Maternità: lieto evento?

Aspetti positivi e limiti degli aiuti alle famiglie
Leonardo e Lucia Brancaccio
La maternità rappresenta una delle tematiche disciplinate nell’ambito del diritto di famiglia che è un ramo del diritto civile atto a regolamentare i rapporti familiari, quali il matrimonio, i rapporti personali fra i coniugi, i rapporti patrimoniali nella famiglia, la filiazione, i rapporti fra genitori e figli, laseparazione, ildivorzio, le obbligazioni alimentari e gli obblighi di mantenimento del coniuge più debole. La Costituzione Italiana dedica alla famiglia alcuni articoli (art. 29, art. 30) e in particolare l’art. 31 stabilisce che «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose…».

Parlare, dunque, della maternità significa, essenzialmente, affrontare la problematica della conciliazione tra lavoro e famiglia, per la quale le relative azioni politiche si ripropongono di fornire strumenti che, rendendo compatibili sfera lavorativa e sfera famigliare, consentono a ciascun individuo di vivere al meglio i molteplici ruoli all’interno di società complesse.

 

 

 

Il congedo di maternità e la flessibilità

 

 

In Italia la normativa cardine in materia è rappresentata dalla legge 8 marzo 2000, n. 53 che ha focalizzato l’attenzione delle regioni e degli enti locali sull’importanza di riorganizzare i tempi delle città e ha promosso, tramite l’art. 9, la sperimentazione di azioni positive per la conciliazione sul luogo di lavoro, sensibilizzando in tal senso aziende e parti sociali. Nel tempo ha subito diverse modifiche per essere adattata all’evoluzione del contesto di riferimento, così da intercettare i nuovi bisogni di conciliazione emersi nel corso d’attuazione[1]. Così ecco il D. Lgs. 26 marzo 2001, n. 151che introduce nuove definizioni circa le varie situazioni nell’ambito della maternità e paternità. Cercheremo di esemplificarle.

Il “congedo di maternità” è l’astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice durante i due mesi precedenti la data presunta del parto (ove il parto avvenga in ritardo, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto), i tre mesi dopo il parto, gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, in caso di parto prematuro (art.16). È vietato adibire una lavoratrice durante il periodo di gestazione e sino al settimo mese di età del bambino a lavori ritenuti pericolosi, faticosi ed insalubri.

È possibile l’interdizione dal lavoro (ossia la possibilità di sospendere l’attività in anticipo) che, prima dell’intervento del Governo Monti, era disposta dal Servizio Ispettivo del Ministero del Lavoro, mentre con l’attuale art. 15 del D.L 5/2012, in modifica al comma 3 dell’art. 17 del D.Lgs. n. 151/2001, spetta all’ASL tutta la procedura di interdizione anticipata per «gravi complicanze della gravidanza o di persistenti forme morbose». Al fine di consentire ai competenti servizi delle ASL di organizzare l’attività procedimentale di rilascio dei provvedimenti di astensione per le gravi complicanze della gravidanza, le modifiche in questione trovano applicazione a far data dal 1° aprile 2012[2]. Al di fuori di tali ipotesi particolari, la durata del congedo di maternità è di 5 mesi; tuttavia le lavoratrici hanno facoltà di astenersi dal lavoro il mese prima del parto e quattro mesi dopo.

La flessibilità è possibile a condizione che certificati del ginecologo del SSN e del medico aziendale (ove esiste) la consentano. La certificazione deve essere effettuata durante il 7° mese di gravidanza e presentata al datore di lavoro.

La “flessibilità” è applicabile solo in caso di:

                assenza di malattie che siano di rischio per la salute della lavoratrice e/o del nascituro;

                assenza di un provvedimento di maternità anticipata o il venire meno delle cause che hanno precedentemente portato ad un periodo di maternità anticipata;

assenza di pregiudizio alla salute della lavoratrice e/o del nascituro per le mansioni svolte, per l’ambiente o l’orario di lavoro;

                assenza di controindicazioni derivanti dal viaggio casa-lavoro (Circ. Ministero 43/2000)(art. 20).

