Luigi Einaudi, cattolico e liberale

Federalismo economico europeo, “lotto di stato” e legislazione lavorativa. Dell'attualità del pensiero del politico ed economista cuneese ce ne parla Francesco Tomatis, autore del libro “Verso la città divina” per Città Nuova 
Luigi Einaudi

Conciliazione e nessuna dicotomia da un punto di vista politico e filosofico tra il liberismo e il cristianesimo: «la libertà umana è un patrimonio sacro» sosteneva Luigi Einaudi. Per il politico ed economista di fama mondiale, primo presidente eletto dal 1948 al 1955, tre erano i livelli della libertà: quella del singolo, comunitaria in senso “relazionale” e  spirituale. Un moto orizzontale ma anche verticale, dove la città divina della perfetta Repubblica tende a coincidere con quella di Dio.

Un “incantesimo” che lo studioso Francecso Tomatis, nonché carrucese come l’illustre concittadino Einaudi, scioglie nel libro Verso la città divina edito da Città Nuova che verrà presentato a Napoli il 13 febbraio. Docente di filosofia teoretica all’Università di Salerno, Tomatis, fa una ricostruzione complessiva e divulgativa del pensiero politico, economico e filosofico di uno dei padri nobili della Repubblica italiana che precorso i tempi parlando di federalismo europeo, ma non solo, come ci rivela l'autore nell’intervista.

Tra i maggiori economisti e pensatori politici del XX secolo, Einaudi teorizza un vero federalismo economico, che si articola come?

«Einaudi comprese un secolo fa come non sia possibile unione economica senza unione politica e spirituale. L’attuale crisi economica europea ne è un’ulteriore riprova, derivando dalla debolezza politica dell’Unione europea. Tale unità politica, di tipo federale, dovrebbe intendersi come rinuncia dei singoli stati membri alla propria sovranità politica, a livello di politica estera, difesa, grandi indirizzi economici e finanziari. I veti degli stati sovrani impediscono un’azione comune federale»

Come si pone di fronte al liberismo e come intende il liberalismo?

«Einaudi fu grande economista e grande liberale; perciò riteneva il liberismo privo di significato per gli economisti e politicamente illiberale. Perché possano operare le libertà economiche è necessaria la superiorità di leggi statali condivise, nei cui limiti soltanto crescono persone e società libere. La libertà non va intesa semplicemente in modo individualista, ma anche in termini sociali, di rapporto fra libere persone, veramente tali solo se aperte spiritualmente a una trascendenza veritativa»

Tanto da reputare “pericoloso” il troppo legiferare in materia  lavorativa?

«Il troppo legiferare è sempre pericoloso: impedisce di individuare limiti semplici e univoci non superabili dalle singole libertà ed è segno di un indirizzo totalitario, ideologico, monopolistico della società. La realtà è variegata, le persone sono tutte differenti e parimenti degne di esercitare la propria libertà. La legge deve dire chiaramente cosa non si deve fare, come il Decalogo mosaico; se dicesse positivamente cosa fare, come vivere, quanto pensare, diverrebbe ideologia se non idolatria»

 

In che modo Einaudi affronta una delle piaghe che gremiscono le pagine dei nostri giornali, mi riferisco al gioco d’azzardo, di cui sono vittime circa 800mila persone in Italia?

«Einaudi riteneva iniquo e immorale il “lotto di stato”. Si tratta di una tassa sull’illusione di vincita al gioco, che colpisce soprattutto la cerchia sociale poco istruita e meno abbiente. È diseducativo e immorale, perché illudendo di potersi arricchire dissipando i propri guadagni disabitua al risparmio e alla dedizione al lavoro: basi di vita sana e fiorente economia. Vedere pubblicizzato ciò ai telegiornali nazionali induce a credere che l’idolo denaro abbia sostituito non solo lo stato, ma persino Dio».

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