Massimo Toschi. La Consulta interreligiosa toscana

La Regione Toscana, e in particolare il suo assessorato, ha promosso una Consulta per il dialogo interreligioso e per la pace tra le culture, a cui partecipano le rappresentanze delle maggiori religioni presenti sul territorio. Con che criteri è stata composta tale consulta? È un modello applicabile anche allo Stato italiano? I criteri sono stati semplici, essenzialmente due soli: il primo è il legame col territorio, cioè possono farvi parte solo le confessioni religiose che sono presenti in modo significativo in Toscana; il secondo criterio è che si tratta di confessioni che hanno firmato un accordo con lo Stato italiano. Quindi non una scelta soggettiva, ma oggettiva, nel senso che l’assessorato non può scegliere da solo il suo interlocutore. Ciascuna ripartizione religiosa ha poi scelto delle rappresentanze che fossero territorialmente significative. Ad esempio, la Chiesa cattolica ha indicato cinque persone: il vescovo di Montepulciano, un teologo fiorentino, tre laici di Arezzo e Livorno… E così la comunità ebraica e quella musulmana. Ovviamente della consulta fanno parte altre Chiese cristiane, i buddhisti, la comunità baha’i… È un’esperienza unica in Italia, e potrebbe diventare un punto di riferimento per la discussione politica e culturale del nostro Paese, perché abbiamo fatto una scelta chiara e da tutti condivisa: una consulta che sia a favore del dialogo interreligioso tra tutte le confessioni e le culture presenti. Non crediamo che sia né utile né necessario – e soprattutto ci sembra una prospettiva concettualmente sbagliata – creare una consulta ad hoc per una data confessione, quasi con l’idea di metterla sotto tutela o di doverla controllare. È invece l’accoglienza e il confronto tra tutte le confessioni religiose che vanno sostenuti, perché il dialogo comune fa crescere tutti. Che cosa fa una consulta del genere? Funziona, oppure si riduce ad una semplice parata di leader religiosi che convengono su poche cose ovvie e nella pratica disattese? Noi speriamo che funzioni, ovviamente. Siamo all’inizio, appena un anno e quattro riunioni. La prima ha portato alla redazione di un regolamento interno alla consulta. Nella quarta riunione, l’ultima, sono stati approvati invece due documenti: il primo è una Dichiarazione per la pace fra le culture, mentre il secondo è un documento più puntuale e operativo, che riguarda l’assistenza spirituale in ospedale per credenti di confessioni religiose diverse. Ambedue i documenti sono stati approvati all’unanimità. Ogni cittadino deve avere nei momenti di maggior sofferenza la possibilità di essere accompagnato da una figura che lo assista sul piano della preghiera, del cibo e anche della sepoltura. Affronteremo in seguito il problema della scuola e quello del carcere, dove con tutta franchezza dobbiamo dire che non esiste ancora libertà religiosa. Che lettura fa della Dichiarazione per la pace tra le culture, che enumera dieci parole condivise? Queste dieci parole ci sono sembrate le parole chiave di oggi, tenendo conto della specifica situazione italiana ma col coraggio di confrontarsi col mondo intero. Noi non puntiamo allo scontro tra le culture, ma alla pace, che non significa una riduzione ad unum, o semplicemente l’emergere di rapporti di buona creanza. Significa considerare che ogni cultura può dare il meglio di sé nella pace e nel dialogo con le altre culture. Quindi la pace è il punto di partenza che ha come obiettivo l’incontro tra le culture, in un confronto che fa crescere. Pensiamo ad esempio al tema della memoria: niente può essere dimenticato, niente può essere negato, niente può essere banalizzato. Basti pensare al genocidio degli armeni, alla Shoah, ai totalitarismi… Nello stesso tempo parole chiave sono anche perdono e dialogo, la parola della parola, il rispetto estremo delle parole altrui nell’impegno ad astenersi dal pronunciare quelle parole che possano creare diffidenza, separazione, rigidità. Una grande ascesi sulle parole.

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