Marcello D’Orta, il maestro scrittore

Ci ha lasciati martedì scorso, a sessant’anni, lo scrittore Marcello D’Orta, autore del famoso libro "Io speriamo che me la cavo", oltre due milioni le copie vendute. Ne è stato tratto anche un film diretto da Lina Wertmuller con Paolo Villaggio e una commedia musicale che raccontano la sua scuola
Marcello d'Orta

Pubblicato nel 1990, quel libro cambia la vita dell’insegnate elementare Marcello D’Orta, già da 15 anni nella scuola, che si trova a dover gestire un evento editoriale di portata internazionale e che decreta la nascita di uno scrittore di molti testi interessanti, tra i quali ricordiamo Dio ci ha creati gratis ,  Romeo e Giulietta si fidanzarono dal basso ,  Il maestro sgarrupato, Aboliamo la scuola ,  A voce d’è creature.

Non un romanziere, non un giornalista, ma uno scrittore che dalla realtà vissuta sa trarre ispirazione per i suoi reportage, le sue graffianti metafore su una società che ha messo in secondo piano il valore della formazione, squalificando la scuola e il ruolo degli insegnanti  Fin da quel suo primo libro, coglie nei temi dei suoi ragazzi della periferia napoletana un’amara verità, e questa verità ha voluto raccontare.

Era già maturato, in quegli anni, in lui, il convincimento che se la scuola andava raccontata, lo si doveva fare con un linguaggio nuovo che potesse esprimere l’esigenza di cambiamento che c’era nell’aria, ma di cui poco si parlava. Marcello D’Orta parte così dalla consapevolezza che la scuola va riformata perché anacronistica, ideologizzata («Quasi tutti i manuali di storia pensano alla stessa maniera») e soprattutto incapace di formare le nuove generazioni alla vita e a costruttivi rapporti interpersonali. Una scuola anchilosata tra le scartoffie che, tranne casi isolati, non riesce più a legare i contenuti alla realtà vissuta dei ragazzi, che mortifica spesso l’immaginazione e la fantasia, che non esalta il fisico e il movimento e che non recepisce le rivoluzionarie proposte educative di Papini, della Montessori, di don Milani e delle contemporanee sperimentazioni. 

Assurda per D’Orta una scuola che non prevede laboratori vitali di ricerca, idonei a dare al ragazzo capacità di pensiero e di progetto, capacità di lettura e di scrittura ma anche di immaginazione e di fantasia, e che non dia spazio alle attività lavorative.

Ma come raccontare tutto questo senza apparire pedante e monotono? È qui che scatta quel guizzo di genialità che caratterizza le sue opere, i suo quadri colorati e icastici colti dall’esperienza.

Anche il suo libro più discusso, Aboliamo la scuola, non è altro che il racconto della sua esperienza, da bambino fino al momento in cui è entrato come maestro nella scuola elementare.

Proprio per il suo esplicito impegno a combattere la deriva ideologica non è stato molto amato da quei settori culturali che hanno fatto dell’ideologia la propria bandiera. Infatti racconta che nonostante la sua popolarità e il suo amore per Napoli, il mondo della cultura napoletana molto spesso non gli ha riservato alcun posto.

Tuttavia non ha mai smesso di dialogare con tutti, di scrivere e parlare di scuola e di ragazzi, di dire apertamente che la vera scuola è quella dove alunni, docenti e genitori  non si fanno la guerra. Non basta conoscere tecniche e teorie pedagogiche se poi non si è attrezzati a calare tutto ciò in quel terreno accidentato e complesso della scuola che naturalmente concentra in sé tutti i problemi della società.

Nella sua produzione letteraria spicca un testo su Leopardi che si discosta da tutti gli altri titoli: una vera ricerca sul mistero della conversione e della morte del grande poeta. Un libro che segna anche un momento fondamentale della vita di Marcello D’Orta il quale, indagando nell’animo del grande poeta, indaga in sé stesso, ritrovando in quella dimensione di fede che gli è appartenuta ulteriori motivi per amare ancor di più l’umanità e combattere i mali che la deturpano.

Non è senza significato che nello scoprirsi malato di cancro nel 2010 egli abbia associato il suo male al forte inquinamento ambientale della Campania prodotto dalla criminalità organizzata. Di qui la sua frase: «Continuo a scrivere per combattere la malattia… per non morire», e l’ultimo suo lavoro, non ancora pubblicato, rappresenta il coronamento di un sogno: raccontare ai bambini la rivoluzione spirituale e umana portata da Gesù nel mondo.

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