Marocco, sconfitta degli islamisti

Con un risultato non previsto da diversi osservatori, nelle elezioni marocchine il partito islamista moderato Pjd, al governo da 10 anni, è stato pesantemente sconfitto. Nel nuovo quadro istituzionale e amministrativo guidato da una coalizione di centrodestra, spicca l’elezione di 3 donne come sindaci delle maggiori città del Marocco.

Così lo scrittore marocchino Tahar ben Jelloun, famoso anche per non mandare a dire quello che pensa, commenta i risultati, per certi versi inattesi, delle recenti elezioni in Marocco: «L’8 settembre, il partito islamista ispirato ai Fratelli musulmani, il Pjd (Partito per la giustizia e lo sviluppo), al potere da dieci anni, è stato miseramente e democraticamente cancellato dalle urne. Da 125 deputati è passato a 13! La gente lo ha definitivamente rinnegato e rimandato nelle sue moschee. Perché è stato mostrandosi aderente all’Islam e sostenendo istanze moralizzanti islamiche che è riuscito ad ingannare i marocchini e a vincere due elezioni legislative» (TdA).

Il Pjd, che si ispira apertamente all’Akp turco (il partito di Erdogan) e alla Fratellanza musulmana, si era affermato la prima volta nel 2011 sull’onda delle primavere arabe e si era riconfermato come primo partito nelle successive legislative del 2016.

Ma il Marocco non è l’Afghanistan e, a differenza di altri Paesi, gli islamisti erano riusciti in qualche modo ad accettare il gioco democratico. Salvo disattendere poi le aspettative degli elettori, in questi anni sempre più delusi non solo dal governo del Pjd, ma dalla politica in generale.

La previsione di molti osservatori era che in queste legislative 2021 il Pjd ottenesse la sua terza affermazione, ma così non è stato. Si è invece affermato un partito di differente orientamento: il partito liberale di centrodestra Rni (Raggruppamento nazionale degli indipendenti), guidato dal miliardario Aziz Akhannouch, un businessman sessantenne attento alle dinamiche economiche e infrastrutturali della società, per anni ministro dell’Agricoltura e della pesca, con molti interessi nel petrolio, nelle banche e nelle telecomunicazioni. È probabilmente il secondo uomo più ricco del Marocco, subito dopo il re Mohamed VI, con il quale ha ottimi rapporti. L’Rni ha impostato la campagna elettorale sul contrasto agli islamisti del Pjd con lo slogan: “Meriti di più”. Nonostante le restrizioni dovute al Covid-19, molti giovani – anche donne – si sono impegnati in questo cambio di rotta, tanto che l’affluenza alle urne è cresciuta: dal 43% del 2016 ad oltre il 50% di questa tornata elettorale. Una crescita favorita anche all’accorpamento di elezioni legislative e amministrative locali.

E a livello locale, con la vittoria dell’Rni, e di altri due partiti coalizzati, emerge un altro dato: l’affermazione di 3 donne come sindaci delle più importanti città del Paese, anche se i consensi che hanno ottenuto non sono ancora ufficializzati.

Asmaa Rhlalou potrebbe diventare sindaco di Rabat, la capitale del Marocco. Cronista politica (L’Opinion), è stata deputata e segretaria della Camera nell’ultima legislatura. Fatima-Zahra Mansouri potrebbe essere rieletta sindaco di Marrakesh, la maggiore meta turistica del Paese. La città più grande del Marocco, Casablanca, potrebbe avere come sindaco Nabila Rmili, medico dello sport e direttrice regionale della Sanità, che si è guadagnata la stima dei concittadini grazie ai risultati ottenuti nella campagna vaccinale anti Covid-19.

Alle legislative, l’Rni, pur essendo il primo partito, ha ottenuto solo 97 seggi sul totale dei 395 del Parlamento marocchino. In realtà, l’Rni guida una coalizione, che come tale ha ottenuto la maggioranza, formata da altri due partiti: il Pam, sempre di centrodestra (82 seggi), e lo storico partito conservatore marocchino, l’Istiqlal (78 seggi). Questa frammentazione dei voti è in realtà prodotta dall’esordio di una riforma della legge elettorale su base proporzionale e regionale fortemente voluta dal re e approvata lo scorso marzo: una legge che ha abolito la soglia del 3% e, soprattutto, ha cambiato il quoziente elettorale: per determinare il numero di seggi ottenuti da ciascun partito (sono una trentina quelli ammessi alle elezioni), fino ad ora si divideva il totale dei voti validi per il numero di seggi assegnati a ciascun distretto. In queste ultime elezioni, invece, il quoziente elettorale è stato calcolato dividendo il numero totale degli aventi diritto al voto per il numero di seggi disponibili per ogni distretto. Detto in altri termini, è una legge elettorale che ostacola la formazione di grandi partiti e obbliga di fatto la formazione di coalizioni per raggiungere la maggioranza. Un’evidente finalità, non secondaria, della riforma elettorale è un maggiore controllo da parte della Corona sul funzionamento del Parlamento e sulla formazione delle maggioranze. D’altro canto, l’interventismo del re Mohamed VI (al trono dal 1999) nelle decisioni importanti per il Paese e nel controllo del potere non è una novità. Il re si muove comunque nel rispetto delle ampie prerogative che gli riconosce la Costituzione, votata dal Parlamento e da lui stesso approvata nel 2011.

L’economia marocchina ha un tasso di crescita previsto nel 2021 intorno al 4,6%, il migliore di tutti i paesi del Medioriente e Nord Africa, accompagnato però da un’endemica disoccupazione giovanile e da una diseguale distribuzione della ricchezza.

In politica estera, negli ultimi anni il Marocco ha consolidato le relazioni con Ue e Usa, rafforzando i rapporti con i Paesi del Golfo e con molti Stati africani. Si è schierato peraltro con l’Arabia saudita nella guerra dello Yemen e, durante la presidenza Trump, ha aderito agli Accordi di Abramo normalizzando le proprie relazioni con Israele. Questo in cambio del riconoscimento statunitense sull’occupazione del Sahara Occidentale. Occupazione (1975) alla quale si oppone il Fronte Polisario dei saharawi con il sostegno della vicina Algeria, con la quale i rapporti sono da tempo molto tesi e a rischio di conflitto armato.

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