Macedonia eppure c’è

Belgrado-Nis-Skopije è il mio itinerario: attraverso tutta la Serbia per giungere in Macedonia. Ammiro i campi verdi e rigogliosi e noto i tetti spioventi di queste parti rossi di laterizi appena posati. Spesso nelle famiglie ci sono solo i soldi per riparare la copertura delle case, il resto verrà in seguito. Ma intanto si riparte, quasi a voler scacciare i demoni che colpivano dal cielo, invisibili e perversi. Ma la mia meta questa volta è un paese poco conosciuto, in cui le diverse etnie vivono in pace, o quasi, e dove la guerra non c’è stata, o quasi. La Macedonia, due milioni di abitanti, un fazzoletto di terra di 25 mila chilometri quadrati, reddito procapite di mille euro, disoccupazione al 38 per cento, 365 mila telefonini, 6 per cento del reddito per spese militari. Skopije e i suoi palazzi Skopije giace alle pendici della montagna di Vodno su cui svetta un’enorme Croce del millennio, eretta dalla maggioranza ortodossa per festeggiare i mille anni di cristianesimo in Macedonia, ma osteggiata risolutamente dalla minoranza musulmana. La città è divisa in due dal fiume Vardar: a sud la parte più recente, mentre a nord si stende la zona rela- tivamente più antica, in un certo disordine urbanistico. Il fatto è che Skopije ha subìto uno dei più disastrosi terremoti della regione – era il 1963 -, 1086 vittime, ma che distrusse l’80 per cento della città. Un’occasione benedetta dagli architetti del regime titino, che ebbero carta bianca nell’edificare attorno ai pochi edifici rimasti in piedi, guarda caso quelli più antichi, mura e moschee. Così oggi sulla città aleggiano strane aeronavi, impossibili steli tronche, improvvise ellissi fuori squadro fra incomprensibili vuoti. La cattedrale cattolica, dedicata al Sacro Cuore, e poi quella ortodossa di San Sergio, vasti edifici di recente costruzione, raccontano la vivacità delle Chiese cristiane in Macedonia, e anticipano quella che sarà una delle convinzioni che mi porterò dietro al termine del reportage: senza la presenza equilibratrice cristiana – mai dimenticare che Madre Teresa è nata qui, da una famiglia albanese -, la Macedonia sarebbe sprofondata anch’essa nella guerra, situata com’è tra Kosovo, Serbia e Albania – che durante il conflitto del 1999 cercarono di stabilire le loro basi di retroguardia sconfinando nelle montagne macedoni -. Mentre la Grecia continua a non riconoscere la Macedonia, irritata dall’uso del toponimo che le apparterrebbe di diritto, dai tempi di Alessandro il Grande. Attraverso il fiume, costeggiando il vecchio hammam Daud Pasa e una moschea di squisita fattura, la Mustafa Pasa, per addentrarmi nel quartiere più musulmano della città. Percorro un dedalo di viuzze che sembra si aggroviglino su sé stesse, attorno alla seconda più vecchia moschea della città. Qui tanta gente sa parlare solo albanese, la disoccupazione è elevata e la frequenza scolastica assai bassa. Alla moschea m’intrattengo con un gruppo di fedeli che prendono il fresco della sera dinanzi alla loro casa , come ci tengono a dire. Gente mite, che parla qualche parola d’italiano o d’inglese, a seconda dei luoghi dove ha lavorato. Qui in Macedonia facciamo fatica a vivere insieme – mi dice uno di loro -, perché le nostre etnie paiono troppo diverse e divise; ed è per questo che abbiamo bisogno dell’Europa. Con essa avremmo la pace e tutti i nostri diritti, noi albanesi; ma avremmo anche da rispettare dei doveri. Doveri che spesso vengono dimenticati, scacciati dalla invadenza dell’eterno demone del denaro. Un ingegnere musulmano di alto livello nell’amministrazione pubblica commenta: Il valore che ha più successo è proprio la ricchezza materiale. Da un lato ciò è negativo, ma nello stesso tempo la gente in questo modo si occupa e non si dà alla violenza. Ma è proprio questa tendenza consumistica e materialista che contribuisce a far crescere il cosiddetto fondamentalismo islamico: Qui in Macedonia e in Kosovo – mi spiega un docente universitario, anch’egli musulmano – sta penetrando un certo radicalismo proveniente in particolare dall’Afghanistan e dal Pakistan, grazie ad imam assai decisi. Tutto avviene in sordina, in scuole coraniche che tengono le loro lezioni nelle case