L’ultima isola di Napoleone

Dove aleggiano le memorie di Napoleone di cui ricorre quest’anno il bicentenario dalla morte.
Foto di: ISS Crew Expedition 19 Image Science & Analysis Laboratory, NASA Johnson Space Center

Sant’Elena… quanti al mondo ne saprebbero l’esistenza se Napoleone Bonaparte non avesse finito i propri giorni in questa che fu la sua terza isola dopo la natia Corsica e l’Elba del primo esilio? Ecco un lembo di terra che l’ambizioso conquistatore di mezza Europa avrebbe volentieri ignorato ed escluso dalle sue mire: sperduto nell’oceano Atlantico centro-meridionale a circa 2000 chilometri dalle coste africane, dove gli toccò di trascorrere gli ultimi sei anni di vita vigilato dai suoi nemici più accaniti, gli inglesi, circondato da una piccola corte di fedelissimi, ma ormai ridotto, lui, un soldato fatto per l’azione, a combattere la noia dettando le sue memorie e dedicandosi al giardinaggio.

Nel bicentenario della morte del grande còrso (ma per Victor Hugo fu “Napoleone il piccolo”), flussi più consistenti di turisti danarosi affluiscono in quest’isola remota (solo nel 2017 fu dotata di un piccolo aeroporto) per visitare i luoghi dove l’ex imperatore dei francesi terminò la sua parabola esistenziale, domato da un clima micidiale e da un cancro allo stomaco: Longwood House, dove alloggiò dal 10 dicembre 1815 fino a quel 5 maggio 1821 immortalato dal Manzoni, e la Valle del Geranio, dove all’ombra di salici piangenti ebbe temporanea sepoltura sotto una lapide priva di iscrizione.

Il turismo ha le sue le esigenze: ed ecco che ad accogliere i visitatori, è proprio lui, Napoleone, impersonato da una controfigura con tanto di bicorno, giubba militare, pantaloni bianchi attillati e stivali, mano sullo stomaco come nei ritratti di corte! Controbilanciano questa trovata di dubbio gusto guide pronte a rispondere su tutte le minuzie della prigionia, comprese quelle sul presunto avvelenamento da parte degli inglesi e sui macabri particolari dell’autopsia e del disseppellimento (nel 1840, in clima di riconciliazione tra Francia e Inghilterra, la salma venne trasferita a Parigi, in un sontuoso mausoleo nella cappella reale des Invalides).

Qualche turista allarga il suo interesse anche al Napoleone credente: sì perché colui che per soddisfare la sua sfrenata ambizione aveva mandato al macello il fior fiore della gioventù d’Europa, a Sant’Elena argomentò anche di religione, da dichiarato cristiano cattolico; fino a immaginarsi, nei deliri dell’agonia, già in paradiso a conversare con i suoi veterani di tante battaglie: un paradiso, a dire il vero, più simile all’Ade dove le ombre degli eroi pagani s’intrattenevano sulle loro glorie terrene, ma evidentemente congeniale a lui che si considerava un novello Alessandro e scrisse di Cesare.

A chi invece non ha i mezzi né la voglia di affrontare un viaggio oceanico, questo itinerario offre qualche dato sul sito. Esteso per 16 chilometri di lunghezza e 12 di larghezza massima, con una superficie di 122 chilometri quadrati, l’”odioso scoglio”, come lo definì l’illustre esiliato, è la parte emersa di un antico vulcano sottomarino. Scoperta dal navigatore galiziano João da Nova, che la battezzò col nome della santa festeggiata quel 21 maggio 1502, Elena madre di Costantino, a metà del XVII secolo l’isola fu per un breve periodo possesso olandese per poi passare all’Inghilterra (1673). Tuttora, insieme alle isole Ascensione, Tristan da Cunha e Gough, è parte del territorio britannico d’oltremare, con un governatore in rappresentanza della regina Elisabetta.

Per secoli Sant’Elena ebbe unicamente importanza strategica per il rifornimento di cibo ed acqua ai naviganti che dall’Asia e dal Sudafrica facevano rotta verso l’Europa, utilizzata poi dai britannici anche come luogo di esilio e detenzione. All’epoca della scoperta, era ammantata di una foresta tropicale che, in gran parte reimpiantata, attualmente ricopre solo parte centrale. Purtroppo l’introduzione di capre e nuove piante portò all’estinzione di alcune specie endemiche; anche la fauna è piuttosto povera. In compenso, sopravvive il Corriere di Sant’Elena, un piccolo uccello che nidifica esclusivamente qui, mentre il mare cristallino offre la possibilità di avvistare, in inverno, i rari squali-balena.

Quanto ai circa 4000 “santi” (ovvero la gente del posto, affezionatissima alla propria isola), la loro sussistenza è assicurata dai periodici rifornimenti che arrivano dal Sudafrica con un cargo, dall’agricoltura, laddove il suolo vulcanico lo permette, dalla pesca e dall’allevamento di bestiame.

Tutt’altro che movimentata è la vita sociale; semplici gli svaghi. C’è un piccolo ospedale, ma per i casi più seri occorre recarsi in volo a Johannesburg. Non mancano i poliziotti, che per la verità, oltre a sfilare in qualche parata, ad affibbiare qualche multa e a sorvegliare nella minuscola prigione locale l’ubriacone litigioso di turno, non hanno molto altro da fare.

Capoluogo dell’isola è Jamestown, incastonata in un canyon che sfocia su una parvenza di approdo: casette basse lungo una via principale, due alberghi, due pub e tre ristoranti. A poche miglia da lì, su un brullo pianoro a circa 500 metri sul livello del mare, è Longwood, villaggio reso famoso dalla residenza che ospitò il grande sconfitto di Waterloo: una costruzione di campagna in stile coloniale riadattata per l’occasione, che se non offriva il massimo del comfort era più facile da controllare, e questo bastava. Oggi, fin troppo restaurata e con arredi d’epoca, è una casa-museo di proprietà della Francia, che l’acquistò sotto Napoleone III insieme alla piccola valle della prima tomba.

Per chi invece ama i viaggi letterari, quest’anno bicentenario offre di che scegliere. Fra le tante opere sull’uomo più famoso del suo secolo che invadono le librerie, segnalo queste pubblicate dall’editrice Salerno: Napoleone di Luigi Mascilli Migliorini, riproposta di una biografia vincitrice del Grand Prix della Fondation Napoléon, che invece di celebrare il politico o l’uomo d’armi, narra l’uomo nel quadro storico in cui ha vissuto; “Ei fu”. Vita letteraria di Napoleone da Foscolo a Gadda, di Matteo Palumbo: il mito e le metamorfosi dell’eroe o despota sanguinario, a seconda della visuale di alcuni poeti e scrittori italiani: tra questi, Manzoni, che se si astenne dall’azzardare un giudizio sul personaggio («fu vera gloria?»), non esitò a celebrare la vittoria della misericordia divina sulle sue pecche umane; e infine, sempre di Matteo Palumbo, L’ultima stanza di Napoleone, che lo racconta nel ridotto spazio di Sant’Elena, spinto a guardarsi dentro, a lavorare sulla memoria, scoprendo la vastità di uno spazio interiore. Ombra ormai del condottiero che era stato un tempo, sopravviveva unicamente in lui lo sprezzo della morte dimostrato in tante battaglie. Non aveva forse dichiarato: «La morte non è niente; ma vivere sconfitti e privi di gloria è morire ogni giorno»?

 

 

 

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