I magnifici 4 della risata: Troisi, Verdone, Nuti e Benigni

Il film documentario in arrivo su Rai3 è un omaggio alla grandezza di quattro grandi della comicità italiana: Verdone, Nuti, Troisi e Benigni.
comicità italiana
Francesco Benigni e Massimo Troisi, due dei protagonisti del docufilm "I fantastici 4 della risata", in una celebre scena da "Non ci resta che piangere" (Foto Wikipedia)

È diverse cose insieme il bel documentario I magnifici 4 della risata, che vedremo domani sera, 6 gennaio, in prima visione e in prima serata su Rai3. Scritto e diretto da Mario Canale, prodotto da 3D Produzioni e Luce Cinecittà in collaborazione con Rai Documentari, è un omaggio a quattro grandi comici italiani: Roberto Benigni, Francesco Nuti, Massimo Troisi e Carlo Verdone, ed è un omaggio, elogio, riflessione sulla comicità stessa, sulla sua essenza, la sua bellezza. È, infine, un viaggio nel cinema italiano degli anni Ottanta, attraversato, plasmato, segnato da questi quattro immensi, limpidi talenti.

Di ognuno di loro è raccontato – con dovizia di particolari, con numerose interviste e tanto intramontabile materiale di repertorio (cinematografico e televisivo) – lo stile, l’approccio artistico/comunicativo, insieme alle origini, al contesto formativo, all’estrazione socioculturale di ognuno. In un continuo, sempre piacevole, ragionamento su analogie e differenze, su punti in comune ed elementi di distanza tra i quattro (tra uso del dialetto e comicità di azione o di reazione), vengono composti i loro ritratti singoli e contemporaneamente una (non banale) foto di gruppo, tratteggiata da chi li ha conosciuti e/o osservati bene.

Del vasto coro che compone il racconto fanno parte (oltreché le voci e i volti dei protagonisti stessi) quelle di Giovanni Veronesi, Enrico Vanzina, Marco Giusti, Maurizio Ponzi, Giuseppe Bertolucci, Francesco Bruni, Giuliana De Sio, Antonietta De Lillo, del produttore Gaetano Daniele, della sceneggiatrice Francesca Marciano, e poi di Giovanni Nuti, musicista e fratello di Francesco, Anna Pavignano, Vittorio Cecchi Gori, Ugo Chiti, Claudio Bigagli, Amanda Sandrelli, Antonio Petrocelli e di altri, tutte legate dai raccordi spiazzanti, a loro volta comici, di un’ironia tutta giocata sul ribaltamento, di Emanuela Fanelli: la comica romana – più esattamente del quartiere Morena – introduce i temi, costruisce i cosiddetti lanci in modo non convenzionale, smontando in qualche modo ogni forma di ingessatura comunicativa attraverso la “confessione” dei suoi stati d’animo, della sua posizione emotiva davanti all’insolito ruolo affidatole, di presentatrice specializzata; creando di fatto, con i suoi testi paradossali, pronunciati con un serietà sul volto che volontariamente stride col contenuto delle parole, una continuità gustosa con i protagonisti del documentario, attraverso il comun denominatore della comicità.

Si ride, qua e là ci si incanta, persino ci si emoziona a ripercorrere questo copioso, lungo e un po’ nostalgico genio creativo che unisce Napoli, Roma e la Toscana. Si entra, lentamente, e in modo molto chiaro, in una sorta di ricognizione storica sul cinema italiano di quarant’anni fa: su come Troisi, Benigni, Verdone e Nuti, coi loro film di successo, vi abbiano profondamente inciso. Era un momento particolare, era la «prima grande crisi del cinema – ricorda Giovanni Veronesi – la gente cominciò a vedere il cinema a casa». «Era finito l’incanto della grande stagione della commedia all’italiana – aggiunge di Enrico Vanzina – che aveva dei ruoli molto precisi: un produttore, un regista, gli sceneggiatori e un attore». Ci fu un «ricambio generazionale con caratteristiche diverse – prosegue ancora Veronesi – per la prima volta nella storia del cinema, facevano tutto da soli: si producevano i film, li scrivevano, li dirigevano e li recitavano. Il loro talento era talmente forte che subito il pubblico gli è andato dietro. Erano gli unici che governano il mercato».

Spiega l’attore Antonio Petrocelli: «Era il produttore che andava da loro e gli diceva: collaboriamo». In quel periodo in cui le sale incassavano ancora moltissimo, ma c’erano già anche i guadagni della televisione, quel cinema diede una forte spinta all’industria cinematografica mediante nuovi codici espressivi ben sintetizzati da Francesca Marciano: «Ognuno di loro ha disegnato un carattere e un modo di essere e su quel carattere e su quel modo di essere si adattavano le storie. Non erano loro che si adattavano alle storie, erano le storie che si adattavano a loro».

L’analisi storica si mantiene precisa e dettagliata amalgamandosi in modo naturale con le puntuali e immortali gag dei quattro, coi loro suoni, personaggi, mosse e tormentoni. Il comico viene radiografato, ma alla fine trionfa attraverso i brani e la melodia costante emanata da Troisi, Benigni, Verdone e Nuti, perché, come spiega Gaetano Daniele usando la metafora del jazz, «per poter improvvisare devi saper suonare», e coi loro tempi inimitabili, con la loro capacità di muoversi, di narrare e di osservare, i magnifici quattro della risata, la musica della comicità l’hanno sempre suonata in modo sublime.

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