private, perché pubblicamente sono vietate. Vi si parla di jihad, dell’ingiusta guerra in Iraq, del fatto che bisogna difendersi dall’attacco degli infedeli. I giovani sono i più influenzabili, perché disoccupati o non scolarizzati. Si vede subito quando in una famiglia entra il fondamentalismo: gli uomini si fanno crescere la barba e le donne mettono il velo. L’unica soluzione che sembra andare nella buona direzione è l’apertura dell’università di Tetovo, in lingua albanese: così i ragazzi musulmani potranno studiare, e chi studia il fondamentalismo non lo sceglie. Ocrida e la pacificazione Ma non va dimenticato che la Macedonia è un paese al 60-65 per cento cristiano, in massima parte ortodosso. E dove scoprire questo suo volto se non ad Ocrida, che conserva le tracce più antiche dei cristiani presenti in questo paese, e forse addirittura nei Balcani? Per arrivarvi si attraversano per 150 chilometri valli gonfie d’acqua e verdi di clorofilla, nell’anno più umido che si ricordi a memoria di macedone. E negli abitati che attraverso mi sorprendo a contare la quantità di cantieri aperti. Una economia dinamica! Ma poi, ad uno sguardo più attento, m’accorgo che quei cantieri sono abitati di già, ma dell’intonaco e delle ringhiere s’è posticipata la posa, questione di soldi mancanti. E allora l’impressione di dinamicità muta in provvisorietà. A Ocrida ho appuntamento col pope della chiesa di San Giorgio, Dime Kocovski, un uomo estremamente cordiale e generoso, e pure acculturato: ha pubblicato una decina di libri. Si dà da fare per chi ha bisogno, come per le ragazze madri per le quali ha inventato una sorta di ditta di ristorazione che offre pasti per matrimoni e celebrazioni varie. Secondo il mio interlocutore non ci sono grossi problemi di convivenza coi musulmani in quel di Ocrida, cioè circa 3 mila persone. È vero, i seguaci dell’Islam crescono d’importanza perché fanno figli, perché sono motivati e la loro fede sembra più solida di quella dei cristiani. Ma se non arrivano le tendenze più radicali, non ci saranno problemi. C’è pure la questione tutta intraortodossa tra le Chiese autocefale, cioè autonome, di Grecia e Serbia, che vogliono impedire alla chiesa locale di godere di una sua autonomia. Protesta, da buon macedone, perché la sua chiesa è stata fondata in epoca apostolica ben prima di quella serba; e non risparmia reprimende alla sua stessa comunità, che ritiene aver perso troppo spesso il contatto con la gente e il senso della realtà, rifugiandosi in una difesa ad oltranza delle proprie tradizioni dimenticando i più poveri. Poi pope Dime mi accompagna con la sua sgangherata Renault 4, vecchia di quarant’anni, alla scoperta delle meraviglie di Ocrida. Venendo da Pristina, da Ni? o da Skopije, ritrovarsi qui pare un’operazione catartica per l’intera penisola: i turbolenti Balcani qui si quietano, lasciando scivolare dolcemente i loro affanni e le loro recriminazioni nelle placide acque del lago omonimo, al di là del quale l’Albania sta pur essa tranquilla. Anche durante il terribile conflitto del 1999, da queste parti non c’è stato nessun incidente. Ecco Sveti Kliment, chiesa del XII-XIII secolo. L’interno, tutto affrescato, come era norma negli antichi monasteri di tradizione orientale della regione, giù giù fino a Bisanzio. Questi dipinti si sono conservati, a differenza della quasi totalità dei suoi simili della città perché, prima che venisse trasformata in moschea, la chiesa venne dipinta di bianco, evitando agli ottomani ogni irritazione per le raffigurazioni della divinità. Ed ecco una seconda chiesa bizantina, nuova di zecca, che risponde al nome di Sveti Klement i Pantalejmon, fedele ricostruzione d’un antico luogo di culto distrutto dai turchi e dal tempo. È il simbolo d’un cristianesimo, come quello macedone, assolutamente indomito. E infine, a picco sulle acque azzurrissime del lago, un’altra chiesa, dedicata al discepolo dell’amore, Sveti Jovan associato a Sveti Kaneo, piccola come una bomboniera e armoniosa come una gemma. Poeti e pittori e musicisti hanno qui cercato ispirazione, ma anche santi e filosofi – mi spiega il mio accompagnatore -, e ce n’è motivo e sempre ce ne sarà finché questa chiesa starà su questo promontorio