Magistratura: il bambino e l’acqua sporca

“Autonomia e indipendenza della magistratura sono bei ricordi di un tempo quando effettivamente la maggioranza dei magistrati era imparziale. Ultimamente alcune procure sono diventate dei poteri che possono veramente rovinare delle persone. La procura di Milano, per esempio, infierisce su Berlusconi. Quando quest’ultimo era presidente del Consiglio, anni fa, gli ha mandato un avviso di garanzia mentre presiedeva il G7 a Napoli. Nel processo, fatto poi appositamente anni dopo, Berlusconi è stato assolto perché non c’era nessuna prova”. Nicasio Scuderi – Rocca di Papa (Roma) “È ormai sotto gli occhi di tutti l’azione chiaramente orientata politicamente di molti magistrati (…) se siamo una vera democrazia l’esercizio dell’azione penale deve essere esercitata su indicazione dell’organo politico, mentre a chi esercita l’azione giudicante deve essere garantita la massima indipendenza (…) La selezione delle indagini da seguire è fatta in base ad una scelta puramente discrezionale del Pubblico Ministero (…) Smettiamola di difendere corporativamente i privilegi di una categoria, e che siano i magistrati per primi a rispettare la volontà del parlamento che è garanzia della libertà dei cittadini”. Luca Sattin – Albignasego (Pd) “Senza far torto ai magistrati onesti, diligenti e valorosi – alcuni hanno sacrificato la vita per la loro missione – è evidente che, quali che siano le cause, qualcosa va fatto per rimettere in sesto la giustizia in Italia. Ne sa qualcosa chiunque abbia avuto o abbia necessità di una risposta chiara e radipa da parte del sistema giudiziario, i cui tempi di risposta sono sempre nell’ordine di diversi anni…”. Ing. Roberto Andreani – Germania Le lettere di questi lettori, delle quali abbiamo riportato soltanto alcune frasi, fanno riferimento all’intervista al giudice Giovanni Caso, sul n. 8/2002 di Città nuova. Ci sembrò allora opportuno, avendo già dato (Città nuova n.1/2002), sull’argomento, la parola a due politici – entrambi, di professione, magistrati: il sottosegretario Alfredo Mantovano e l’on.Luciano Violante, in rappresentanza del governo e dell’opposizione – dare spazio anche ad un magistrato di alto livello e di lunga esperienza. Nell’intervista egli ha sottolineato alcuni princìpi generali riguardanti l’indipendenza della magistratura, esponendo le preoccupazioni diffuse tra molti magistrati nei confronti delle intenzioni manifestate dall’attuale governo e riferendosi a quanto espresso dall’organo che li rappresenta, il Consiglio superiore della magistratura. Che questa non sia una posizione meramente personale lo testimoniano anche le lettere di magistrati che abbiamo ricevuto, e che appoggiano pienamente la posizione espressa dal giudice Caso. Le lettere dei cittadini esprimono invece, come si può vedere, preoccupazioni diverse. Ritengo che quando i magistrati difendono i princìpi della propria indipendenza e dell’obbligatorietà dell’azione penale, essi debbano avere il pieno appoggio dei cittadini, e che ogni provvedimento che leda in qualche modo tali princìpi debba essere decisamente combattuto. Se invece la difesa di tali princìpi diviene la facciata dietro la quale si cela la volontà di esercitare un potere incontrollato o di acquisire o conservare privilegi non giustificati, tali intenzioni na- scoste devono essere combattute con uguale decisione. Distinguiamo dunque i due aspetti della questione. È vero che il comportamento di alcuni magistrati fa pensare che essi si lascino condizionare dal proprio orientamento ideologico, o da un eccesso giacobino, e a volte questo avviene in maniera sfacciata, sia nella scelta delle azioni penali da promuovere, sia durante i processi. Una volta fui chiamato come testimone in una causa intentata contro un ordine religioso, che fu poi assolto; ma la causa, costruita sul niente e portata avanti per la volontà anticlericale di