L’usignolo dell’India: Lata Mangeshkar

Si è spenta il 6 febbraio a 92 anni (era nata nel 1929) a Mumbay, in India, un’autentica leggenda della canzone indiana e di almeno mille film di Bollywood. L’India ha indetto 2 giorni di lutto nazionale in occasione del suo funerale.
Lata Mangeshkar (AP Photo/Rajesh Nirgude, file)

L’usignolo dell’India, il soprannome che identificava immediatamente nell’immaginario di tutti gli indiani, Lata Mangeshkar, leggendaria cantante classica indiana scomparsa in questi giorni a 92 anni a causa del Covid. Lata era una vera leggenda, per decenni, la regina incontrastata della melodia nel sub-continente indiano dove la sua voce ha risuonato nei film di Bollywood – la Hollywood indiana – e non solo.

Qualcuno ha precisato che la sua carriera artistica è durata 73 anni, entrando nelle case di ogni famiglia indiana, dalle ville dei miliardari alle baracche dei derelitti negli slums. Lata era una istituzione, l’emblema della canzone indiana, e la sua voce inconfondibile. Una volta ascoltata non la si poteva più scordare.

Aveva iniziato nel 1942, in un film in lingua marathi, Kiti Hasaal. A quel tempo aveva 13 anni ed avrebbe continuato ad esibirsi ed a cantare in film di Bollywood fino alla soglia dei 90. Per capire la portata della perdita, sia per il governo che per la gente, basta ricordare che il Primo Ministro indiano, Narendra Modi, ha deciso di dichiarare due giorni di lutto nazionale, mentre le autorità locali di Goa, dove la famiglia Mangeshkar ha le sue radici e origini – anche se Lata era nata a Mumbai –, ha esteso il lutto per un giorno in più.

Lata era figlia d’arte. Il padre, Pandit Deenanath Mangeshkar, era un famoso musicista marathi, un maestro come indica il titolo pandit che precedeva il suo nome. Soprattutto, fu il primo e vero maestro nell’arte canora per la piccola Lata. Anche le altre sorelle si sarebbero dedicate al canto, ma nessuna avrebbe raggiunto i livelli di lei, la primogenita.

La grandezza di Lata era, senza dubbio, legata alle sue interpretazioni nei film locali, che tradizionalmente contengono ampi brani musicali, danze e canzoni che diventano poi, quelle di successo, espressione della vita, della cultura e dell’ethos indiano. La sua voce era, inoltre, associata anche a motivi patriottici. Aveva, infatti, interpretato Aye Mere Watan ke LogoO gente della mia nazione – un canto, composto nel 1962 per ricordare i soldati indiani morti durante la breve guerra con la Cina. Si racconta che persino l’allora Primo Ministro, Jawaharlal Nehru, si era commosso fino alle lacrime ed aveva voluto che la canzone fosse suonata e cantata in occasione della Festa della Repubblica indiana del 1963.

Le incredibili modulazioni della sua voce erano capaci di coprire tutta la gamma delle varie composizioni della musica indiana classica. Questo le valse premi e riconoscimenti di altissimo livello, sia nel contesto artistico che in quello politico. Il più prestigioso fu, senza dubbio, il Bharat Ratna che ricevette nel 2001.

Nei film classici di Bollywood, le figure simbolo sono da sempre l’eroe e l’eroina. Gli attori e le attrici sono i veri protagonisti non solo della pellicola ma anche della vita quotidiana alla quale i film si ispirano da sempre e che influenzano a loro volta in modo decisivo. In generale, nessuno pensa a chi canta realmente mentre l’eroina e protagonista si esibisce sulla celluloide – ovviamente ai tempi della carriera di Lata. Con Lata le cose sono cambiate radicalmente. Accanto al nome degli attori protagonisti, le pellicole hanno cominciato a riportare anche il nome della divina Lata.

È stata lei a dare una vera dignità artistica ed umana alle voci in playback. Non solo. Certe pellicole sono diventate celeberrime grazie ai canti – a volte interminabili per i gusti degli occidentali – interpretati da Lata. E sono ricordate per quello, non per il film, la trama o le interpretazioni. Era una donna che con la sua voce scavava nell’animo indiano al di là del genere, dell’età e anche della cultura che ciascuno aveva.

A tutto questo, che l’aveva resa un mito, si associava l’apparente ma chiara immagine pubblica della tipica donna indiana: una sorella, madre, elegantemente vestita in sari, normalmente bianchi, e sempre capace di mostrare gli aspetti tradizionali e classici del patrimonio culturale e religioso del sub-continente.

Questa figura gentile e capace di riflettere tutta la delicatezza della femminilità indiana sapeva, tuttavia, trasformarsi e mostrare tutta la forza sia morale che umana di cui era capace. Una sua parola era sufficiente per risolvere una diatriba fra artisti, anche una questione sociale o di costume e, allo stesso tempo, restare assolutamente riservata nella sua vita privata all’interno della quale era quasi impossibile penetrare, a differenza di molti altri artisti della Bollywood commerciale.

Mi è capitato decine di volte di passare davanti alla sua casa nella zona altolocata di Mumbai, dove vivono i grandi industriali come gli Ambani, i Tata, i Mahindra, i Godrej, gli stranieri o gli artisti eccelsi dell’India. Se ero in compagnia di indiani, mi si indicava sempre, anche dopo anni che risiedevo nella metropoli, l’appartamento dell’usignolo. Che qualche giorno fa ha concluso il suo canto.

 

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons