L’ultima strage del Mediterraneo

Centotrenta migranti travolti dalle onde al largo delle coste libiche. I soccorsi non sono mai partiti nonostante l’allarme e la richiesta di aiuto lanciati a Italia, Malta e Libia. Comportamenti omissivi e rimpallo di responsabilità in una vicenda che rappresenta uno dei momenti più bui della storia dell’Europa e della sua civiltà
Mediterraneo
Flavio Gasperini/SOS Mediterranee via AP

Due giorni. Due giorni in balia delle onde e del mare. Senza nessun soccorso. Alla fine il barcone è stato travolto e sono annegati. Tutti. Centotrenta persone sono morte annegate nel Mediterraneo. Erano a bordo di un barcone messo in mare dai trafficanti libici. Avevano lanciato numerose e ripetute richieste di soccorso, avevano detto di essere in balia delle onde, in condizioni meteo proibitive. Le richieste di soccorso sono state smistate a chi poteva intervenire. Inutilmente.

Il primo allarme era stato lanciato la mattina del 21 aprile. La comunicazione, via telefono satellitare arriva ad Alarm Phone: dall’imbarcazione riferiscono di essere 130, tra cui 7 donne e una incinta. Raccontano di essere partiti la sera prima da Al-Khums, in Libia, insieme a un’altra barca. Quest’ultima era stata intercettata dalle autorità libiche, il secondo barcone, invece, aveva proseguito tra i marosi. Da Alarm Phone l’allarme era stato inviato alle autorità italiane, maltesi e libiche: Mrcc Italia, Rcc Malta, la cosiddetta Guardia Costiera libica, ma anche a Unhcr, e i soccorritori delle ong.

Ma i soccorsi non sono mai partiti: le autorità italiane avrebbero individuato l’imbarcazione, ancora più vicina alle coste libiche e avrebbe chiesto l’intervento delle autorità di quel Paese. Costoro avrebbero detto di aver già tratto in salvo un’imbarcazione. Questo ha probabilmente fatto perdere tempo prezioso in un rimpallo di responsabilità su cui ora si discute da più parti. Un dato è certo: nessuno è intervenuto. Anche se per ore si sono succedute mail, telefonate, allarmi, richieste di interventi. Tutti sapevano che in mare c’erano tre imbarcazioni. Solo una era stata intercettata dai libici. Un’altra aveva lanciato inutilmente l’allarme. Non si sa ancora cosa sia accaduto a un’altra barca con 40 persone a bordo che pare sia stata messa anch’essa in mare nella serata del 20 aprile.

Nel pomeriggio di giovedì le prime imbarcazioni arrivate sul posto hanno intercettato decine di cadaveri. Gli operatori della Ocean Viking di Sos Mediterranee raccontano cosa hanno trovato: alcuni con i giubbini di salvataggio o con i salvagente che facevano galleggiare quei corpi ormai senza vita da ore. Le immagini sono durissime, raccapriccianti. Sul posto giungono anche tre mercantili.

Ora si cerca di recuperare i corpi, ma solo pochi sono già stati trovati. Gli altri rischiano di rimanere inghiottiti tra le onde. Si perpetua il triste rito della ricerca di cadaveri quando si è omesso di cercarli da vivi.

Sorgono gli interrogativi attorno al ruolo della nuova Guardia costiera libica, che utilizza imbarcazioni ed equipaggiamenti donati dall’Italia, che addestra anche i suoi uomini a Gaeta, ma che viene controllata dal governo libico e dai suoi consiglieri turchi. La Libia avrebbe dovuto attivare per prima l’intervento perché le barche erano ancora in prossimità delle sue coste. Non lo ha fatto a causa delle difficili condizioni meteo. Ma anche Italia e Malta non sono intervenuti. E pare che nella zona sia transitato anche un aereo di Frontex.

Numerose le prese di posizione del mondo politico dopo l’ennesima tragedia del mare. Si chiama in causa il ruolo dell’Europa e degli stati membri che questa volta hanno fallito. La portavoce dell’Oim, l’organizzazione dell’Onu per i migranti, Safa Mshli ha detto: «Gli Stati si sono rifiutati di agire per salvare la vita di oltre 100 persone. Hanno supplicato e inviato richieste di soccorso per due giorni prima di annegare nel cimitero del Mediterraneo. È questa l’eredità dell’Europa?». Altre prese di posizione in Italia: Matteo Salvini afferma che quei morti pesano sulla coscienza dei buonisti, altri richiamano alle condotte omissive che anche il nostro Paese avrebbe messo in atto.

L’ennesima tragedia questa volta chiama in causa delle oggettive responsabilità per comportamenti omissivi. Quelle persone potevano essere salvate e sono state lasciate morire, facendo trascorrere inutilmente ore e giorni. Per questo si può parlare di “strage” e non di “disgrazia”. Questo è inaccettabile.

Si cercherà di ricostruire sempre meglio la sequenza degli allarmi, delle richieste, dei dinieghi.

Ciò che non si potrà più fare è riportare in vita quegli uomini e quelle donne annegati nel mare.

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