L’umiltà di guardarsi dentro

Quando occorre disporsi alla confidenza per non puntare solo su di sé, ma per scommettere su Dio? La riflessiome di mons. Petrocchi  tratta dal libro "Diventare se stessi" per il terzo appuntamento della rubrica
Diventare se stessi

Cos’è l’umiltà? Quanto essa conti nel nostro percorso di cristiani? E se Dio ha scelto «l’ultimo posto (la misera grotta di Betlemme), non è fortuito, ma voluto. Così, ci dimostra che nessuno può restare “fuori” dal Suo Amore». Ne è convinto Mons. Petrocchi che ne fa una profonda riflessione nel libro "Diventare se stessi" per Città nuova per il terzo appuntamento della rubrica.

 

«Dal Signore, che si è fatto “piccolo” per renderci “grandi” (cioè, figli di Dio), desideriamo, in questo Natale, imparare almeno l’alfabeto essenziale nell’arte di essere umili. Umiltà, parola centrale in tutte le biografie dei santi: una virtù generata dalla Verità, che si sviluppa solo se viene alimentata dall’Amore. Nasce, infatti, dall’esporsi, senza timore, allo sguardo di Dio, ricco di misericordia: così, essa lascia che la Sua Parola ci riveli a noi stessi, manifestando le carenze che ci portiamo dentro, ma anche le straordinarie ricchezze che la Sua Provvidenza ha deposto nel nostro cuore.

 

«Ognuno di noi, infatti, nel “sottosuolo” della sua personalità ospita “giacimenti” di risorse buone (coraggio, dedizione, pazienza…), che spesso ignora di avere, ma nasconde anche “serbatoi” di spinte negative (sentimenti ostili, modi di pensare scorretti, atteggiamenti sbagliati…), che si sono formati nel corso degli anni. Spesso siamo noi che, scavandoci dentro, ci imbattiamo in queste “falde profonde”, che scorrono negli strati più interni della nostra personalità (è questo lo “choc cognitivo” che spiazza proprio coloro che si impegnano a lavorare su se stessi e scoprono, all’improvviso, parti di sé che ignoravano di avere). Altre volte sono gli eventi esterni a “bucare” la crosta che separa questi “depositi psichici” dalla superficie della coscienza: ne vediamo allora comparire, in forme impreviste, i contenuti e i dinamismi, prima custoditi nel mondo segreto della nostra anima.

 

«Quando sono le energie buone a fuoriuscire, si avverte uno stupore piacevole: si tratta, allora, di una gradita sorpresa. Ma quando a sgorgare dai sotterranei della personalità sono flussi distruttivi (egoismi, ostilità, rancori, gelosie, desideri repressi e inconfessati, aggressività…) si rimane turbati e si fa difficoltà a riconoscere come proprie quelle correnti emotive contrastanti con l’immagine di sé, che ciascuno ha delineato nella sua mente. Va subito precisato che, essendo figlia della Luce, l’umiltà non ha nulla a che fare con l’atteggiamento di autodetrazione, tipico di chi, avendo un basso livello di autostima, denuncia per eccesso i propri difetti e finisce per cedere al disfattismo.

 

«L’umile non corre dietro a se stesso, amplificando indebitamente le doti che ha o – all’opposto – lamentando, con toni sviliti, i guai che lo atterrano. Neppure scappa da se stesso, minimizzando le risorse positive di cui dispone o, al contrario, negando la portata reale dei problemi che lo affliggono. Ha, invece, l’onestà di chiamare le cose per nome e di riconoscerle nella loro effettiva proporzione: si fotografa mentalmente così come è, evidenziando luci e ombre, senza ricorrere a filtri interpretativi che distorcono la realtà e disinnesca, senza remore, gli “espedienti emotivi” (come la negazione dei fatti, la rilettura alterata degli eventi…) che molti mettono in atto per tutelarsi dall’impatto con evidenze moleste, che innescano l’ansia.

 

«Insomma, l’umile non si dice bugie per illudersi, ma neppure usa la verità per farsi male, come capita a chi, utilizzando elementi obiettivi, si svaluta, si deprime e finisce così per paralizzarsi, rimanendo vittima di sé. Si apre, invece, con riconoscenza al bene e al bello che fioriscono nella sua vita, pur ammettendo, senza anestetici, che in lui e nella sua storia esistono zone infestate da paludi malsane. E anche quando nella sua anima sembra prevalere la notte – che mai e per nessuno è completamente oscura – non cessa di ringraziare Dio per i raggi di luce che squarciano il buio e mostrano orizzonti di speranza.