Il legislatore concede alla lavoratrice la possibilità di riprendere, in presenza di particolari eventi e a determinate condizioni, l’attività lavorativa, rinunciando in tutto o in parte al congedo di maternità post-partum. Lo chiarisce l’INPS con la Circolare 27 ottobre 2011, n. 139. Gli eventi che consentono alla lavoratrice in congedo di maternità di optare per la ripresa del lavoro sono:

·     l’interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza successiva (o coincidente) al 180° giorno dall’inizio della gestazione;

·     il decesso del bambino alla nascita ovvero durante il congedo di maternità. (Inps, messaggio 18 aprile 2011, n. 9042).

I periodi di congedo di maternità sono computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alle ferie ed alla tredicesima mensilità (Art. 22, comma 3).

Il trattamento economico per l’intero periodo di congedo di maternità (compresa quella anticipata) e di congedo di paternità è pari all’80% dell’ultima retribuzione.

Tale indennità è comprensiva di ogni altra spettante per malattia (Artt. 22, 23). Alla madre adottiva o affidatariaspetta l’astensione obbligatoria per i 3 mesi successivi all’ingresso nella famiglia del bambino che, al momento dell’adozione o dell’affidamento, non abbia superato i 6 anni di età. Analogo diritto spetta al padre adottivo o affidatario, solo nel caso in cui la madre abbia rinunciato a fruire della maternità obbligatoria o sia deceduta, oppure il bambino sia affidato in via esclusiva al padre. In caso di adozione di minore “straniero” il diritto spetta anche nei casi di adozione e affidamento di minori di età compresa tra i 6 e i 18 anni. Il diritto deve essere esercitato nei primi tre mesi dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.

 

 

 

Il divieto di licenziare

 

 

Una forma di tutela disposta dal legislatore che, secondo il nostro pensiero, ha segnato la fine (o quasi!) di atteggiamenti “dittatoriali” da parte del datore di lavoro, è il divieto di licenziamento (art. 54) della lavoratrice dall’inizio della gravidanza e sino al compimento di un anno del bambino. Il licenziamento è nullo e la lavoratrice ha diritto di ottenere il ripristino del rapporto di lavoro, presentando un certificato dal quale risulti lo stato di gravidanza alla data di licenziamento. Il divieto non opera nel caso di:

                colpa grave della lavoratrice, che costituisca giusta causa;

                cessazione dell’attività dell’azienda;

                risoluzione del rapporto per scadenza del termine;

                esito negativo della prova.

Il divieto di licenziamento è esteso al padre nei casi in cui usufruisce del congedo di paternità; scatta dall’inizio del congedo sino al compimento di un anno di età del bambino. Il divieto è esteso anche ai casi di adozione e di affidamento. Addirittura, con sentenza della Suprema Corte n. 19912 del 2011, è stato dichiarato nullo il licenziamento della puerpera tornata al lavoro tardi dopo la maternità. I giudici, infatti, con riferimento al D. Lgs n. 151/2011, art. 54, hanno rilevato il comma 3, lett. a), ove è sancita l’impossibilità di applicare il divieto di licenziamento nel caso di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro. In particolare, «il concetto di “colpa grave” non può ritenersi soddisfatto solo in presenza di una giusta causa oppure di un giustificato motivo soggettivo di licenziamento, bensì occorre accertare se sussiste o meno la colpa “grave” mediante una verifica riservata al giudice di merito e, come tale, non sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da una motivazione congrua ed immune da vizi»[3].

 

 

 

Chi ha diritto ai congedi?

 

 

Riteniamo importante esemplificare le categorie di lavoratrice alle quali è ascrivibile la titolarità del diritto ai congedi e al relativo trattamento economico come previsto nel D.Lgs.151/01, salvo che i relativi ordinamenti prevedano condizioni di miglior favore:

§     coloro che sono assunti con contratti a tempo determinato o a lavoro interinale nella pubblica amministrazione (art.57);

§     coloro che sono impiegati a tempo parziale, per i quali solo il trattamento economico è riproporzionato in relazione all’entità della prestazione lavorativa (art.60);

§     lavoratrici a domicilio (art.61);

§     lavoratrici domestiche (art.62);

§     lavoratrici agricole a tempo indeterminato (art.63);

§     lavoratrici impegnate in attività socialmente utili (art. 65);

§     lavoratrici autonome, coltivatrici dirette, mezzadre, colone artigiane, esercenti attività commerciali, imprenditrici agricole (artt.66-69);

§     libere professioniste iscritte alle varie casse di previdenza e assistenza di categoria (notai, avvocati, farmacisti, medici, geometri, sportivi, dottori commercialisti, architetti, ragionieri e consulenti del lavoro) (artt.70-73).