chi l’aveva promossa, provocò gravi danni a molti: da quella esperienza uscii profondamente stupito dal fatto che in un tribunale della Repubblica fosse consentito ad un Pubblico ministero di comportarsi con tanta arrogante ignoranza. Con ogni evidenza, è necessario un più efficace autocontrollo, da parte della magistratura, sull’operato dei propri membri; e una maggiore attenzione alla loro formazione. Ma l’indipendenza della magistratura è un bene irrinunciabile. Qualunque sua sottomissione al potere politico rappresenterebbe un arretramento della democrazia, che si regge anche sull’equilibrio e sulla distinzione tra i poteri. Sottoporre istituzionalmente la magistratura al potere politico significherebbe condizionarne l’operato a seconda della maggioranza politica e del governo in carica: le degenerazioni che oggi si verificano per opera di singoli magistrati – e che si possono correggere – diventerebbero, semplicemente, la norma. Immaginiamo cosa significherebbe dare al ministro della giustizia il potere di fermare l’azione di un magistrato che sta indagando su dei politici: se questa fosse stata la situazione in Italia, Tangentopoli non sarebbe mai emersa. In altri paesi, in effetti, non c’è stata alcuna Tangentopoli, non perché fossero meno corrotti, ma perché la magistratura era meno libera e, anche, perché il potere politico era più forte. Non dimentichiamo che in Italia, negli anni Novanta, ad opera delle varie procure – in particolare quella di Milano – emerse che il livello di corruzione politica aveva raggiunto altezze distruttive e pericolose per l’intero sistema. I processi legati a Tangentopoli hanno nel complesso confermato l’impianto accusatorio, confermando che la magistratura aveva attuato, oltre che il proprio dovere, un’opera meritoria. Ma alcuni metodi che sono stati utilizzati – come ebbe a dichiarare il giudice Simi De Burgis a Città nuova -, a cominciare dalla detenzione intimidatoria (“se non parli, invecchi in galera “), a una sorta di presunzione di colpevolezza generalizzata nei confronti di ampi settori dell’ambiente politico, hanno avuto poco a che vedere con la civiltà del diritto. Nella debolezza della classe dirigente logorata dal potere, la magistratura ha dilagato, sostenuta dall’opposizione di allora, che sfruttò politicamente la crisi, e realizzando una inedita forma di “populismo dei magistrati”: formula forse utile per sbloccare una situazione politica sclerotizzata, ma pericolosa per il sistema, perché trasformava la magistratura in un potere irresistibile. Oggi sono al governo – o sono vicine ad esso – alcune personalità politiche che hanno subìto, a suo tempo, l’azione di Tangentopoli; e bisogna evitare che la riforma della magistratura diventi l’occasione della vendetta. Anche l’obbligatorietà dell’azione penale è un princìpio di civiltà, rivolto proprio a impedire un eccesso di discrezionalità nella scelta delle indagini e dei procedimenti da avviare. Per evitare che questo princìpio venga aggirato (e oggi è facile farlo) si possono stabilire dei nuovi e più stringenti criteri di scelta nelle priorità da dare alle azioni penali, ai quali i magistrati dovrebbero attenersi. Anche in questo caso, dunque, è bene cercare il rimedio al cattivo funzionamento di un princìpio buono, anziché rinunciare al princìpio stesso. E infine: giustizia lenta, significa non giustizia; un verdetto ha efficacia se arriva in tempo utile. L’efficienza della magistratura è sicuramente il tema che colpisce di più i cittadini; ed è ben presente al governo come all’opposizione: in entrambi i fronti esistono politici che, provenendo dalla magistratura, hanno la competenza per prendere le decisioni giuste: c’è da augurarsi che, nel confronto, sappiano mettere insieme le idee migliori, e non cerchino di ostacolare il lavoro l’uno dell’altro per interessi di schieramento.

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