L’unico Vangelo dei cristiani

Negli anni Cinquanta padre Charles Boyer credette di individuare nei Focolari una dimensione ecumenica. Così, parlando con Chiara Lubich, le chiese se la sua spiritualità dell’unità s’interessasse a ciò. “No”, fu la sincera risposta. “Eppure Chiara – ci racconta Gabriella Fallacara, corresponsabile del Centro Uno, per l’ecumenismo nei Focolari – aveva già incontrato il 17 settembre del 1948 l’ecumenista Igino Giordani. Ma per dieci e più anni ancora, si vedrà il contributo del movimento limitato al ravvivare l’unità tra i cattolici”. Un fatto importante accade nel 1960, in Germania, a Darmstadt. Degli evangelico-luterani ascoltarono la fondatrice dei Focolari. Furono colpiti dalla spiritualità dell’unità, soprattutto dalla parola vissuta, e tre pastori delle Bruderschaften, delle “fraternità”, ne afferrarono la portata ecumenica. Fu così che nel 1961 i Focolari fondarono a Roma una segreteria per l’ecumenismo, che fu chiamato “Centro Uno”. Proprio Giordani ne fu il direttore e lo rimarrà fino alla morte. Ma di quale ecumenismo si trattava? “Si trattava di vivere il Vangelo – spiega ancora Gabriella Fallacara -, vissuto insieme, alla luce di un carisma. E ben presto la vita proruppe. In piazza Tor Sanguigna, nella stanza che fungeva da sede, si raccoglievano notizie e articoli da diffondere per svegliare nei cattolici la necessità dell’unità tra i cristiani”. Cominciò una lunga serie di incontri ecumenici. Tra questi va ricordato quello del 19 maggio 1961 con il canonico inglese Pawley, rappresentante della Chiesa anglicana al Vaticano II. Il canonico disse: “Questo movimento è un ponte su cui cattolici e anglicani possono incontrarsi”. Questo contatto non resterà un caso isolato, perché ben presto si avviò una tradizione di incontri tra cattolici e anglicani. Gli arcivescovi Ramsey, Coggan, Runcie e Carey hanno benedetto questi rapporti. Altro capitolo, quello coi riformati svizzeri. Nel 1956 uno di loro, l’architetto Hans Brütsch, conobbe i Focolari a Milano. Poi, anche in questo caso, cominciarono i primi contatti bilaterali, a cui partecipano pastori riformati, a Herlliberg e Männedorf. Atenagora I Con gli ortodossi, invece, il contatto fu per così dire dominato dalla straordinaria figura del patriarca ecumenico Atenagora I. Fu in effetti lui stesso che invitò Chiara a Istanbul. Così disse al quotidiano Avvenire: “Era il 13 giugno 1967. Mi ha accolta come se mi avesse sempre conosciuta: “L’aspettavo”, ha esclamato, e ha voluto che gli narrassi i contatti del movimento con luterani e anglicani. “È una gran cosa conoscersi – ha commentato -; siamo vissuti isolati, senza aver fratelli, senza aver sorelle, per molti secoli, come orfani. I primi dieci secoli del cristianesimo sono stati per i dogmi e l’organizzazione della chiesa. Nei dieci secoli seguenti abbiamo avuto gli scismi, la divisione. La terza epoca, questa, è quella dell’amore”. Mi ha chiesto di mantenere il contatto. Ricordo che non tanto le parole dettemi in quella udienza mi avevano impressionato, quanto la sua figura, l’atmosfera soprannaturale che l’avvolgeva e che in genere notano tutti coloro che l’avvicinano. E soprattutto il suo cuore: un cuore così grande, così profondamente umano da suscitare in me la domanda quanti altri nella vita ne avessi conosciuti così”. “25 sono stati in totale – puntualizza Gabriella Fallacara – gli appuntamenti tra Chiara e Atenagora I. Stretti rapporti sono poi continuati con il patriarca Demetrio I. E i contatti con l’attuale patriarca Bartolomeo I avvengono nello stesso spirito di stima e di amicizia. Intanto il movimento è stato accolto dalle antiche Chiese orientali e il dialogo si è sviluppato anche con siro-ortodossi, copti, etiopici, armeni e assiri”. Il Vaticano II aveva segnato l’entrata ufficiale della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico. In quegli anni il card. Agostino Bea, primo presidente del Segretariato per l’unità dei cristiani, si prodigò molto per diffondere la comprensione del comune battesimo dei cristiani, che segna l’appartenenza fondamentale a Cristo e al suo Corpo mistico. Proprio la base sulla quale, assieme all’amore reciproco, si è sviluppato il lavoro ecumenico del movimento. Il cardinale citava spesso un brano del Vaticano II: “Si ricordino tutti i fedeli, che tanto meglio promuoveranno, anzi vivranno in pratica l’unione dei cristiani, quanto più si studieranno di condurre una vita più conforme al Vangelo”. Fu lo stesso concetto che ripeté nel messaggio per l’inaugurazione del “Centro ecumenico di vita” a Ottmaring. Il dialogo con la Bruderschaft era nel frattempo maturato, al punto da arrivare a costruire nella Baviera un centro di testimonianza