Per le lavoratrici con contratti di collaborazione coordinata e continuativa non sussiste alcun diritto rispetto ai congedi e nemmeno in materia di tutela della salute (maternità a rischio o lavori gravosi e insalubri). A loro spetta un’indennità di maternità per i 2 mesi antecedenti la data del parto ed i 3 mesi successivi, a condizione che abbiano versato 3 mensilità di contributialla gestione separata nell’anno che precede il settimo mese di gravidanza. L’indennità è pari all’80% dell’ammontare dei compensi dell’anno precedente. L’indennità spetta anche al padre collaboratore coordinato e continuativo nei 3 mesi successivi alla data di nascita del figlio, in caso di morte o grave infermità della madre, di abbandono e di affidamento esclusivo al padre (art.64).

 

 

 

Dopo la nascita

 

 

Cosa succede quando il bambino nasce? Quali sono i diritti della madre? Il legislatore disciplina i riposi giornalieri (c.d. periodi di allattamento), retribuiti, di cui la madre gode durante il primo anno di età del bambino, secondo le seguenti modalità: due ore al giorno fino a 6 ore di orario di lavoro giornaliero ovvero 1 ora al giorno per orari di lavoro inferiori alle 6 ore (art.39).

Altresì, la normativa prevede, per determinati casi precari, anche un trattamento economico. Per i figli nati o adottati dal 2 luglio 2000, le cittadine italiane, quelle comunitarie e quelle in possesso della carta di soggiorno possono richiedere un assegno all’INPS:

                quando sussiste una qualsiasi forma di tutela previdenziale obbligatoria della maternità, quando il periodo intercorso dalla perdita del diritto ad una delle seguenti prestazioni previdenziali (lavori socialmente utili, indennità di mobilità, indennità di disoccupazione, compresa quella a requisiti ridotti; cassa integrazione, indennità di malattia o maternità, derivate dallo svolgimento di almeno tre mesi di attività lavorativa) e la data dell’evento non sia superiore a 9 mesi;

                quando in caso di recesso, anche volontario del lavoro, durante il periodo di gravidanza la donna possa far valere 3 mesi di contribuzione nel periodo che va dai 18 ai 9 mesi antecedenti all’evento.

In merito, in un comunicato dell’ISTAT del 16 gennaio 2012 si legge: «l’assegno mensile per il nucleo familiare ai sensi dell’art. 65, comma 4, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 e successive modifiche e integrazioni, da corrispondere agli aventi diritto per l’anno 2012, se spettante nella misura intera, è pari a € 135,43; per le domande relative al medesimo anno, il valore dell’indicatore della situazione economica, con riferimento a nuclei familiari composti da cinque componenti è pari a € 24.377,39 (per nuclei familiari con diversa composizione, il requisito economico è riparametrato sulla base della scala di equivalenza prevista dal decreto legislativo n.109/98 – rif. comma l, art. 65, legge n.448/1998); l’assegno mensile di maternità ai sensi dell’art. 74 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n.151, da corrispondere agli aventi diritto per l’anno 2012, per le nascite, gli affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamento, se spettante nella misura intera, è pari a € 324,79; per le domande relative al medesimo anno, il valore dell’indicatore della situazione economica, con riferimento a nuclei familiari composti da tre componenti, è pari a € 33.857,511»[4].

 

 

 

I congedi parentali

 

 

In tutto questo, cosa è previsto per il padre? È disciplinato il “congedo di paternità” ossia l’astensione dal lavoro del lavoratore, fruito in alternativa al congedo di maternità (artt. 28, 29, 30, 31).

Nei primi tre mesi dalla nascita del figlio, l’astensione obbligatoria spetta al padre lavoratore in caso di morte, grave malattia della madre, abbandono e affidamento esclusivo del bambino al padre. La madre e il padre possono utilizzare il congedo parentale (astensione facoltativa) anche contemporaneamente e il padre lo può utilizzare anche durante i tre mesi di congedo di maternità post-partum della madre e durante i periodi nei quali la madre beneficia dei riposi entro l’anno del bambino. I periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie ed alla tredicesima mensilità. Senza condizioni di reddito, l’indennità per i congedi parentali è fissata nel 30% della retribuzione dell’ultimo mese lavorato per un periodo massimo complessivo di sei mesi: ai genitori naturali fino al giorno, compreso, del 3°compleanno; per i genitori adottivi o affidatari di bambini adottati in età inferiore a 6 anni fino al giorno, compreso, del 6°compleanno; per i genitori adottivi o affidatari di bambini adottati tra i 6 e i 12 anni, entro i tre anni successivi all’ingresso in famiglia (art.34).

