Il Medioevo de “Il Pataffio”

Esce il film scritto e diretto da Francesco Lagi, presentato in concorso al Festival di Locarno. Dovrebbe far ridere e pensare.

Ce ne vuole per far ridere o almeno sorridere. Il film tratto dal romanzo omonimo di Luigi Malerba ci precipita in un Medioevo immaginario, sull’anno Mille che contiene tutti i cliché sui “secoli bui”: signorotti ignoranti e presuntuosi, poveracci che fanno la fame, donne sognatrici delle favole di Tristano e Isotta, frati ignoranti e lussuriosi.

In più castelli diroccati, luoghi selvaggi. E morte, fame, paura, tanta. E una lingua inventata che mescola latinismi, arcaismi, dialetti con notevole fantasia.

La storia è semplice. Un gruppo stravagante di soldati e cortigiani accompagna l’ex stalliere Marconte Bellocchio (Lino Musella) e la sua fresca sposa, l’immensa e ingenua Bernarda al proprio feudo. Sconquassato, inabitabile, con dei villani per nulla disposti a farsi governare, anzi a derubare in mille modi il loro arrogante signore grazie a un disoccupato affamato che fa da capopopolo. Come finirà?

Marconte non vuole consumare le nozze, allora Bernarda dovrà arrangiarsi per poi pagarne le conseguenze, Marconte assedia il castello vicino governato da una vecchiarda che lo insulta, Marconte stringerà un patto d’acciaio, o meglio di forchetta, col povero villano capopopolo, ma gli andrà male…

Insomma, la farsa c’è, meno la vera comicità e meno ancora il voler attualizzare la storia, più programmato che realizzato.

Altra aria ovviamente dalla celebre Armata Brancaleone con un grande Vittorio Gassman. Qui c’è il figlio Alessandro nei panni di un fratacchione incivile, ma esagera: forse la farsa non è per lui. Bravi tutti gli altri, anche Valerio Mastandrea, mite capopopolo affamato e bravissima Viviana Cangiano trepida sognatrice, svelto il ritmo, bella la musica e le filastrocche musicate da Stefano Bollani.

Divertente? Chissà. Forse c’è troppa carne al fuoco.

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