comune. Il vescovo evangelico-luterano Dietzfelbinger, ricevendo a Monaco Chiara nel 1967 le disse: “Vedo le chiese come tante persone disposte a semicerchio abbastanza distanti tra loro, ma che si tendono la mano. Lei è una di queste mani”. Le visite reciproche con appartenenti a varie chiese si facevano sempre più frequenti. Paolo VI così salutava in piazza San Pietro uno di questi gruppi, il 28 giugno 1972: “Salutiamo i fratelli che partecipano a questo convegno, perché anche loro devono sapere che questo movimento così condotto, con lealtà, senza volere bruciare le tappe, ma volendo davvero trovare dell’amicizia, dà modo di risolvere anche le questioni reali teologiche per una crescente unità”. E Giovanni Paolo II ha espresso in vario modo il suo incoraggiamento. “Vedo i vostri contatti, molto fruttuosi nella dimensione ecumenica”, ebbe a dire nella visita al Centro internazionale dei Focolari il 19 agosto 1984″. La dimensione ecumenica della dottrina spirituale Poche parole di Chiara Lubich sintetizzano il nucleo della potenzialità ecumenica del carisma dell’unità: “La spiritualità del movimento contiene in sé elementi utilissimi al dialogo con le varie chiese. Sono: l’amore, come elemento centrale del cristianesimo. L’amore e la vita hanno toccato particolarmente i nostri fratelli e sorelle ortodossi copti, etiopici, armeni, siro-ortodossi, e assiri. Poi la Parola di Dio, che nel movimento si sottolinea in modo tutto speciale, ha aperto il dialogo a una comunione profonda con gli evangelici- luterani. L’unità ha interessato soprattutto gli anglicani cominciando dalle loro autorità. “Dove due o tre sono uniti nel mio nome sono io in mezzo ad essi”, che è la parola chiave per il dialogo con i fratelli riformati”. Questa frase ha sempre evidenziato una caratteristica dell’ecumenismo nel movimento: il Risorto nella comunità garantisce la vita d’unità, per quanto ora è possibile. Nello stesso tempo le parole di Gesù sulla croce, all’apice della sua sofferenza: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, e l’amore per lui, come partecipazione attiva alla passione di Cristo, si sono rivelate uno dei pilastri della realtà ecumenica del movimento. “L’imitare Gesù abbandonato – prosegue Gabriella Fallacara -, abbracciando con amore ogni dolore e ogni separazione, apre alla comprensione della dimensione trinitaria della vita, e cioè l’unità e la diversità, così essenziali per i rapporti ecumenici”. Dialogo della vita, dialogo di popolo A 40 anni dall’inizio dell’ecumenismo nei Focolari, ecco nascere il “dialogo della vita”, una vera e propria fisionomia del contributo al processo di avvicinamento tra chiese. Nel movimento lo stile di vita ecumenica fa sì che si possa parlare anche di un “dialogo di popolo”, che tutti sono chiamati a vivere, non solo gli addetti ai lavori. Ma cos’è questo dialogo? “È un frutto della spiritualità dell’unità sperimentata insieme da cristiani di varie Chiese – spiega Gabriella Fallacara -. A forza di vivere insieme il vangelo, si è scoperto da vicino quanto siano grandi le ricchezze del patrimonio comune: il nostro comune battesimo, le Scritture, i primi concili, i Credo, Padri della chiesa, i martiri… La vita comune ha reso più coscienti di questi vincoli che già ci uniscono. “Il comune battesimo è il “vincolo sacramentale dell’unità” – prosegue la Fallacara -. La presenza di Gesù in mezzo ai suoi guida, porta avanti e ci fa più fratelli e sorelle, distinti nei doni diversi che ognuno può condividere. Un vero e proprio scambio di doni irradia dal “dialogo della vita””. Ma come si passa dal “dialogo della vita” a un “dialogo del popolo”? “Siamo già una famiglia – è sempre Gabriella Fallacara -; e siamo già, lo si può dire, un piccolo popolo cristiano che ha la sua cultura: esso interessa laici, sacerdoti, pastori, vescovi, ecc. È di tutto il popolo di Dio. Non è quindi un dialogo della base che si contrappone a quello dei vertici, ma un dialogo di tutti coloro che fanno parte del corpo mistico di Cristo, che può e vuol favorire il dialogo della preghiera e le altre forme di dialogo, secondo le possibilità “. Dirà Chiara: “È il popolo che sta risvegliandosi, formando un unico popolo cristiano”. Un popolo, cioè 50 mila cristiani di più di 350 Chiese e comunità ecclesiali accanto ai milioni di cattolici che si riconoscono nel movimento. Nel movimento si ritiene importante che ogni cristiano sia ben inserito nella propria chiesa. In effetti, si sottolinea grandemente la lealtà e la piena partecipazione alla vita della chiesa in cui ciascuno è stato battezzato. Ognuno vuol essere un lievito per l’unità piena e visibile nella propria realtà ecclesiale.

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