Mattarella, Sassoli e il senso dell’impegno dei cattolici in politica

Quali sono le sfide urgenti per i cattolici democratici in politica al tempo di una forte regressione culturale? Dalla guerra alle migrazioni, dal senso profondo dell’ideale europeo alla ricerca costante della giustizia sociale.  Intervista a Pierluigi Castagnetti, presidente della Fondazione Fossoli e già segretario del Partito popolare.
Paolo Giandotti/Ufficio Stampa Quirinale/LaPresse

Cattolici e segni dei tempi. Questa intervista a Pierluigi Castagnetti è stata effettuata alla vigilia dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Non abbiamo volutamente affrontato la questione del Quirinale perché, di solito, ogni posizione dell’ex segretario del partito popolare viene interpretata come espressione ufficiosa del presidente Mattarella.

Quel che interessa è cercare di capire la reale incidenza della cultura cattolico democratica dopo che la testimonianza offerta dalla vita di David Sassoli ne ha mostrato una declinazione politica feconda. La scomparsa prematura del presidente del Parlamento europeo è arrivata mentre in Europa si palesa una possibile guerra in Ucraina tra Nato e Russia.

Castagnetti tra Sassoli e von der Leyen a Fossoli 11 luglio 2021 foto Fondazione Fossoli

 

Castagnetti è attualmente presidente della Fondazione Fossoli, l’istituzione dedicata alla memoria delle vittime del campo di concentramento costruito dai nazisti a Carpi in provincia di Modena. Un luogo emblematico per capire la storia italiana del ‘900 e dove Sassoli è intervenuto nel luglio del 2021, assieme alla presidente della Commissione europea von der Leyen, con un discorso destinato a restare come un testo decisivo di formazione politica.

La storia di Pierluigi Castagnetti affonda le radici nella componente della Democrazia cristiana risalente a Dossetti e poi Zaccagnini e Martinazzoli. In tempi travagliati e difficili è stato tra i fondatori del Partito popolare, dopo la fine della Dc, tra gli artefici della coalizione dell’Ulivo e poi della creazione del Partito democratico. Appartiene ad una generazione che si è impegnata in politica a partire da una solida formazione culturale. Eletto al parlamento italiano e poi a quello europeo, è stato il relatore della legge 185/90 che ha regolato il mercato delle armi, vietandone la fornitura a regimi oppressivi e Paesi in guerra, ed è stato tra i deputati che nel 1991 ha votato contro la partecipazione dell’Italia alla prima guerra nel Golfo.

Quale è oggi il posto dei cattolici democratici? Quello di un ruolo residuale destinato a diventare marginale?
A partire dal lavoro svolto da Mattarella nel settennato al Quirinale e a quello interrotto prematuramente da Sassoli a livello europeo non credo si possa dire che il cattolicesimo democratico sia marginale e ininfluente nella politica attuale.

Il valore dell’Europa è un lascito specifico della cultura cattolico democratica che ha informato il sentire comune. Ai suoi tempi Luigi Sturzo era l’unico che parlava di Europa. Così anche la prospettiva europeista della Dc di De Gasperi era condivisa solo da alcuni partiti più piccoli e neanche tutti tra loro. Tra i repubblicani ad esempio il ministro della Difesa Randolfo Pacciardi (già comandate nella guerra civile di Spagna, poi spostatosi su posizione neoautoritarie, ndr) era contrario alla Comunità europea di difesa, progetto poi affossato dall’opposizione francese del generale De Gaulle.

Sul piano economico è poi evidente il contributo offerto dai cattolici per affermare l’economia sociale di mercato come paradigma alternativo al modello sovietico e a quello liberista poi dominante.

Eppure l’esigenza di tenere assieme giustizia sociale ed economia di mercato non ha avuto declinazioni del tutto divergenti tra i cattolici? Sono noti gli scontri tra La Pira e Sturzo…
È vero. Lo Sturzo tornato dagli Usa, dopo l’esilio dal regime, era su posizioni liberal liberiste. Ma quello che rileva storicamente è stata l’influenza dei cattolici in politica nel contrastare il capitalismo come ideologia totalizzante che ha la pretesa, cioè, di dettare non solo le regole dell’economia ma la vita nella sua interezza.