La legge prevede, in linea generale, la possibilità per il padre lavoratore dipendente di fruire dei riposi giornalieri entro il primo anno del bambino e del relativo trattamento economico: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga (art.40).

Se il bambino si ammala cosa succede? Entrambi i genitori, alternativamente, nei primi otto anni di vita del bambino possono assentarsi (senza essere indennizzati in alcun modo) dal lavoro per malattie del bambino: fino a tre anni, senza limiti di durata; in età compresa fra tre e otto anni, nel limite di cinque giorni lavorativi annui per ciascun genitore (art. 47).

Il diritto è pieno per entrambi i genitori: chi ne usufruisce è tenuto solo ad un’autocertificazione attestante che l’altro genitore non sia assente nello stesso periodo e per lo stesso motivo (Art. 51).

L’ultima modifica, contenuta nell’art. 38 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha ampliato la platea dei potenziali beneficiari ed aggiornato il novero degli interventi finanziabili, rendendo necessaria la stesura di un nuovo regolamento di attuazione, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 101 del 3 maggio 2011 (serie generale) ed è entrato in vigore il 18 maggio 2011. Sono previste misure di conciliazione distinte in favore dei lavoratori dipendenti (art. 9, comma 1) e dei soggetti autonomi (art. 9, comma 3).

In base alla nuova disciplina, il 90% delle risorse annualmente disponibili è riservato al finanziamento di datori di lavoro privati, purché iscritti in un pubblico registro (es. registro delle imprese, albi professionali, ecc.), e, ove residuino fondi, alle aziende sanitarie locali e alle aziende ospedaliere, anche universitarie, che intendano attivare, in favore dei propri dipendenti, una delle seguenti misure di conciliazione:

a) nuovi sistemi di flessibilità degli orari e dell’organizzazione del lavoro, quali part-time reversibile, telelavoro, orario concentrato, orario flessibile in entrata o in uscita, flessibilità su turni, banca delle ore, ecc.;

b) programmi e azioni per il reinserimento di lavoratori/lavoratrici che rientrano da periodi di congedo di almeno 60 giorni;

c) servizi innovativi ritagliati sulle esigenze specifiche dei lavoratori e delle lavoratrici.

Il residuo 10% delle risorse, invece, è diretto al finanziamento di titolari di impresa, liberi professionisti e lavoratori autonomi che abbiano l’esigenza di farsi sostituire, in tutto o in parte, nell’esercizio della propria attività da un soggetto in possesso di adeguati requisiti professionali, autonomamente selezionato. Questa misura si caratterizza, quindi, per la peculiarità di essere destinata ad un unico beneficiario, che è anche il soggetto proponente. Può essere attivata esclusivamente per esigenze legate alla genitorialità, per un periodo massimo di 12 mesi (che può essere spalmato nell’arco di 2 anni e ripartito tra i due genitori, laddove entrambi siano lavoratori autonomi).

 

 

 

Rilievi critici

 

 

Alla luce di quanto brevemente descritto, sembra, di primo acchito, che chi decide di “accogliere la vita”, sia al sicuro… come dire in una “botte di ferro”! Pensandoci, però, sorgono seri dubbi.

Il legislatore usa – in modo corretto ­­– il termine gravidanza per indicare la condizione della donna nei mesi che precedono il parto, durante i quali si sviluppa il feto che essa porta.

Ma concretamente cosa significa questa condizione? Quali sono le conseguenze? Vuol dire portare dentro di sé un’altra vita, ossia qualcuno che ha le tue stesse (più o meno) esigenze, anche fisiologiche, da soddisfare per aiutarlo a crescere nella completa serenità. Pensare che la crescita sia soltanto un evento puramente fisico, è un grave errore. Se la donna è sottoposta, per diversi motivi, a qualsiasi forma di stress, il bambino potrebbe subire danni soprattutto a livello cerebrale. Per non parlare del suo stato d’animo.

