Mario Pomilio e la tentazione di Dio

100 anni dalla nascita del grande interprete della profezia del Vangelo calata nella Storia
1983: Mario Pomilio vince il premio Strega con “Il Natale del 1983”. Al suo fianco, Giulietta Masina e Maria Bellonci

«Il romanzo comincia là dove lo scatto morale dello scrittore richiama a sé la materia e la solleva a significato. Di qui l’espandersi dei miei personaggi secondo una crescita morale, il mio bisogno di lavorare al livello della coscienza e di far sfiorare ai miei personaggi la tentazione di Dio. Di qui anche il mio metodo di lavoro».

A scrivere queste parole è Mario Pomilio, scrittore che il mondo culturale italiano sembra aver a lungo dimenticato e su quale oggi si riaccendono i riflettori a 100 anni della nascita.

Nato nel 1921 a Orsogna (Chieti), Pomilio dopo gli studi universitari a Pisa insegna lettere. Abbandonata la fede dell’infanzia, dopo la guerra si impegna nel Partito di Azione e successivamente nel Psi, ma se ne allontana presto, vivendo una profonda crisi personale, che è anche crisi di un’intera generazione, e che gli ispirerà più tardi il romanzo La compromissione (1965), per il quale riceverà il Premio Campiello con grande successo di pubblico.

Trasferitosi negli anni 50 a Napoli con la moglie Dora, Pomilio continua ad insegnare mentre entra in contatto con gli scrittori locali dando vita alla rivista Le ragioni narrative. Lontano ormai dalle secche delle ideologie, in un momento di grande dolore, come testimonierà in Scritti Cristiani (1979), ripubblicato dalle Edizioni di Vita e Pensiero, riscopre la dimensione dell’amore evangelico come valore fondamentale per la vita dell’uomo.

Scrive il suo primo romanzo, L’uccello nella cupola (1954), dove racconta la vicenda di un prete che aspira ad una religiosità aperta, non chiusa nell’asfittico ambiente di sacrestia. Due anni dopo appare il secondo romanzo, Il testimone (1956), ambientato in Francia, sul tema dei limiti della giustizia umana, dove si sente l’amore dell’autore per i vinti.

Nel 1958 pubblica Il cimitero cinese, uno dei racconti più belli della nostra letteratura che le edizioni Città Nuova hanno mandato in stampa nella collana “Narratori”. Di fronte alle macerie della guerra due giovani, lui italiano lei tedesca, per studio in Francia, nell’accettazione del dolore di quella enorme devastazione riscoprono la forza dell’amore. «Amarci l’un l’altro, da qualsiasi parte veniamo o qualsiasi lingua parliamo o qualsiasi cosa abbiano fatto gli altri per dividerci».

Ma Pomilio è già alle prese con un altro romanzo che comparirà nel 1959: ispirato ai fatti dell’Ungheria, Il nuovo corso è una sorta di favola politica dove il giornalaio Basilio, che aspira a una liberà interiore e sociale, di fronte all’annuncio di un “nuovo corso” della storia in altra direzione, si lascia bruciare insieme alla sua edicola. È il primo personaggio del dissesto in atto nella società secolarizzata.

Nel mentre progetta e scrive i suoi romanzi, Pomilio continua la sua produzione saggistica e nel 1967 pubblica Contestazioni, nel 1979 Scritti cristiani, libro fondamentale per conoscere il pensiero di Pomilio.

Seguono anni di silenzio, nei quali Pomilio trova ispirazione per il suo capolavoro Il quinto evangelio (1975), sulla profezia del Vangelo calata nella Storia e nella vita dei singoli. Un libro per certi versi sconvolgente, che si impone a livello europeo e conquista lettori, nonostante un registro di scrittura denso e complesso.

È giocato sul piano lirico-narrativo l’ultimo suo romanzo, Il Natale del 1833 (1983), in cui troviamo protagonista un Manzoni sconvolto per la perdita della moglie, che si pone la domanda del perché del dolore nel mondo. Il libro riceve il Premio Strega e consacra Mario Pomilio fra i massimi narratori del 900 europeo.

Con la sua morte avvenuta prematuramente nel 1990 a Napoli, lascia un “racconto interrotto” che viene pubblicato postumo col titolo Una lapide in via del Babuino, nel quale la vita interrotta di un uomo pregna di una nostalgia di Assoluto diventa emblema di ogni esistenza.

Nel 2009, in un convegno a Firenze, lo ricorda Mariapia Bonanate, fra le prime in Italia a riconoscere il valore letterario delle opere di Pomilio. L’avventura umana e culturale di Pomilio è stata vissuta «nell’inquietudine di una ricerca e d’interrogativi che non hanno trovato risposte, né certezze, ma hanno lasciato spalancati i suoi libri perché ciascun lettore, ogni generazione li rileggesse con le proprie domande e le proprie indagini, le proprie inquietudini. La sua opera è un’opera aperta, dove alle pagine scritte si alternano quelle bianche, ed è su queste ultime che oggi siamo invitati a intervenire… Abbiamo un debito verso Mario Pomilio, quello di infrangere il silenzio che ingiustamente lo ha avvolto, di farlo sentire vivo, accanto a noi, nelle profezie e nelle intuizioni che hanno sconfitto la morte».

 

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