«Oggi molti protagonisti della vita internazionale aspirano a essere temuti più che stimati e ammirati. Questa scelta può, forse, produrre qualche vantaggio nell’immediato; ma colpisce, incrina ampiamente e forse azzera, per il futuro, fiducia, prestigio, autorevolezza; e, quindi, stabile ed effettiva influenza nella comunità internazionale».
Inquieta il messaggio che il presidente della Repubblica Segio Mattarella ha rivolto il 30 luglio alla stampa parlamentare perché offre una lettura del nostro tempo che sta tornando pericolosamente indietro, al periodo in cui fu introdotta la cerimonia della consegna del ventaglio da parte dei giornalisti accreditati presso le massime istituzioni nazionali, nel 1893: tre anni prima del disastro di Adua, la traumatica sconfitta delle truppe italiane nella guerra coloniale d’Abissinia. Lo scenario della crisi dei grandi imperi, a cominciare dallo sfaldamento di quello ottomano, portò poi alla “scintilla” capace di far esplodere nell’estate del 1914 il primo conflitto mondiale; che ha segnato quel cambiamento d’epoca culminato con il lancio della bomba atomica nell’agosto 1945 sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki.
Il ritorno dei sovranismi e della “ragione della forza” conduce addirittura il presidente statunitense Trump a rivendicare il controllo della Groenlandia, un vasto territorio appartenente alla Danimarca, cioè ad un Paese europeo; e a minacciare di annessione il vicino Canada, verso il quale si rivolge sempre in maniera aggressiva. Minaccia con mimica da bullo l’imposizione di dazi al 50% contro il vicino del Nord se questi procederà come promesso al riconoscimento della Stato di Palestina.
Come già riportato su cittanuova.it, Mattarella ha espresso il 30 luglio parole durissime contro l’attuale governo israeliano per la strage continua in atto a Gaza, censurando la violenta impunità dei coloni fondamentalisti in Cisgiordania, riprendendo concetti già espressi nell’incontro con gli ambasciatori.
Non può entrare, per competenza, nel merito del riconoscimento o meno del passo diplomatico dello stato palestinese già deciso da Francia, Regno Unito e forse addirittura Germania. La posizione dell’Italia, ribadita in Parlamento, che resta convinta con il suo governo della non opportunità di procedere in tal senso, rimanda alla natura dei nostri rapporti con gli Usa, che restano il grande alleato indispensabile di Israele. Un protettore incapace tuttavia di fermare la strategia suicida di Netanyahu, accolto a Washington nonostante le proteste di una parte importante della numerosa comunità ebraica statunitense. Il quotidiano espressione storica di questa élite intellettuale, il New York Times, il 15 luglio ha pubblicato un saggio dello storico israeliano Omer Bartov, tra i più autorevoli studiosi dell’Olocausto e dei genocidi, che ha espresso la parola “innominabile” a proposito di ciò che sta commettendo il governo Netanyahu.
Come evidenziato nella lettera aperta dei diplomatici italiani, il problema centrale resta la sospensione di «ogni rapporto e cooperazione, di qualunque natura, nel settore militare e della difesa con Israele», assieme all’adesione italiana, finora rifiutata, «al consenso europeo per la sospensione temporanea dell’Accordo di associazione tra Israele e l’Unione europea».
La vera sovranità nazionale si esprime su questi nodi strutturali, senza per questo venir meno alla fedeltà atlantica che il presidente Mattarella esprime continuamente sottolineando, come ripetuto il 30 luglio, il «pieno raccordo e sintonia con l’Alleanza Atlantica, alleanza di popoli liberi, garanzia di decenni di stabilità e di pace, la cui saldezza – per rispondere alla sua domanda – è superiore a qualunque momento di divergenza o di confronto di opinioni al suo interno».
Mattarella ha ribadito la condanna dell’aggressione della Russia all’Ucraina, che «ha cambiato la storia d’Europa», evidenziando che «i Paesi dell’Unione e della Nato, che insieme alla Russia si affacciano sul Mar Baltico, nutrono la grave preoccupazione, se non – come viene enunciato – la convinzione, che la Russia, dopo quella all’Ucraina, coltivi il proposito di altre, nuove iniziative di aggressione, a scapito della loro sicurezza se non addirittura della indipendenza di alcuni di essi».
Occorrono grandi statisti per invertire il corso di una discesa inesorabile verso il conflitto aperto, che tra l’altro lo stesso presidente dovrà eventualmente gestire dalla posizione di vertice del Consiglio supremo di difesa che si riunisce periodicamente al Quirinale.
Si ricordano in questi giorni i 50 anni dalla Conferenza di Helsinki del 1975 sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, che ha segnato una svolta in positivo grazie alla lungimiranza di una generazione di politici ancora storicamente vicini al disastro della seconda guerra mondiale, terminata solo 30 anni prima, nel 1945, con l’istaurazione della guerra fredda tra blocchi contrapposti.
Nello stessa mattinata del 30 luglio, papa Leone XIV ha ribadito l’importanza di tornare allo spirito di Helsinki: «Animati dal desiderio di garantire la sicurezza nel contesto della Guerra Fredda, trentacinque Paesi inaugurarono una nuova stagione geopolitica favorendo il riavvicinamento tra Est e Ovest. Quell’evento segnò anche un rinnovato interesse per i diritti umani, con particolare attenzione alla libertà religiosa, considerata come uno dei fondamenti della loro nascente architettura di cooperazione, da Vancouver a Vladivostok».
Una prospettiva interrotta dall’invasione russa dell’Ucraina, come testimoniato da Mattarella; che ha ricordato le aspettative espresse ancora nel 2021 dal presidente della Finlandia, proprio in un ricevimento al Quirinale, di poter indire una nuova conferenza di Helsinki nel 2025. Ma nel frattempo la Finlandia ha abbandonato lo stato di neutralità per aderire alla Nato.
«Sul piano della realtà delle relazioni internazionali – ha detto Mattarella – la scelta e la postura della Russia hanno, più che stravolto, cancellato l’equilibrio; equilibrio che garantisce la pace e dissuade da avventure di guerra. È la storia – maestra di vita – che insegna che, fin tanto che non saremo riusciti a eliminare dalla vita internazionale le tentazioni di dominio su altri popoli (ciò che, più o meno, equivale a voler eliminare il male dall’umanità), è l’equilibrio che impedisce di seguire le tentazioni di dominio».
Per ripristinare questo equilibrio, secondo Mattarella, occorre approntare «adeguate capacità difensive dei Paesi raccolti nell’Unione Europea, affinchè questa possa realmente svolgere il ruolo cui è chiamata: essere attrice di sicurezza e promotrice di pace».
Su come arrivare a questo obiettivo è interessante citare il discorso che il presidente ha tenuto alla delegazione parlamentare presso la Nato, definita come alleanza di popoli liberi, che «vive del sostegno democratico offerto dai suoi cittadini attraverso le rappresentanze parlamentari, allo scopo di stimolare consapevolezza e dibattito sui temi della sicurezza e della difesa euro-atlantica». «Come è illusorio concepire una democrazia senza sicurezza – ha detto il presidente –, così non può esistere sicurezza senza democrazia, né una difesa militare senza una piena legittimità democratica».
La prospettiva quindi di un reale dibattito democratico sulle scelte fondamentali del nostro Paese, che nel 1975 grazie ad Aldo Moro fu tra gli artefici della Conferenza di Helsinki.
Già nell’importante intervento fatto a Strasburgo il 24 aprile 2022, a pochi giorni dall’invasione russa dell’Ucraina, il presidente Mattarella indicò la necessitò di tornare a Helsinki e non a Yalta (cioè la spartizione del mondo tra le grandi potenze): «Prospettare una sede internazionale che rinnovi radici alla pace, che restituisca dignità a un quadro di sicurezza e di cooperazione, sull’esempio di quella Conferenza di Helsinki che portò, nel 1975, a un Atto finale foriero di sviluppi positivi. E di cui fu figlia la Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Si tratta di affermare con forza il rifiuto di una politica basata su sfere di influenza, su diritti affievoliti per alcuni popoli e Paesi e, invece, proclamare, nello spirito di Helsinki, la parità di diritti, la uguaglianza per i popoli e per le persone. Secondo una nuova architettura delle relazioni internazionali, in Europa e nel mondo, condivisa, coinvolgente, senza posizioni pregiudizialmente privilegiate»
Parole che ora necessitano di un vero dibattito aperto e di scelte urgenti davanti alla tragedia in corso a Gaza.