L’uomo nero

In uscita venerdì 4 dicembre il film di Sergio Rubini. Un viaggio tra l'onirico e il nostalgico nella Puglia degli anni sessanta.
uomo nero

Sergio Rubini dirige ed interpreta il suo nuovo film, un viaggio tra l’onirico, il nostalgico e il surreale nella sua Puglia degli anni sessanta. Protagonista Gabriele (Fabrizio Gifuni) che ormai adulto scende dal nord a trovare il padre morente. E’ l’occasione per un viaggio della memoria a ritroso nella sua infanzia e, a questo punto, il film diventa pure il racconto di un percorso di formazione. Ovviamente, Rubini preferisce il tono leggero, con tratti tra il commosso e il comico, e incentra tutta la vicenda su tre personaggi principali: il padre del ragazzo, Ernesto (Rubini) capostazione fissato con la pittura di Cézanne e aspirante artista nonostante l’incomprensione dei compaesani, la madre Franca (Valeria Golino), insegnante di lettere, istintiva e dolce, e il bambino (Guido Giaquinto) che, ammaestrato dallo zio Pinuccio (Riccardo Scamarcio) sulla vita presa con gioia naturale e un tocco di malizia, gode di una fantasia vivacissima. È questa che gli fa “vedere” i morti quando la madre parla dei genitori defunti, immaginare in un ferroviere l’uomo nero delle favole truculente, e nello stesso tempo giocare alla scoperta della vita coi ragazzini più grandi di lui.

 

Rubini tratteggia in questo film, con tenerezza e nostalgia, soprattutto il mondo dell’infanzia. Ed il passato sembra una metafora del presente, con la differenza che oggi gli occhi dei bambini sono meno innocenti di quelli di un tempo… Ma il regista sembra dare anche delle stoccate decise al mondo della critica artistica, saccente e geloso, a favore di chi insegue la propria vocazione artistica nonostante tutto. E qui il film acquista un sapore autobiografico, come pure i dialoghi sull’arte e sulla natura, che durante un viaggio in treno il padre fa al ragazzino.

Recitato con grande naturalezza e partecipazione dagli attori, musicato (fin troppo bene) da Nicola Piovani e illuminato da un fotografia solare e talvolta poetica – la scena del paese al buio è molto suggestiva – il film con qualche taglio (il cameo di Margherita Buy non pare essenziale) guadagnerebbe in scioltezza narrativa. Il rischio del “troppo” infatti è sempre dietro l’angolo, anche in un regista esperto come Rubini.

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