 

«È, nel senso evangelico, un irriducibile ottimista (atteggiamento, questo, completamente diverso dal “buonismo” ingenuo); perciò, nonostante tutto, persevera con fondate ragioni nella speranza cristiana. Anche di fronte alla prova più devastante non si abbatte, ma, dopo avere confessato le sue fragilità, proclama, con una voce più alta di ogni avvilimento, che Dio gli vuole bene e può salvarlo. Non si rassegna alla sconfitta, perché crede che dopo ogni caduta è possibile, facendo leva sulla sconfinata misericordia di Dio, rialzarsi e risalire la china. Anzi, con astuzia cristiana, impara ad utilizzare le proprie manchevolezze per attirare la tenerezza e la clemenza del Signore. Per questo, non si lascia intorpidire dallo sconforto, ma, proprio nei momenti in cui gli sembra di soccombere alle avversità, si afferra con maggiore tenacia all’Onnipotenza del Padre celeste, e non molla la presa.

 

«Dal giorno del primo Natale, abita costantemente “nella” nostra storia; perciò, se vogliamo, possiamo incontrarLo: “dentro” e “tra” di noi. Tutto sta nel riconoscerLo quando attraversa la nostra quotidianità, per aprirGli subito le porte del cuore. Il segreto della serena tenacia dell’umile sta nel fatto che si sa amato da Dio: perciò, comunque vadano le cose, egli resta nella pace – seppure “sofferta” – perché ciò che conta per lui è che, nei sui giorni, si compia il disegno del Signore.

 

«Sul piano relazionale l’umile crede al L’umiltà è anzitutto confidenza, il che esige la disposizione a non puntare solo su di sé, ma a scommettere su Dio. LAll’occorrenza, non solo chiede aiuto, ma sa farsi aiutare. È attento ai buoni consigli e prende sul serio le correzioni. Non è pieno di sé, perciò non si mostra ostinato e permaloso; anzi, è lieto di mettersi in discussione e pronto a rettificare il suo modo di agire per farlo collimare con la traiettoria della volontà di Dio. L’umile, infine, riconoscendo la vicinanza provvidente del Signore, canta ogni giorno il suo Magnificat: la gratitudine avvolge ciò che pensa, dice e fa. È contento di rendere gloria all’Altissimo, testimoniando la tranquillità del cuore, anche di fronte alle tempeste più furiose e pure quando la sua barca sta lì per affondare, perché è sicuro che la sua esistenza è saldamente tenuta in mano dal Verbo-fatto-carne, che è venuto in mezzo a noi perché avessimo la vita, e l’avessimo in abbondanza.

 

«Perciò, tieniti alla larga dalla “falsa umiltà”, tipica di chi non si piace e si rifiuta con un verdetto tagliente e inappellabile. Spesso è difficile mettersi al riparo da se stessi. Ciò non vuol dire essere accondiscendente con i rovi del male – radicati sempre nel peccato – che crescono nel campo della tua interiorità: sopportare il difetto non vuol dire accarezzarlo, poiché il vizio negato o fuggito, come avviene per una malattia, si moltiplica e si espande. La pazienza non è indolenza. Dunque, i difetti vanno contrastati, ma con la gradualità opportuna e nei modi ispirati dalla sapienza evangelica: quindi, senza intolleranze irritate ed evitando toni sbrigativi. Infatti, come diceva san Francesco di Sales, «non c’è nulla che conservi tanto i difetti, come l’inquietudine e la fretta di toglierli». L’atteggiamento abilitato ad indurre trasformazioni effettive sta nell’agire con una determinazione pacata, poggiata sulla forza sanante della grazia. La “vera umiltà”, infatti, dopo aver “diagnosticato” le proprie piaghe, si consegna totalmente al Medico divino, l’unico che possa guarirle. Si capisce, allora, perché il secondo nome dell’umiltà è: conversione.

 

«Umili non si nasce, lo si diventa: e non senza fatica. Soprattutto, ad essere umili si impara passando attraverso le umiliazioni. Proprio così! Le umiliazioni, quelle che scottano, perché avvertite come ingiuste, se bene assunte, possono diventare farmaci potenti per il benessere dell’anima: infatti, curano l’orgoglio e irrobustiscono la fiducia nella Provvidenza. Lascia, perciò, che l’umiliazione abbia il suo effetto medicinale e ricostituente, attivando, con amore, una salutare terapia della verità.

Chiedi, inoltre, la forza di perseverare nel bene, senza pretendere tutto e subito. I saggi ci hanno insegnato che è meglio zoppicare sulla retta via, che camminare speditamente fuori di strada (cf. Agostino, Sermoni, 141, 4). La Provvidenza premia chi rimane coerente e sa aspettare. (…) Il Natale è il “sì” di Dio detto a noi, una volta per tutte. Perciò a Natale siamo chiamati ad essere un “sì” a Dio, modellato sull’“amen” di Maria. Se saremo “icone vive” della Vergine di Betlemme – madre e maestra di umiltà – la pace s’accenderà nel nostro cuore e diventeremo capaci di vivere, da cristiani, la meravigliosa avventura di credere all’Amore!

 


 

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