Luoghi e oggetti che ci curano

Fattori di protezione e benessere, contro la solitudine esistenziale. Da Città Nuova n. 2/2022
Fonte: Pixabay

Studi e statistiche confermano gli effetti negativi della solitudine su equilibrio psichico e aspettativa di vita. Ma allora perché la società continua ad esaltare l’individuo (isolato), la competizione, il narcisismo, l’egoismo, l’autonomia di chi “non deve chiedere mai”? Ormai sappiamo che la solitudine “uccide”, mentre la felicità sta nei legami, nella comunità.

Naturalmente non stiamo parlando dello stare bene con sé stessi, da soli, per meditare o ricaricare le batterie. Qui si parla di solitudine esistenziale, di nuclei familiari composti da una sola persona, di condomini dove a stento ci si augura buongiorno, di lavoro precario, solitario e controllato a distanza. A tutto ciò, da due anni si aggiunge il Covid, che ha reso problematica anche la vicinanza e il contatto fisico. Per questo tante persone si sentono abbandonate, inutili, incomprese, ferite e stanche, per cui si autoemarginano, con rancore o rassegnazione.

Rimedi
Secondo l’Istat in Italia ci sono quasi 3 milioni di depressi, il 4,3% della popolazione (la media europea è del 6,7%). Più colpiti sono anziani, donne, poveri e chi non ha studiato. Nel numero 11/2021 di Città Nuova abbiamo analizzato i fattori di rischio delle cosiddette “morti per disperazione” (pg. 8 e pg. 64). Ma forse è utile riflettere anche dal punto di vista opposto: perché la stragrande maggioranza della popolazione riesce a condurre «una vita normale, più o meno ricca di momenti di serenità e felicità» (Paolo Inghilleri, I luoghi che curano, Cortina 2021)? Quali sono i fattori protettivi che riducono la fragilità psichica? Secondo gli studiosi ci sono «oggetti, valori, norme e luoghi» che ci aiutano, ci curano, ci danno equilibrio in un mondo che cambia. Vediamone alcuni.

I luoghi in cui viviamo
Il Fai (Fondo ambiente italiano) ogni anno pubblica un elenco dei luoghi più amati dagli italiani, in base alle segnalazioni dei cittadini. Nel 2018 in classifica era presente il Santuario della Madonna della Cornabusa, nel bergamasco. Un luogo amato dalla popolazione, che lo frequenta perché rappresenta un valore per la comunità. Come questo, tanti santuari sparsi per l’Italia rappresentano «luoghi di culto, di memoria, ma anche di affezione e di identità comunitaria». Andarci vuol dire, per molte persone, ritrovare sé stesse e le proprie radici, sociali e spirituali. Lo stesso vale per il Teatro della Scala a Milano o il museo del Louvre a Parigi: sono simboli di storia e di tradizione che ci radicano nella nostra cultura.

Simile effetto possono fare i luoghi che ricordano momenti piacevoli della nostra infanzia, e più in generale gli ambienti in cui abbiamo avuto un’esperienza positiva, meglio se insieme ad altri: può essere la scuola, il bar, il chiostro di un monastero, un viaggio, il teatro, una piazza, un sentiero di montagna. Tornare in certi posti, dove abbiamo vissuto emozioni intense che ci hanno costruito come persone, ci fa bene e ci ricarica. Anche la nostra stessa casa è importante, perché “contiene” tanti momenti della nostra vita e, nel bene e nel male, conferma ogni giorno chi siamo e che ruolo svolgiamo nella società.

Le cose intorno a noi
Ogni oggetto può avere un significato rilevante per me, se incorpora un ricordo, una memoria, un’informazione. Se racchiude un senso, induce anche un comportamento. Per esempio, mi attacco a quell’oggetto di tanti anni fa perché mi collega a una storia familiare, mi rassicura, soprattutto nei momenti difficili o di stress. Quella bambola, quella sedia stile anni ’60, quel vestito, quel libro possono avere per me un significato speciale, sia cognitivo (mi dice come comportarmi in società) che affettivo (usarlo mi dà sicurezza e piacere). È come se nel corso degli anni la mia mente depositasse in luoghi ed oggetti esterni una parte di me, una memoria, dei significati importanti dal punto di vista psicologico. Toccarli, averli vicino, ha un effetto placebo, di benessere automatico.

New York – Highline

Natura
Il contatto con la natura «fornisce protezione contro una gamma sorprendente di malattie», migliora il benessere psicologico e la resistenza ai traumi. Anche in città dovremmo quindi riuscire a «goderci il verde e amare gli animali». Per questo è nata l’“agritettura”, per integrare ambiente naturale e ambiente artificiale, ripristinando il rapporto secolare tra ogni comunità e il suo ambiente. È «quel misto di natura e cultura che ci dà senso e appartenenza». È la bellezza che cura.

Legami
Certi luoghi e oggetti costruiscono (e mantengono in equilibrio) la nostra mente e la nostra identità, mediano il rapporto tra noi e il mondo, ci fanno sentire capaci di comprendere e controllare la realtà, ci aiutano a sviluppare le relazioni con gli altri. Questo è essenziale perché «ciò che ci interessa è essere riconosciuti e desiderati dagli altri. Ci rispecchiamo nello sguardo che gli altri ci rivolgono. Siamo fatti per incontrarci». Abbiamo bisogno di sentirci parte di una «comunità affettiva».

Quello che pensano gli altri contribuisce alla nostra autostima. I legami ci assicurano che la nostra vita ha un senso. Dunque un grande fattore di protezione è essere inseriti in uno o più gruppi, che ci permettano di condividere esperienze positive con altre persone. «L’attaccamento a luoghi, valori e pratiche di una comunità porta alla “cittadinanza psicologica”», cioè a sentirci parte attiva di una collettività, ad avere desideri, a saperci meravigliare, a immaginare un futuro.

In qualsiasi luogo viviamo, un quartiere ricco o una periferia poverissima, il nostro benessere dipende dal partecipare a reti informali di sostegno reciproco, amicizia, mediazione dei conflitti, condivisione di valori. Vivere bene in rete significa essere consapevoli, serenamente, dei propri limiti e fragilità, senza nasconderli. Significa chiedere aiuto, senza vergognarsi. Significa collaborare e aiutare, anziché competere. Significa essere, contemporaneamente, unici, importanti e liberi, ma anche dipendenti dagli altri.

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«Non dobbiamo vergognarci della nostra fragilità». Papa Francesco

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