Soffermiamo, per un momento, l’attenzione su ognuno di noi. Cosa ci succede quando subiamo tensioni a causa del lavoro (in particolare, quando non c’è), dei disguidi famigliari, della mancanza di affetto? Ci sembra di portare un enorme macigno: non si sorride più, non si è più sereni… Immaginiamo, ora, cosa accade ad una creatura che non ha ancora imparato a gestire le proprie emozioni, che risente dello stato d’animo, delle preoccupazioni di coloro che ha vicino. Nel caso, ad esempio, della lavoratrice con contratto di co.co.co. per la quale il legislatore ha previsto un’indennità di maternità per i 2 mesi antecedenti la data del parto ed i 3 mesi successivi, ma – badate bene ­– a condizione di aver versato 3 mensilità di contributi(naturalmente in misura minima)alla gestione separata nell’anno precedenteil settimo mesedi gravidanza: quale tranquillità può avere e, dunque, donare al proprio bimbo se avesse versato i contributi solo per due mesi? Non percepirebbe nulla!

Per non parlare della misura dell’indennità: 80% dello stipendio (per chi lo percepisce). Per quale motivo 80%? Perché la donna nei due mesi antecedenti il parto e nei tre mesi successivi non esercita la professione! Abbiamo davvero l’impressione di vedere sempre sminuito proprio il ruolo della donna già mamma da quando accoglie in sé questo pargoletto… e poi, con tanti sacrifici, lo partorisce e… sempre con altrettanti sacrifici, insieme all’aiuto del papà, lo aiuta a diventare un adulto. Magari, chissà, diventerà il nuovo Presidente del Consiglio o il nuovo Papa o semplicemente uno come noi ma pur sempre “Vita” che può generare ancora un’altra “Vita”!

E poi non è proprio lo Stato a riconoscere i diritti della famiglia come società naturale (art.29, 1° comma Costituzione)? Più che di diritti è meglio parlare di “sussidi” che spesso pregiudicano la dignità personale, la serenità e la felicità anche della coppia!

Quando nasce un bambino, arriva la gioia ma giungono anche le responsabilità, nuovi oneri finanziari. E il legislatore cosa fa? Innanzitutto dispone che la donna rientri al lavoro dopo soltanto 3 mesi (o 4 a seconda dei casi), proprio quando il bambino comincia a superare il trauma di non essere più in pancia, a rapportarsi a mamma e papà in una nuova dimensione (fase dell’attaccamento). A quel punto, poi, i genitori sono costretti a rivolgersi, a proprie spese, agli asili nidi, baby-sitter o, per chi è fortunato, ai nonni! Al massimo il “nostro” legislatore concede l’astensione facoltativa (della durata totale di 6 mesi), sì, ma al 30% dello stipendio. Dunque, cresce la gioia per l’arrivo di un bambino, crescono le responsabilità, le notti in bianco, le spese, ma ciò che diminuisce è proprio l’aiuto – soprattutto economico – davvero necessario. Il figlio, poi, comincia a crescere e può ammalarsi; la mamma o il papà, chiamati ad assisterlo, non vengono retribuiti per quella o quelle giornate di assenza.

Questa è la situazione ancora attuale. Auspichiamo, con grande speranza, che il legislatore italiano, ispirandosi ad alcune normative europee, non si limiti ad offrire un mero aiuto, ma possa, con azioni propizie e concrete, incentivare la coppia ad accogliere, con serenità, la Vita che arriva.

 

 

Lucia Paldera

Responsabile Segreteria didattica dell’Istituto Universitario Sophia di Loppiano – Incisa in Val d’Arno (FI), già giudice onorario presso il Tribunale Civile di Putignano (BA).

 

Leonardo Brancaccio

Avvocato. Segretario Generale della Fondazione Per Sophia di Incisa in Val d’Arno (FI) e consulente giuridico-amministrativo presso l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano – Incisa in Val d’Arno (FI).



[1] Art.9 legge 8 marzo 2000, n. 53.

[2] D.L. 15/2012 (c.d. decreto semplificazioni) in Gazzetta Ufficiale n. 33 del 9 febbraio 2012.

[3] Cassazione Civile, Sez. Lavoro, Sentenza 29/09/2011 n. 19912.

[4] Gazzetta Ufficiale n. 39 del 16/02/2012.

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