo, privando intere aree di periferia di storici e significativi presidi di libertà, da sempre attenti “per carisma” ai più fragili e ai più indifesi. È necessaria un’azione univoca e comunitaria, convogliando tutte le forza nella scelta del vero bene per la realizzazione di un “villaggio globale dell’educazione“».

Ed è opportuno, aggiunge la religiosa, che prevalga un clima di collaborazione che nel dilagante contesto isolato può rivelarsi l’arma vincente: «La collaborazione tra gli istituti scolastici è quello che con fatica stiamo cercando di creare, grazie a padre Luigi Gaetani, presidente della Conferenza italiana superiori maggiori e a madre Yvonne Reungoat, presidente dell’Unione superiore maggiori d’Italia. Il sistema scolastico italiano – sottolinea la dirigente dell’istituto barese – ha bisogno di camminare con due gambe, scuola pubblica statale e scuola pubblica paritaria, per essere equo, competitivo, libero e sano».

Le problematiche, perciò, non possono risolversi solo con la proposta di terminare l’anno scolastico corrente a fine giugno, tenendo conto della mole di lavoro per la povertà educativa, della mancanza del personale docente, delle pecche del trasporto pubblico. «Credo – conclude suor Francesca  – che si debba puntare sulla qualità del sistema scolastico per poter portare la scuola italiana a raggiungere almeno gli standard europei. Con chiarezza dobbiamo convogliare tutte le forze verso questo unico obiettivo, altrimenti ci ritroveremo nella stessa situazione».

 

 

 

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