(AP Photo/Efrem Lukatsky)

Non le sembra che questa tensione etico politica sia tuttavia scomparsa su altri temi decisivi?  Abbiamo una serie di ministri della Difesa di estrazione cattolica democratica che promuovono la crescita della spese negli armamenti. Addirittura nella Dc esistevano posizioni critiche verso la Nato mentre oggi siamo davanti all’inerzia verso un possibile scontro bellico in Ucraina in piena Europa…
Nelle sezioni dei partiti, anche quelle più periferiche, fino agli anni Settanta i segretari locali aprivano il confronto partendo sempre da un’analisi della situazione internazionale, Esisteva un forte interesse allo scenario mondiale nell’opinione pubblica. Oggi siamo nel pieno di una regressione culturale. Viviamo il paradosso di trovarci nella disattenzione generale, e non solo in Italia, alla vigilia di un conflitto bellico che rischia di coinvolgere direttamente Usa e Russia.

Quali sono le cause di questa disattenzione anche da parte dei cattolici nelle diverse estrazioni? C’è un abisso dalla sua opposizione, da parlamentare Dc, contro la prima guerra del Golfo nel 1991 all’assuefazione attuale di fonte all’esistente. Perché?
È mancata in Italia un‘intera generazione di maestri come lo sono stati Lazzati, Dossetti e La Pira per una schiera di cattolici impegnati sul piano sociale e politico. E poi è evidente il cambiamento avvenuto nella stessa comunità ecclesiale, se penso agli anni in cui si faceva formazione nelle parrocchie sulle encicliche Pacem in terris e Populorum progressio. Vedo l’assenza, in generale, di un pensiero organico su questi temi. Quado sono stato in parlamento europeo ho conosciuto da vicino sia Helmut Khol che François Mitterrand. Nei loro discorsi esprimevano l’urgenza di arrivare a definire i trattati dell’Europa perché, come dicevano in sostanza entrambi, «quando scomparirà dalla sfera pubblica internazionale la nostra generazione che ha vissuto la seconda guerra mondiale o ne ha sentito raccontare dai testimoni diretti, probabilmente il tema della pace e dell’Europa come motore di una strategia di pace sparirà nel dibattito pubblico». E ciò è quello che è purtroppo avvenuto con la progressiva scomparsa degli uomini e delle donne che avevano inserito in ogni costituzione democratica la condanna della guerra. Lo conferma la rinascita di un nazionalismo di tipo virulento.   Ricordiamo tutti quell’esclamazione clamorosa e affranta di Mitterand «Le nationalisme, c’est la guerre!». (Il nazionalismo è la guerra!). La politica nella fase della mondializzazione e della rivoluzione digitale si è occupata di altro e ha assisto con atteggiamento fatalista e inerte ad un mutamento epocale degli scenari internazionali fino allo spostamento del baricentro strategico del mondo.

Lo abbiamo visto nel 2011 rispetto all’inerzia italiana davanti al protagonismo di Sarkozy, successore di Mitterrand, che ci ha trascinato nel disastroso conflitto in Libia come tutti ammettono oggi.
Direi inerzia di tutto il mondo occidentale se si pensa alla posizione degli Usa di Clinton e addirittura di Obama. Quest’ultimo, che pure aveva fatto nel 2009 all’università de Il Cairo un intervento che ribaltava l’approccio occidentale verso il mondo arabo, ha dovuto fare marcia indietro sotto l’azione dei poteri prevalenti che influenzano l’azione dei governi.

Come si cura questa mancanza di anticorpi verso il prevalere di tali poteri che il presidente Eisenhower ha definito nel 1961 come “complesso militar industriale”?
Bisogna sviluppare questi anticorpi culturali ed etici. E il compito dei cattolici oggi è proprio quello di sviluppare questi temi. Penso anche alla grande questione delle migrazioni che è strettamente collegato con quello della guerra. Esistono punti fermi come la lettera ai cappellani militari di don Lorenzo Milani. Le parti dedicate alla guerra nella “Fratelli tutti” mi sembrano espressione di un pensiero ancora incompleto. Mi aspetto da papa Francesco una grande enciclica sulla Pace per ribaltare un atteggiamento fatalistico verso la guerra che vedo prevalente anche tra i cattolici. La pace è responsabilità delle nostre scelte, è il frutto di un disegno che noi perseguiamo. C’è bisogno di un coinvolgimento del mondo della cultura che sia capace di misurarsi davanti a tale sfida. Penso in particolare alle tante università cattoliche esistenti.

In questo campo abbiamo visto in azione tutta una schiera di pensatori che hanno legittimato la guerra se solo si pensa alla scuola di Michael Novak e altri che sono oggi i più critici contro Francesco…
Una posizione che è stata assunta di fatto nella chiesa italiana. Si pensi al discorso del cardinal Ruini al funerale per le vittime italiane di Nassiriya in Iraq che è un manifesto di massimo realismo politico da parte dell’Occidente in contrasto con l’appello incessante di papa Giovanni Paolo II al dialogo per fermare la guerra.

Ma non è il realismo il criterio predominante per chi fa politica?
Si può anche coltivare una concezione testimoniale che esprime un valore straordinario in diverse sedi, anche parlamentari. Me mi redo conto che chi fa politica deve fare i conti con i numeri, cioè con i rapporti di forza, deve  misurarsi con il consenso popolare.

Foto Fondazione Fossoli

Nell’intervento fatto a Fossoli, David Sassoli ha ricordato l’errore di quelle classi dirigenti che hanno spalancato le porte al nazismo perché convinte, per prudenza, di dover posporre la giustizia, la pace, l’uguaglianza. Non si rischia di fare lo stesso adesso per eccesso di realismo?
Ne sono convinto. Infatti avevamo concordato con David la visita nell’ex campo di concentramento assieme alla von der Leyen proprio per evitare la retorica memorialistica legata al passato e rivolgere lo sguardo ai lager di oggi che ci interpellano direttamente

Sassoli aveva, infatti, ben presente i campi di Lesbo, quelli in Libia e sul confine balcanico dell’Ue. Come si possono affrontare queste tragedie?
Dobbiamo agire a livello europeo e sovranazionale perché i singoli stati possono fare poco davanti a fenomeni epocali come le gradi migrazioni che non sono destinate a fermarsi. È necessario che i Paesi dell’Ue cedano una parte importante della sovranità sulla politica estera e quella di difesa Questa mancanza di disponibilità conduce ad una debolezza strategica dell’Europa nello scenario internazionale. Dobbiamo così assistere impotenti davanti al precipitare degli eventi sulla frontiera tra Ucraina e Russia. L’Europa non può intervenire come soggetto forte pacificatore senza una delega da parte degli Stati membri dell’Unione. Allo stesso tempo i singoli Paesi saranno investiti dalle pesanti conseguenze delle sanzioni, ad esempio in campo energetico, che saranno decise dagli Usa e quindi dalla Nato contro la Russia. Senza sfiorare nemmeno la conseguenza spaventosa di un conflitto bellico possibile e annunciato dallo schieramento di forze e la concentrazione di un gran numero di armamenti in quella zona.

Vede dei segnali di novità davanti a tale scenario così difficile?
Mi ha molto colpito Massimiliano Smeriglio, un parlamentare europeo che si definisce non credente, che ha definito il saluto cristiano a David Sassoli «non un funerale ma un manifesto politico. Il manifesto di un movimento politico e sociale, quello del cattolicesimo democratico, che combatte, sogna e ragiona. Che non ha paura della propria idealità e che attraversa il mondo con la forza della mitezza, della sobrietà, della radicalità del messaggio evangelico. Sempre dalla parte degli ultimi, sempre dalla parte della persona, della complessa dimensione umana. Una lezione di stile, una lezione collettiva, dalla parte dell’umanità senza cattedra». Credo che siamo chiamati ad affrontare da questa prospettiva le grandi questioni epocali del nostro tempo.

 

 

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