Il mercato del lavoro prima del coronavirus

Per avere un quadro di assieme della situazione prima dell’arrivo della pandemia da coronavirus, leggiamo i dati del rapporto annuale su "Il Mercato del Lavoro 2019"
LaPresse - Mourad Balti Touati

Al fine di favorire sempre più lo sviluppo del dibattito pubblico sul tema del lavoro è stato prorogato fino a dicembre 2021 l’Accordo quadro tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal, finalizzato a produrre informazioni armonizzate, complementari e coerenti sulla struttura e sulla dinamica del mercato del lavoro in Italia, data anche la positiva cooperazione inter-istituzionale sviluppata nell’arco dell’ultimo triennio.

L’Accordo quadro, oltre alla realizzazione del Rapporto annuale e della Nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione, ormai a regime da tre anni, prevede anche la progettazione e lo sviluppo, tuttora in corso, di un Sistema informativo statistico sul lavoro.

Il Rapporto annuale “Il Mercato del Lavoro 2019” presentato il 9 marzo  2020 affronta varie tematiche, “intrecciando gli aspetti congiunturali e ciclici con l’evoluzione del quadro strutturale – segnato dal progressivo rallentamento della crescita economica – in un contesto di una maggiore incertezza globale dovuta alle guerre commerciali, attenuate ma non scomparse in seguito al recente accordo Usa-Cina, e alle accresciute tensioni geopolitiche”.

In piena emergenza coronavirus – che da gennaio 2020 si sta diffondendo rapidamente prima in Cina e poi nel resto del mondo –  gli autori del Rapporto annuale sono consapevoli dell’ulteriore indebolimento delle prospettive di crescita economica con un prevedibile impatto sfavorevole anche sul mercato del lavoro.

Dalla lettura integrata dei dati sul mercato del lavoro emerge che nel terzo e quarto trimestre 2019, l’occupazione in Italia è al massimo storico di 23,4 milioni di unità, ma nei dati preliminari di dicembre e gennaio si registra un calo sia del numero di occupati sia del tasso di occupazione.

Inoltre, pur permanendo la tendenza a una crescita occupazionale a bassa intensità lavorativa (cioè si registra che il numero di occupati supera il livello del 2008 ma la quantità di lavoro utilizzato è ancora sensibilmente inferiore, la fase più recente è caratterizzata da una discesa delle ore lavorate e da una caduta del tempo pieno a fronte di una sostanziale tenuta dell’occupazione. Aumentati anche i divari con l’Ue (il gap nel tasso di occupazione è arrivato fino a 10,2 punti nel terzo 2019 e quello del tasso di disoccupazione a 3,5 punti, con differenze più accentuate per le donne e i giovani).

In più nel nostro Paese i caratteristici divari generazionale (a favore degli adulti), di genere (la metà delle donne in età attiva non lavora e quasi una donna su cinque vorrebbe lavorare ma non trova un impiego) e territoriali (la distanza tra il Mezzogiorno e il Centro-nord è di oltre 20 punti per il tasso di occupazione e per quello di mancata partecipazione) continuano ad ampliarsi. Nelle regioni meridionali, il tasso di occupazione per settore e professione evidenzia la minore domanda di lavoro nei settori di industria in senso stretto, servizi alle imprese, istruzione e sanità nonché la forte mancanza di professioni a medio-alta qualifica.

Il part time involontario

A fronte della crescita del ricorso al lavoro part time come alternativa all’orario standard permangono comunque problemi aperti. Ad esempio il part time involontario – più diffuso nei servizi alle famiglie, nelle professioni non qualificate e tra gli atipici –  nel Mezzogiorno sfiora l’80% contro il 58,7% nel Centro-nord, a fronte di una diffusione analoga nelle due ripartizioni. Inoltre, a   parità di condizioni, la probabilità di essere in part time involontario per una donna occupata è circa tre volte superiore a quella di un lavoratore. In crescita anche l’utilizzo dei tirocini extracurriculari quale strumento di prima esperienza o reingresso nel mercato del lavoro. Quanto alle aziende ospitanti, il 67,5% dei tirocini è attivato dalle imprese con meno di 50 addetti ma i tirocini con più elevati livelli di competenza si svolgono presso le imprese di maggiori dimensioni e nelle imprese attive in settori economici con un alto livello tecnologico.

Una nuova forma di lavoro autonomo?

Interessante è il quadro che emerge dal Rapporto annuale rispetto al lavoro autonomo. Negli ultimi dieci anni (2008-2018) l’occupazione indipendente si è ridotta del 9,5% a favore dell’aumento pari al 4% di quella dipendente. Nonostante ciò l’Italia si colloca al terzo posto in Europa per numero di lavoratori indipendenti, dopo Grecia e Romania.

È innegabile che si vada verso una nuova forma di lavoro autonomo. Si legge infatti nel Rapporto annuale che “Alla 20th International Conference of Labour Statisticians, l’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro) ha approvato una nuova classificazione che rivede i confini tra dipendenti e indipendenti, individuando la nuova figura dei dependent contractor: occupati formalmente autonomi vincolati da rapporti di subordinazione con un’altra unità economica (cliente o committente) che ne limita l’accesso al mercato (prezzi, tariffe, ecc.) e l’autonomia organizzativa.

Tra i dependent contractor vi è una maggiore presenza di donne e quote più elevate di giovani tra 15 e 34 anni (26,4% a fronte del 10,0% tra i datori di lavoro e del 15,8% degli autonomi senza dipendenti). Le professioni più frequenti tra i dependent contractor si configurano come una domanda di lavoro che mira a esternalizzare e scarica su questi lavoratori una parte dei rischi di impresa (operatori di call center, venditori a domicilio, addetti alle consegne, conduttori di mezzi pesanti)”.

Tra i rapporti di lavoro conclusi con il licenziamento, consistente è la quota di part time e di lavori di breve durata inferiori a un anno, tra i quali il mancato superamento del periodo di prova. Più frequenti tra i giovani fino a 29 anni i licenziamenti entro tre mesi dall’assunzione. Solo il 60% dei lavoratori licenziati accede alla Naspi, lo strumento di sostegno al reddito dei disoccupati in vigore dal 2015: ciò perché si assiste a un tempestivo ricollocamento al lavoro.

Questa in sintesi la fotografia di alcune dinamiche del mercato del lavoro in una fase di incertezza confermata anche dalla nota relativa al quarto trimestre 2019 nel quale si assiste al calo (pari allo 0,7%) dei contratti di lavoro attivati soprattutto nel settore dell’industria, in crescita invece i rapporti di lavoro nell’agricoltura.

 

 

 

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