Dove l’uomo dipende dalle renne

Le tradizioni e i riti ancestrali delle popolazioni artiche siberiane rivivono nella scrittura vivida e appassionante di Tan Bogoraz

Quando allo studioso si unisce l’artista, quando le osservazioni scientifiche si sciolgono nella trama di una narrazione incalzante, il risultato non viene apprezzato solo da una cerchia ristretta ma conquista ogni genere di lettori. È il caso de Le otto tribù di Tan Bogoraz (pseudonimo di Vladimir Germanovič Bogoraz), che può essere letto e gustato come un romanzo dall’andamento epico, ricco di immagini poetiche, e al tempo stesso come un interessante documento etnografico sulle tradizioni e il folclore degli aborigeni della Siberia nord-orientale: Čukči, Korjaki della costa e Korjaki allevatori, Eschimesi, Jukagiri, Eveny, Itel’meny e Ajnu. Testo affascinante, questo pubblicato da Gammarò, perché ci trasporta in un mondo arcaico a noi sconosciuto, in territori dell’Eurasia dove a causa delle proibitive condizioni ambientali è costante la lotta per la sopravvivenza tra popoli costretti a disputarsi le scarse risorse anche a prezzo di sangue.

Prima però di passare al romanzo, qualche cenno va fatto sull’autore, che per lo spirito romantico unito all’interpretazione realistica occupa un posto di rilievo tra gli scrittori russi a cavallo tra Ottocento e Novecento. L’interesse è dovuto anche alle vicende personali, che lo videro eminente scienziato favorito dalla intellighenzia, e tuttavia sottoposto ad un costante controllo della polizia, dieci volte arrestato, condannato alla galera e al confino per propaganda rivoluzionaria, morto in circostanze mai chiarite durante un viaggio in treno nel 1936. Davvero un ottimo soggetto per un romanzo e un film!

Nato a Ovruch, in Volinia, nel 1865 da una famiglia di religione ebraica, Bogoraz sarà linguista, etnografo, antropologo, storico della religione, poeta, scrittore, giornalista, docente, membro dell’Accademia delle Scienze dell’Urss. Trascorre i primi anni a Taganrov, sul Mar d’Azov, dimostrando precocemente attitudine alle scienze, sete di giustizia e di spendersi per migliorare la vita della gente. All’età di 20 anni si converte al cristianesimo. Nel 1886, come membro dell’organizzazione rivoluzionaria “La volontà del popolo”, viene condannato a tre anni nella fortezza dei Santi Pietro e Paolo; quindi l’esilio nella Kolyma fino al 1889. Ma proprio in quella zona invivibile della Siberia nord-orientale inizia gli studi sulle popolazioni artiche che ne faranno un’autorità etnografica a livello mondiale. Nel 1897 prende parte all’esplorazione del Nord Pacifico finanziata dal banchiere americano Morris Jesup: esperienza costellata di sacrifici ma utile a elaborare una metodologia di ricerche sul campo destinata a risultare vincente (più tardi l’introdurrà nei suoi programmi pedagogici del corso di etnografia). Nel 1901, per sistemare e pubblicare il materiale raccolto, si stabilisce a New York, dove diviene curatore del Museo di storia naturale.

Di nuovo in patria nel 1904, Bogoraz torna in Siberia per continuare i suoi studi etnografici, senza però tralasciare l’impegno in organizzazioni sovversive che gli costeranno, l’anno seguente, un’altra pena detentiva. Dopo la rivoluzione del 1917 riprende il lavoro nel Museo di antropologia ed etnografia con il quale ha già collaborato dopo il ritorno dall’esilio nella Kolyma. Nominato professore di etnografia all’Università di Leningrado, fonda e dirige varie istituzioni, tra cui il Comitato per l’assistenza alle popolazioni dell’Estremo Nord. Formare i futuri studiosi degli aborigeni nordici sarà il suo costante impegno. Oltre a numerosi testi scientifici sulla storia della religione, sullo sciamanesimo e sulla cultura dei popoli siberiani, tra cui vocabolari, sillabari e libri scolastici nelle loro lingue native, Bogoraz produce opere letterarie: poesie, racconti e sei romanzi.

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Le otto tribù (Vosemplemyen) del 1902, basato sulla vita quotidiana e spirituale di alcune popolazioni nomadi della penisola della Kamčatka (Siberia), denota il personale coinvolgimento dell’autore esiliato in quei territori desolati e la sua attenzione verso popolazioni marginali in via di estinzione. L’azione del romanzo si svolge in un’epoca lontana, quasi fuori dal tempo, tanto poco il tipo di vita è mutato dalle epoche più remote, e si apre nella neve del Campo Čagar, dove ogni anno gli aborigeni si riuniscono per barattare generi di prima necessità. Tra etnie diverse per costumi e credenze gli scontri sono all’ordine del giorno, ma per tutta la durata del mercato la pace è assoluta. A violare questa legge è la tribù predatrice dei Myšeedy, che dopo aver fatto strage dei Cavalieri delle Renne fugge con i loro beni. La vicenda appassionante che da qui si snoda include la storia d’amore (dal finale tragico) tra due giovani čukči, l’aitante Vattan, nipote di uno sciamano, e la bella Mami pie’ veloce.

Con scrittura fluida e ricca di immagini, l’autore ci restituisce un mondo arcaico, già al tramonto all’epoca in cui riuscì a fissarne le immagini; un mondo in cui le popolazioni vivono sotto il terrore di divinità crudeli e in perfetta simbiosi con la renna, vero personaggio del racconto che segnerà il destino di Mami: la renna, che per le tribù nordiche non rappresenta solo cibo, ma la cui pelle serve a confezionare abiti e a coprire l’intelaiatura delle tende, mentre il palco delle corna fornisce il materiale per strumenti da lavoro; ed è mezzo da trasporto sia da tiro che da sella. Commovente è il rapporto dell’eroina con la renna domestica: «Mami andava da un animale all’altro e li accarezzava come una madre accarezza i propri figli. Il bianco maschio era ancora fermo sul posto: la freccia lo aveva colpito sotto la scapola sinistra, ma l’animale ancora lottava contro il dolore e la morte […]. Vedendo Mami che si stava avvicinando, alzò la testa e la tese in avanti. Dai suoi occhi caddero due grosse lacrime e scesero lungo la liscia pelle».

In appendice al romanzo, corredato da raffinati disegni ispirati al folclore nordico, seguono due testi ambientati nel crudele inverno articoL’accampamento della morte e Nella tenda dei Grigor’ii – che stanno tra il saggio e il racconto, grazie alla peculiarità di Bogoraz di tradurre in narrazione artistica i dati di costume raccolti. Con felice coincidenza, anche la traduttrice Luciana Vagge Saccorotti è una studiosa di etnografia e cultura dei popoli aborigeni dell’Estremo Nord: come l’autore, ha viaggiato molto in Siberia, vissuto in accampamenti di allevatori di renne, conosciuto i loro sciamani, scritto libri sui popoli artici e subartici. Circa lo scopo umanitario che Bogoraz s’era proposto nei suoi testi letterari, osserva: «Mostrando la vita di popolazioni quasi sconosciute in Russia, lo scrittore cerca di far comprendere al lettore non solo la loro magra esistenza, ma anche la necessità di amarle, di porre su di loro l’attenzione della società democratica del Paese e quindi contribuire al cambiamento del loro destino».

 

 

 

 

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