Mediterraneo, la legge del mare

Esce in questi giorni nelle sale cinematografiche italiane un film di produzione spagnola, premiato in Italia e in Spagna, che racconta la nascita di Open Arms, la ong che dal 2015 ha portato in salvo migliaia di profughi nel Mediterraneo

La problematica dei rifugiati in Europa è esplosa di nuovo a causa della guerra in Ucraina. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) la cifra si avvicina ormai al milione di persone fuggite dalla guerra che chiederanno una qualche sistemazione nei Paesi dell’Unione europea. E viene da chiedersi se questa volta saremmo in grado di accoglierli, oppure vedremo ripetersi ancora una volta drammi già vissuti in passato…

Uno di quegli episodi del passato recente sui rifugiati lo raccoglie bene il film Mediterráneo (La legge del mare, in Italia), una produzione spagnola (2021) diretta Marcel Barrera, che racconta com’è nata l’ong Proactiva Open Arms a partire dall’impegno di due bagnini di Barcellona. Tra i premi ottenuti dal film, quello del pubblico nell’edizione 2021 della Festa del Cinema di Roma, e tre premi Goya nella recente edizione del Festival del Cinema Spagnolo. Non è male fare memoria con film che raccontano la storia, certo romanzata ma con il sapore di un documentario: può aiutare a non ripetere errori del passato.

Il duro commento di un critico sintetizza così quello che il film racconta: «Uno specchio in cui guardare se stessi, dove si riflette l’ipocrita e cruda barbarie del comportamento europeo di fronte ai problemi che l’Europa stessa genera».

Oscar Camps, fondatore di Open Arms, al Festival del Cinema di Roma. (AP Photo/Alessandra Tarantino)

Nei suoi pochi anni di esistenza, dal 2015, Open Arms ha catturato parecchie volte l’attenzione della stampa per le provocazioni alla legalità vigente nei confronti delle persone che arrivano sulle nostre coste. Al riguardo, Óscar Camps, il fondatore di questa ong, ragiona con molta semplicità: «Sono bagnino e la mia preoccupazione è proteggere vite umane in mare, ma quando vedi che ti prepari da molti anni per un’attività che qui non è nemmeno valorizzata, e vedi che in altri posti le persone muoiono perché non c’è nessuno ad aiutarli… beh, se possiamo salvarli, facciamolo. Questo era il mio approccio». Così si racconta Camps in un’intervista di Ana Moreno pubblicata da Ciudad Nueva Madrid.

Il film Mediterráneo non ha la pretesa di essere una denuncia alle politiche europee sui rifugiati. Si direbbe che, in chiave di documentario, descrive la preoccupazione di un cittadino comune che trova tante difficoltà per svolgere il proprio lavoro spinto da un desiderio legittimo: salvare vite umane. È inevitabile, però, che lo spettatore tiri le proprie conclusioni davanti ai fatti raccontati, fatti che comunque sono presentati «decaffeinati», come dice Camps, perché «era molto importante che il dramma non fosse esacerbato ma sensibilizzante».

Purtroppo, le obiezioni alle politiche migratorie europee restano. Non è facile distinguere tra chi arriva perché fugge da una guerra e chi invece coglie l’occasione per nascondere un crimine. Ci sarà una fine per questo dramma? «Forse nei prossimi decenni – dice Camps –. Le nuove generazioni potrebbero prendere sul serio questo problema e adottare politiche più empatiche e di supporto. Oggi abbiamo una generazione che dirige i progetti dell’Europa che non ha i valori o i principi che aveva la generazione precedente». Questa sì è una denuncia, anche se il film non la raccoglie.

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