Martinez: non c’è comunione senza comunità

L’equilibrio da trovare tra le aperture spirituali (istanze di misericordia, compassione e giustizia), e la fedeltà sacramentale (volontà di Gesù per la sua Chiesa). L’enorme bisogno di rievangelizzare le famiglie e riaffermare l’originalità dell’amore coniugale, paterno e materno. L’abitudine sbagliata della Chiesa ad una pastorale più clericale che familiare
Salvatore Martinez

Quale è la sua valutazione del Sinodo sulla famiglia?

«Lo Spirito Santo, anima e dinamica del Sinodo, è sempre apertura alle novità di Dio, quelle concesse a chi si lascia rinnovare il cuore dall’amore. Un Sinodo è un atto d’amore, verso Dio e verso gli uomini. Questo amore cristiano è per la Chiesa vera fonte di intelligenza della realtà, che va sempre colta con categorie spirituali, cioè obbedienti allo Spirito. Questo è il significato primo della parresia richiesta da papa Francesco con l’attenzione di non avere preclusioni e pregiudizi nel parlare.

«Chi si pone in ascolto dello Spirito e vuole camminare insieme agli altri, per l’appunto fare “sinodo”, deve avere un cuore grande, aperto, libero. La dialettica di voci diverse, che esprimono sensibilità e tradizioni culturali mediante le quali la Chiesa vive la sua cattolicità, non possono mai essere un limite all’unità, anzi ne indicano la sua vera forma metodologica. In questo senso, è stato un Sinodo pienamente vissuto, forse non adeguatamente raccontato dalla stampa desiderosa di enfatizzare solo alcuni aspetti.

«Mi piacerebbe dire che questo Sinodo Straordinario non deve essere solo ricordato per le aperture richieste alla Chiesa davanti alle situazioni difficili vissute da tante famiglie in questo nostro tempo, ma anche per la straordinaria testimonianza di fedeltà fino al martirio che moltissime famiglie attestano intorno a Cristo, al suo Vangelo, alla bellezza e all’originalità intramontabile del matrimonio cristiano esperimentato nel sacramento nuziale».

Quali sono i “segni dei tempi”?

«Ritengo che la grande questione, che non si risolverà facilmente, sia l’equilibrio da trovare tra le aperture “spirituali” (istanze di misericordia, compassione e giustizia) dovute agli uomini, e la fedeltà “sacramentale” (volontà di Gesù per la sua Chiesa) da cui non si può prescindere. È mistero dello Spirito, vera e propria Pentecoste sacramentale d’unità e d’amore, che “maschio e femmina” uniti in matrimonio diventino una sola carne e una carne che genera vita. Un’esperienza che è “tipo” della Chiesa.

«Nella sacramentalità della Chiesa nel mondo c’è, secondo il disegno di Dio, un’impareggiabile forma data dal matrimonio fondato sull’unione stabile di un uomo e di una donna e sulla loro generatività. Da questo assunto partono, per vie talvolta impensabili già nel secolo scorso, nuovi interpelli che sfidano la dottrina e il suo aggiornamento vitale dentro una pastorale familiare meno apodittica e più umana. Non possiamo sottrarci a questa sfida; non possiamo permettere che la speranza di Cristo deluda chi vuole seguirlo e non ha il passo di chi vive situazioni familiari più agili secondo i principi sopra esposti».

Come si fa a rendere efficace la bellezza del matrimonio?

«In questo equilibrio tra spiritualità come “profezia” e sacramentalità come “tradizione” si giocherà il prossimo Sinodo. L’invito all’accoglienza, al prendersi cura accompagnando, al dare fiducia è un segno dei tempi; nelle nostre comunità è imprescindibile questo riconoscimento reciproco di vera fraternità. Non conosco famiglie che, per una ragione o per un’altra, non vivano sofferenze, quasi sempre provocate da peccati non redenti, o dalla non conoscenza di Cristo o dall’averlo incontrato dopo una vita incurante della Parola di Dio, con tutte le conseguenze derivanti da questa “distanza”.

«I profili umani, genitoriali, educativi negli ultimi cinquanta anni stanno cambiando con una velocità impressionante, seminando nuove fragilità e un’anima anestetizzata. Non serve il giudizio, né la condanna. C’è un enorme bisogno di rievangelizzare le famiglie e di riaffermare l’originalità dell’amore coniugale, paterno e materno, in famiglia. Da questa fedeltà nasceranno i nuovi cristiani del terzo millennio. Da questa assiduità passa ancora oggi la fedeltà e la comprensione del mistero di Cristo che si è fatto uomo in una famiglia e che ci ha lasciato la Chiesa, suo corpo, come madre e maestra di vita nuova, buona, piena. La dimensione della grazia non può disperdersi davanti alle richieste dell’uomo del nostro tempo; la differenza la fa la grazia di Dio, l’esperienza giornaliera del potere espresso dal sacramento, che ha in sé le soluzioni a tutti i nostri deficit umani d’amore e di unità, di fedeltà e di coerenza».

