Maurizio Costanzo ha raccontato l’Italia

Un profilo a tutto tondo del grande giornalista e conduttore che ci ha lasciato il 24 febbraio, una vita spesa per la comunicazione a tutti i livelli
Maurizio Costanzo
Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Non solo il Maurizio Costanzo Show: il talk più popolare d’Italia, iconico per colore rosso, sigla, sgabello, divanetti, pianista di bianco vestito, atmosfere, sipario e alcune puntate memorabili. Maurizio Costanzo ha fatto di tutto, per oltre mezzo secolo. Non c’è campo artistico, dello spettacolo o della comunicazione in cui non abbia messo piede, mano, penna, volto e testa. La carta stampata per prima: molo mai dimenticato, start-up di un viaggio cominciato a soli 18 anni, dall’importante Paese Sera e proseguito per settimanali e quotidiani, consolidati e neonati. La Domenica del Corriere, da direttore, il quotidiano L’Occhio, da fondatore, insieme a tante altre avventure, con tanti ruoli e copioso inchiostro brillante, anche da critico cinematografico e televisivo, da curatore di rubriche. Ma pure la radio, tanta pure lei, e pure lei mai abbandonata. Altro amore, ricambiato con la sua voce inconfondibile, morbida, colloquiale, decisa e insieme alla mano. Giovane a anziana.

E poi le canzoni, le parole della stupenda Se telefonando cantata da Mina, il cinema in modo diretto, partecipando alla sceneggiatura del gigantesco Una giornata particolare di Ettore Scola. Scrivendo altri film, diversi di Pupi Avati. Addirittura dirigendone uno: il parodico Melodrammore con Enrico Montesano e il re del genere Amedeo Nazzari. Recitando se stesso, offrendosi in pellicole come F.F.S.S di Renzo Arbore o Caterina va in città di Paolo Virzì, dove cercava dal suo palco del Parioli di placare uno scatenato professore di scuola media (interpretato da Sergio Castellitto) che inveiva in modo poco comprensibile contro non si sa bene chi, ripetendo di continuo la parola “conventicole”.

E poi il teatro, anche qui con vari ruoli e tanti incarichi, fino all’indimenticabile spot della mitica Dino Erre Collofit: «E se va bene a me – diceva Costanzo – buona camicia a tutti». Ha intervistato Totò e un sacco di altri nomi grossi di ogni campo e del mondo intero, della cultura e della politica. Ha scoperto e lanciato una marea di giovani. Il primo fu Paolo Villaggio, nel ’67. Inventarono Fracchia insieme. Notò e allevò i vari Bergonzoni, Mastandrea, Iachetti, Ricky Memphis, tra gli altri. E poi Luciano De Crescenzo, di cui promosse Così parlò Bellavista, dandogli la possibilità di smettere di fare l’ingegnere.

Ha parlato davanti a una telecamera praticamente con chiunque. Ha ascoltato chiunque, senza mai farsi travolgere, controllando sempre con autorevolezza e ironia. Spesso con la leggerezza che amava. È stato un divoratore di spazi mediatici, Maurizio Costanzo, di orari e di canali grandi e piccoli, pubblici e privati. Ha vissuto attraversando, attento ed instancabile, tutti i mezzi di comunicazione. Per questo è diventato un fondamentale costruttore di televisione italiana. Perché la televisione li contiene tutti, è (o quantomeno è stata quella di Costanzo) una piazza che accoglie e si nutre di altro, di persone provenienti da fuori che l’attraversano e la movimentano plasmandola e lasciandosi contaminare. Già dal suo importante Bontà loro (1976), in fondo un MCS antelitteram (fatto di opinioni, emotività e persone con competenze e storie diverse, riunite in un salotto che fondeva pubblico e privato), Costanzo ha contribuito a dare forma a una tv nuova, a modellare questa pasta sempre in divenire, assumendola a compagna di vita professionale tra le numerose, umane storie d’amore e matrimonio. Parlandoci dentro per oltre 60 anni, ospitando senza sosta gente diversa, anche comune, rispettandola con una curiosità di fondo dal sapore autentico, fondendo politica e spettacolo.

Ha costruito, e anche descritto, sapendone spesso (sor)ridere, la televisione del Novecento, legando insieme il mestiere del giornalista e del conduttore che intrattiene, americanizzandola senza rinunciare alla sua romanità. Dando sempre la sensazione di volerle bene. La sua vetta fu, da un punto di vista etico, civile e morale, la maratona televisiva a reti unificate Rai-Fininvest, contro la mafia dopo l’omicidio di Libero Grassi. La organizzò insieme a Michele Santoro e bruciò in diretta una maglietta con la scritta “Mafia made in Italy”. C’era ospite anche Giovanni Falcone, che di Costanzo era amico. Cosa nostra, nemmeno due anni dopo, provò ad assassinarlo a via Fauro, a due passi dal teatro Parioli, con una macchina imbottita di tritolo. Non ce l’ha fatta, e ha continuato a raccontare l’Italia, Maurizio Costanzo, ha attraversato le sue stagioni, le sue feste e i suoi dolori, anche i suoi scandali e le sue cupe ombre, come la P2 alla quale risultò iscritto e che professionalmente gli costò non poco. Ripartì da capo, inventando lentamente frasi poi di tutti e diventando da tanti imitato. Entrando di nuovo nelle case di un Paese che ha sempre provato a capire e che ha contribuito (più o meno volontariamente) a far cambiare, intuendo spesso prima di altri dove stava andando insieme al mondo. Ieri, 24 febbraio 2023, se n’è andato, e quell’Italia fatta anche delle sue pose e delle sue battute, dei suoi intercalari e delle sue domande, è di colpo più lontana. Più passata.  

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