roccioso. La Macedonia ha bisogno di creatività per mantenere il suo precario equilibrio, che potrebbe anche rivelarsi contagioso. Il richiamo Fa fresco, la mattina, di nuovo a Skopije. Visito il centro antico della città, attorno alla moschea del Sultan Murad. Il guardiano desidera mostrarmi un’immensa quercia che dicono vecchia quanto la stessa moschea, cioè circa cinque secoli. Sarà o non sarà, l’albero in questione è una meraviglia, e testimonia l’antico ceppo musulmano della regione. E lì vicino incontro colui che ha avuto il compito di traghettare i musulmani dalla allora Jugoslavia unita verso la nuova libertà, ma anche verso la spaccatura del paese e, purtroppo, verso la stagione dei lunghi conflitti sanguinosi che hanno sconvolto i Balcani negli anni Novanta. All’epoca, Jakub Silimoski era Reis ul Ulema di Sarajevo, massima autorità musulmana con giurisdizione su tutta la Jugoslavia. Oggi si occupa della diffusione e della formazione religiosa dei musulmani della regione. L’Islam in Macedonia – mi spiega – è presente da secoli, dai tempi dei turchi che sono entrati nei Balcani, ancora nel X secolo. Nel 2002, un censimento ha evidenziato come essi siano circa il 35 per cento della popolazione, di diverse nazionalità, con una maggioranza di albanesi, ma anche con bosniaci, rom, macedoni. Quindi una comunità islamica multietnica, attraversata da problemi vari, come la presenza di un certo radicalismo. L’Islam – continua – non conosce l’aggressione, ma solo la difesa della fede. Diventa così protettore del suo paese, in caso di aggressioni esterne. Dopo la Prima guerra mondiale ci siamo trovati in posizione molto sfavorevole economicamente e socialmente, mentre dopo la Seconda guerra il comunismo ci ha schiacciati, e non abbiamo più potuto tenere aperti i nostri centri di formazione. Così abbiamo dovuto inviare i candidati imam all’estero, perché si formassero al Cairo, in Libia, in Tunisia, anche in Arabia Saudita e in Iraq… Questa gente è tornata con mentalità diverse da quella dominante nella nostra Macedonia, talvolta con tendenze non condivisibili, come ad esempio quella dei fratelli musulmani e dei wahabiti. La comunità cerca di ammortizzare queste tendenze, incorporando tutti nelle sue fila. Chiedo a Silimoski come sia evoluto l’Islam dal comunismo alla democrazia. La comunità islamica – mi risponde – ha dato un grande contributo alla ricomposizione del panorama politico e umano. Ha sostenuto tutte le strutture nate dopo il crollo della Jugoslavia, purché si arrivasse a cambiare il sistema politico. Lo scopo era quello di cambiare il sistema, ma non di distruggere l’entità territoriale jugoslava. Se l’avessimo mantenuta integra, la terra jugoslava sarebbe stata di tutti, e almeno avremmo risparmiato le 350 mila vittime delle ultime guerre che hanno insanguinato la nostra terra, e la prosperità economica sarebbe stata mantenuta e migliorata. Purtroppo allora l’Europa non ha capito tutto ciò, e ha favorito il frazionamento. Adesso stiamo entrando in ordine sparso in Europa, e vedremo quando noi macedoni potremo entrarci. Sarà un gran giorno, perché senza Macedonia i Balcani potrebbero certo continuare a vivere, ma privandosi di quell’equilibrio che finora noi siamo riusciti a mantenere. Al termine del viaggio Il pope di Ocrida e il muftì di Skopije hanno voluto concludere le interviste con lo stesso richiamo all’equilibrio del loro paese. È giusto così, mi sembra. Tanto più che sono al termine del mio breve viaggio in quella parte della ex-Jugoslavia che conta una forte presenza musulmana: Bosnia, Kosovo e Macedonia. Da Sarajevo a Srebrenica, da Pristina a Skopije ho incontrato gente che vuole finalmente vivere in pace, che vuole una vera convivenza, spesso però incapace di gestirla, perché i cannoni hanno smesso da poco di tuonare. L’Europa – e in primo luogo quella cristiana – ha il dovere di sostenere questa gente di buona volontà, perché resista alle pressioni dei gruppi più oltranzisti che si richiamano a certo Islam. La guerra contro il terrorismo si combatte anche in queste terre, anche qui si dà fiato al dialogo tra le civiltà. Non a caso l’esplosivo di Londra proveniva da qui…

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