Metamorfosi fra cielo e terra

La commistione col mondo circense era un approdo inevitabile per Giorgio Barberio Corsetti. Il suo teatro ha sempre oscillato fra terrestrità e leggerezza, movimenti danzanti e forte gestualità. Linguaggio giunto ora ad un nuovo felice esito con lo spettacolo Le metamorfosi, creato per la BiennaleTeatro come congedo da direttore artistico. E nel trasloco da Venezia, dallo scenario acquatico si passa a quello archeologico della campagna romana all’interno di un tendone, assumendo connotazioni metropolitane ed echi di periferie violente. Un viaggio che dal mito vuole giungere fino a noi: dal caos del passato, di un mondo ritenuto instabile, alla speranza di un ordine nuovo nel presente. Inventario mitologico, il poema di Ovidio offre a Corsetti un caleidoscopio di invenzioni fluttuanti fra terra e cielo, per dare corpo ad una realtà in continua trasformazione. Il mondo pagano, si sa, aveva degli dei una visione molto terrestre e, per noi, spesso del tutto dissacrante. Il rapporto col sacro è descritto dal poeta classico con ironia, con gli uomini soggetti ai capricci degli dèi. I primi assumono parvenze di animali, di alberi, o di pietre; e le divinità sono presenze enigmatiche, irraggiungibili. Eccoli rotolare dentro una rete sospesa in alto a suggerire l’Olimpo; decidere il destino ineluttabile degli umani e trasformarli in esseri mostruosi. È l’ignoto che irrompe, il terribile, l’inatteso. Vulcano e Minerva concepiscono un figlio serpente; Callisto e Arcade vengono mutati in costellazioni; Atteone in cervo; Tiresia trasformato in donna, poi in uomo, infine resterà cieco e profeta. Sono solamente alcune delle storie della frammentata opera ovidiana. Corsetti sceglie i primi poemi e, come personaggio guida, Orfeo nel momento in cui perde la sua Euridice. La sua dipartita nell’Ade dopo essere stata investita da un centauro in motocicletta, avviene sull’equilibrio di una corda tesa. Da qui un susseguirsi di numeri acrobatici si fondono alla recitazione e agli oggetti di scena: come la danza dei serpenti simulata da due contorsionisti sopra un albero-scultura. O, ancora, Minerva sopra una sedia di ferro tenuta da corde elastiche, scagliata sopra sopra le teste degli spettatori. Ad aggiungere mobilità e pulsazione, un superbo gruppo di funamboli e trapezisti francesi, pure bravissimi attori e danzatori: Les Colporteurs, ad affiancare la Compagnia Fattore K. di Corsetti. Ancora una volta il regista sforna un immaginario contemporaneo, creando scene che scorrono come quadri: con l’unico neo di risultare drammaturgicamente staccati gli uni dagli altri. Tra i momenti più incisivi il Narciso mentre si specchia nel fiume, recitato e danzato con levità acrobatica da David Soubies. E il finale, che cita gli ultimi attimi di vita di Pasolini. Un’automobile entra in scena, riparte e sosta fuori dal tendone per sgommare dopo la morte dello scrittore, ucciso dai pregiudizi e dal disprezzo. Ancora oggi in agguato. E fanno dire a Bacco in conclusione che “tutte le armi potrebbero essere ammansite dal canto del poeta”. Agenda Nilano. Festival Masterclass. Shakespeare, von Kleist, Abramov, Lorca, Cechov rivivranno sul palcoscenico del Piccolo negli allestimenti di grandi maestri: da Peter Brook con La tragedie d’Hamlet (nella foto), a Robert Lepage con The fair side of the moon,a Nekrosius con Ivanov,ad Abramov con Fratelli e sorelle. E ancora, Peter Stein con Pentesilea, Lluis Pasqual con Noche Lorca. Dal 4/10 al 17/12. www.piccoloteatro.org Ungheria in scena Compagnia storica della scena europea, il Teatro Katona vanta una tradizione attorale di grande livello. Lo si è costatato alla rassegna romana dell’Eti dedicata all’Ungheria, con la messinscena de Il mese del boia del trentenne e pluripremiato drammaturgo Kornél Hamvai.Testo che, alla luce di un passato recente, tratteggia figure complici del declino morale della società. Spaziando dal grottesco al tragico, racconta di un boia ai tempi della rivoluzione francese, giunto a Parigi nei giorni caotici dell’arresto di Robespierre, in cerca di documenti smarriti. In una scena fissa di legno, con aperture e pedane che definiscono piazze e interni, si muove un universo di popolani e burocrati con gli attori moltiplicati in vari ruoli. Il godimento, più che per il testo, è per la recitazione di questa magnifica compagine magiara. Non altrettanto si può dire del Balletto Györ, nato nel ’79 sotto la guida di Iván Markò e oggi diretto da János Kiss. Il balletto Purim o il sortilegio fa rivivere la storia di Ester, la regina degli ebrei che seppe salvare il suo popolo dall’eccidio. Alla buona preparazione tecnica dei ballerini non fa riscontro la coreografia di Istvan Juhos. Un balletto narrativo che, al classico e al folklore ungherese, mescola sprazzi di contemporaneo, generando una certa confusione nello stile e nel segno, che nuoce ad un linguaggio unitario e coerente.

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