Il papa, nell’incontro allo Stadio Olimpico, vi ha incoraggiato nell’impegno per una nuova evangelizzazione…

«È decisiva la testimonianza della bellezza del sacramento della famiglia anche verso coloro che non credono, perché possano trovare un’opportunità di vivere l’amore in modo nuovo. La Chiesa si pone sensibilmente la domanda di come non escludere tutti quelli che invocano misericordia e un cammino di conversione e di fede in Gesù. La speranza è che nel cammino che porterà al prossimo Sinodo del 2015, sulla base degli esiti già noti e da approfondire dettatici dal Sinodo Straordinario appena celebrato, ci sia in tutte le comunità locali, nei movimenti, nelle associazioni, nelle parrocchie un maggiore ascolto dello Spirito Santo, e dunque un’attenzione maggiore alle situazioni pastorali e dottrinali emergenti».

Che soluzioni concrete si prospettano?

«Credo che la prima grande notizia da accogliere, ribadita dal Sinodo, sia la soggettività ecclesiale e sociale della famiglia, nell’alterità prototipica di maschile e femminile. Di questo ha bisogno prima di tutto la Chiesa, i credenti, ai quali non è sufficientemente spiegata la ricchezza e la portata del matrimonio cristiano. Anche nelle vita delle nostre comunità le famiglie sono spesso oggetto di formazione e di evangelizzazione, ma non percepite nella loro dignità sacramentale, nella loro soggettività, nel loro protagonismo non dissimile per importanza a quello del sacerdote: quante famiglie non sono valorizzate; quante famiglie procedono divise perché impegnate in cammini diversi e paralleli; quanti figli per l’eccesso di zelo ecclesiale dei genitori sono trascurati; quante famiglie vivono problematiche gravi e tenute nascoste, che invece proprio il servizio da famiglia a famiglia potrebbe vincere.

«C’è bisogno di ripensare il ruolo della famiglia cristiana all’interno della Chiesa; c’è bisogno di spingere le famiglie ad evangelizzare come famiglia, per andare in soccorso ad altre famiglie con lo stesso linguaggio, con gli stessi sentimenti, con le stesse attese. Come soggetto di formazione e di evangelizzazione bisogna ripostulare questa fiducia. Sarebbe già una novità nella Chiesa, spesso abituata ad una pastorale più clericale che familiare: amplierebbe il campo della compassione, così da fare emergere non solo la dimensione gerarchica della Chiesa, ma anche quella carismatica nella sacramentalità della Chiesa stessa.

«La comunione spirituale, inoltre, non è da considerarsi succedanea a quella sacramentale: noi non sappiamo fin dove possa spingersi la sovrana liberta dello Spirito nelle anime. Tante persone non soffrono l’esclusione dall’Eucaristia perché vivono in una comunità e rigenerano la propria fede mettendosi a servizio dei fratelli, vivendo un’intensa comunione spirituale. Questa è una via meravigliosa, che tutti possono intraprendere e che stempera tante tensioni e rivendicazioni».

Vede possibile l’assoluzione nella Confessione per i divorziati risposati civilmente?

«In accordo con i Padri della Chiesa e con la Tradizione, ci sarebbe da capire come articolare questo assunto sul piano dottrinale. Sicuramente un discernimento caso per caso potrebbe essere fatto e di fatto già accade. Starei attento invece alle generalizzazioni. Dietro l’assoluzione deve esserci un cammino di fede; la direzione e la cura spirituale di queste situazioni è un’arte sempre più difficile che richiede tempi e modi adeguati, non sempre alla portata pastorale di tutti.

«Bisogna fare i conti con situazioni complesse e contraddittorie. Un conto è una famiglia di divorziati risposati che vuole fare un cammino di conversione e di fede e pone degli impegni dentro quella che il Sinodo ha invocato come “dottrina della gradualità”; altra realtà è, invece, l’assenza questa volontà di intraprendere un cammino e dunque il muoversi dentro la logica dell’esperienza isolata, domenicale: la comunione come una tantum. Si riceve il corpo di Cristo dentro una storia, che è storia di salvezza, perché si fa parte di una comunità, di cui si è membra vive, magari sofferenti. Chi rivendica “comunione” senza “comunità” cade in una contraddizione».

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