Matera: cosa resta della capitale europea della cultura?
Se il proverbio latino tot capita tot sententiae (tante teste, tanti pareri), ha ancora una sua valenza, ne consegue che tracciare un bilancio oggettivo sui risultati culturali ed economici conseguiti da Matera durante il 2019, anno in cui la città dei Sassi si fregiò del titolo di capitale europea della cultura, non è affatto un’impresa facile.
Figuriamoci poi a dover determinare, quattro anni dopo la conclusione del mandato culturale europeo di Matera, cosa è rimasto di quel prestigioso ruolo, quali progressi la città ha realmente fatto e quali invece sono state le occasioni di sviluppo rimaste inespresse.
Ne abbiamo parlato, tracciando un excursus storico e facendo un bilancio, con Salvatore Adduce, che può essere considerato a buon diritto il deus ex machina di tutto il cammino di Matera capitale della cultura e che è stato il presidente della fondazione Matera-Basilicata 2019.
Come è nata l’idea di candidare Matera a concorrere per diventare capitale europea della cultura?
Bisogna riconoscere che l’idea fu di un gruppo di giovani materani che nel 2008 scoprirono che nel 2019 la capitale europea della cultura sarebbe toccata proprio a una città da selezionare in Italia. L’idea piacque e la nostra divenne così una candidatura/provocazione.
Provocazione?
Sì, perché praticamente nessuno sapeva cosa significasse capitale europea della cultura. Noi ci abbiamo creduto sin dall’inizio e venivamo addirittura sbertucciati dalla gente quando nel 2008 dicevamo che volevamo candidarci a un titolo così ambito e quasi impossibile da conseguire.
Iniziò così il viaggio verso la capitale europea…
Si trattò di un vero e proprio viaggio, anche complesso. La prima cosa che facemmo fu quella di non chiuderci dentro la città di Matera, ma di coinvolgere l’intera regione Basilicata, la Camera di Commercio insieme alle associazioni e ai gruppi che avevano lanciato segnali interessanti.
Come faceste fronte all’aspetto economico?
Non fu facile, anche perché scoprimmo che l’Unione europea non finanziava cioè non premiava la città vincente se non con un piccolo importo di un milione e mezzo di euro. Non c’era quindi da aspettarsi granché di soldi.
E allora quale fu la strategia?
Avremmo approfittato della notorietà e della fama che sarebbero scaturite dal conseguimento del titolo di capitale europea e in effetti il percorso che abbiamo fatto è stato fantastico, siamo riusciti a coinvolgere mezzo mondo ottenendo incredibili ricadute culturali ed economiche.
Questo però non era scontato a priori…
No, non lo era! Ecco perché abbiamo fatto sinergia riuscendo a presentarci all’appuntamento decisivo con la commissione europea giudicatrice, muniti di un solido accordo di programma con la regione Basilicata per 30 milioni di euro e di un’intesa con il governo nazionale per altri 30 milioni di euro, oltre naturalmente agli introiti che vengono da pubblicità, sponsorizzazioni, ticketing e operazioni di merchandise.
Nel contempo non si è mai interrotto il programma culturale…
Assolutamente mai. Anzi la costituita fondazione Matera 2019 si è occupata ininterrottamente della realizzazione del programma culturale, tanto che il giudizio della commissione giudicatrice disse di noi: «Matera si presenta come un esempio eccellente nel panorama europeo per diventare una piattaforma di sperimentazione sulla produzione culturale».
Quindi questo era il vero cuore del progetto?
Senza ombra di dubbio l’idea era di fare di Matera un luogo eletto nel quale artisti e persone di cultura di ogni età e provenienza potessero sperimentare nuove forme di creatività, e non fare invece solo balli e canti.
Abbiamo parlato di ricadute economiche positive, ci dà un esempio concreto?
Basta guardare che a Matera nel 2010 avevamo 2.200 posti letto, che nel 2018 sono schizzati a 8.000. La città ha capito che stava succedendo qualcosa di eccezionale e i diversi istituti di statistica finanziaria hanno evidenziato la straordinaria capacità di mobilitazione economica che il titolo di capitale europea della cultura è stato capace di innescare nella città di Matera e nell’intera regione Basilicata.
Poi è arrivato il Covid-19…
La pandemia ha bloccato innanzitutto l’elemento chiave del programma di Matera 2019 che era la legacy, cioè la previsione di concerto con le massime cariche istituzionali dei programmi per almeno i 3 /4 anni successivi alla fine del mandato di capitale della cultura.
L’impasse è solo colpa della pandemia?
No, perché anche dopo l’allentamento della morsa dell’epidemia, colpevolmente la regione Basilicata e lo stesso Comune di Matera non hanno ripreso in mano quell’impegno. Difatti adesso siamo in una situazione di calma piatta. Dopo quattro anni dalla capitale della cultura a Matera c’è encefalogramma piatto, non si sente più parlare di nulla. La fondazione sopravvive per fare cose che in verità non conosce quasi nessuno. Il risultato è che siamo praticamente alla perdita secca di un’occasione ulteriore che la città e la regione aveva di fatto costruito negli anni che vanno dal 2010 al 2019 e così viene persa un’occasione diciamo in maniera miserevole.
Se fosse lei il direttore generale della fondazione cosa farebbe come prima cosa?
Chiederei francamente alla regione e al comune, e innanzitutto alla città di Matera, che cosa pensano di fare per i prossimi 10 anni, se intendono o meno tornare a quell’impeto fondamentale che noi avemmo nel 2009 e nel 2010. E poi mi fermerei 5 minuti a valutare cosa pensiamo debba fare questo territorio fra 10 anni e quindi come aprire un percorso, un viaggio da qui ai prossimi 10 anni. Solo con questi presupposti uno può accettare di fare il direttore di Matera 2019, altrimenti accetta di gestire una cosa che non sa neanche cosa sia e francamente in tal caso non ne vale proprio la pena.
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